Frantumi (by Tetide)

VM 18 su Candy Candy

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    Ciao a tutti! ^_^ Ieri ho avuto il grande piacere di poter iniziare a leggere questa splendida opera, e mi pare un delitto che resti inosservata! ;)
    Ho conosciuto la sua autrice, Tetide, su EFP (Erika's fanfictions page), poiché sto leggendo e recensendo un'altra sua fan fiction, che eventualmente pure riproporrò. E lei mi ha inviato la sua opera, che purtroppo non può postare lì per via del regolamento un po' rigido: la fan fiction infatti è anche una song fiction, ovvero cita testi di canzoni nel suo corso, ed in questo supera il limite imposto dall'amministrazione. -_-
    Ma dato che qui il regolamento è molto meno rigido (anche perché, come si dice, il forum è mio e lo gestisco io! :P ) le ho chiesto il permesso di riportare la sua opera qui e lei ha accettato! :muhahaha:
    Perciò senza esitazioni ve la propongo, non senza i doverosissimi avvertimenti:

    - E' una fan fiction OOC, il che significa che troverete sì i personaggi di Candy Candy, ma questi saranno un po' diversi da quelli originali, nel senso che potranno avere comportamenti che vi sconvolgeranno, in un senso o nell'altro;

    - Ci sono scene di sesso anche esplicito, ma non preoccupatevi, nulla di gratuitamente volgare e/o non funzionale alla storia, altrimenti non ve l'avrei mai proposta;

    - Saranno affrontate tematiche delicate, come la morte, la guerra (ed i suoi feriti, vi lascio immaginare) e persino il suicidio;

    - E' una fan fiction ad ampio respiro, ovvero molto lunga, ma l'autrice mi ha categoricamente vietato di spoilerare, perciò rassegnatevi, per sapere cosa accadrà dovrete avere pazienza, come dire: muta sugnu, nenti sacciu!!! :uh uh uh!!:


    Premesso questo, declino ogni responsabilità in caso di cattive reazioni per inosservanza dei suddetti avvertimenti, ma di una cosa sono certa: è una fan fiction davvero molto bella, scorrevole, avvincente e ricca di colpi di scena, perciò auguro a tutti una buona lettura (a partire dal prossimo post)! :onigiri_fascinated.gif:
     
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    Allora, ho finito di leggere tutta la fan fiction, che mi è davvero piaciuta (anche se ribadisco che non anticiperò niente ;) ), dunque si comincia! :muhahaha:

    FRANTUMI
    Autrice: Tetide

    Genere: Drammatico, OOC, song-fiction, con tematiche delicate e qualche scena hot


    CAPITOLO 1
    MAI PIU’ NOI DUE


    Disclaimer: questo lavoro è una fan fiction, scritta senza scopo di lucro, con intento solo amatoriale; i personaggi appartengono alle autrici Kyoko Mizuki e Yumiko Igarashi e alle case editrici Kodansha e Chuokoronsha e alla Toei Animation. E’ la prima fan fiction su Candy che scrivo, spero di avere collocato correttamente la datazione degli avvenimenti: secondo i miei calcoli, Candy dovrebbe essere nata all’incirca nel 1898, Terence due anni prima. I personaggi saranno un po’ OOC, chi mi conosce sa bene che ho un debole per l’OOC, l’AU e il cross-over (ma gli altri due ve li risparmio qui!XD). Buona lettura!

    Nota: il titolo di questo capitolo è preso da quello della bellissima canzone di Dolcenera.

    Aprile 1990.
    Mi chiamo Candy Andrew, ed ho 92 anni. Sono nata nel 1898.
    Non so perché ho deciso di scrivere queste pagine sulla mia vita; forse perché in questi giorni di solitudine sento più forte la nostalgia del mio scomparso marito.
    Ricordare questi avvenimenti della nostra vita me lo fa sentire ancora vivo e presente, nonostante essi siano dolorosi.
    Mi chiamo Candy Andrew, vedova Grandchester.

    1915.
    Era passata una settimana da quando si erano lasciati. Solo una dannata settimana.
    E a lei già pareva un secolo.
    Il ricordo, vivo e pulsante, dei giorni passati assieme arrivava a torturarla, come un sadico carnefice, in ogni attimo della giornata; persino la notte.
    Non riusciva a rendersi conto di come tutto avesse potuto apparire così solido e durevole un attimo prima, ed un attimo dopo venire ridotto in frantumi.
    Frantumi.
    Proprio quello in cui si erano tramutate le loro vite dopo di allora.
    Frammenti, pezzi di vita.
    Frantumi.
    Cocci. E i cocci non sono più una cosa; sono solo una cosa rotta.
    Feriscono, come coltelli.

    Finalmente, dopo tanto tempo e tanto, troppo dolore, era riuscita a ritrovare Terence: si erano dati appuntamento a New York, per la prima di Romeo e Giulietta, in cui lui avrebbe interpretato Romeo.
    Lui non si era smentito nel suo temperamento impetuoso, quando, alla stazione, l’aveva presa per un braccio e trascinata per la banchina, fino in un angolo appartato, dove si era tolto la sciarpa che aveva sul viso, rivelandosi.
    Aveva visto gli occhi lei illuminarsi, come un prato verde colpito dal sole dell’alba, e le labbra pronunciare una sola parola.
    “Terence..”.
    Poi, il silenzio. Le sue labbra avide non avevano permesso a quelle di lei di pronunciare un’altra parola; semplicemente, le avevano catturate in un bacio che aveva un che di famelico, inarrestabile, folle. Impetuoso, come lui.
    Una danza di lingue, un gioco che toglieva il respiro senza sosta; e quando si erano staccati, aveva potuto leggere sul viso di Candy il dolce affanno dell’amore, le guance arrossate dalla passione, gli occhi lucidi.
    E non erano seguìti ceffoni, no.
    Lo aveva anzi cinto con le sue braccia sottili, sussurrandogli “Ancora!”, in una dolce supplica.
    E lui l’aveva accontentata.
    Tutto ciò che era intorno a loro, la stazione, il fischio dei treni, la gente che passava coi bagagli, era svanito, tutto, per lasciare spazio solo a loro, al loro amore che si era ricongiunto dopo la lunga separazione.
    E andare a casa fu come un volo, per le strade e poi su fino alle nuvole.. all’appartamento di Terence!
    Avevano appena avuto il tempo di richiudere la porta dietro di loro per escludere il mondo, che la passione li aveva presi, irrefrenabile come un temporale estivo; per tutti e due era stato come volare dentro al loro sogno di una vita.
    Candy si era dimenticata che per lei era la prima volta.. non ricordò nemmeno di essere stata in imbarazzo o di avere sentito dolore, tanto le mani di Terence erano state delicate e dolci su di lei.
    L’aveva spogliata con febbrile lentezza, liberandosi poi dei propri abiti, per coprirla di baci mentre la stendeva sul letto ed entrava dolcemente in lei; la loro era stata una danza dell’amore, dolce ed intensa, che li aveva uniti come una promessa, una promessa per la vita.
    Quando si erano risvegliati da quel sogno, nella luce declinante del crepuscolo, mille sogni e progetti avevano riempito l’aria della modesta stanza.
    “Sposiamoci!”, aveva detto all’improvviso lui.
    Candy lo aveva guardato con dolcezza, sorridendogli.
    “Sai che stavo per dire la stessa cosa?”,
    “Se ti ho mandato un biglietto di sola andata è per questo”,
    “Lo avevo capito, sai..”,
    “E sei venuta lo stesso..”,
    “Non aspetto niente altro da una vita”,
    “Come farai con il lavoro?”,
    “Non preoccuparti; posso chiedere il trasferimento a New York, il Dottor Leonard non me lo negherà!”,
    “E quando pensi di farlo?”, Terence si era girato su di un fianco per guardarla in viso, tra le false luci artificiali delle auto e delle carrozze che di tanto in tanto attraversavano la stanza,
    “Appena tornerò a Chicago, dopo la prima di Romeo e Giulietta”,
    “Eh no, non ci siamo”, un braccio di lui l’aveva cinta alla vita “ti ho detto che non ti avrei lasciata più andare!”, iniziò a coprirle il collo di baci,
    “Potrai venire assieme a me, se lo preferisci”, aveva chiuso gli occhi estasiata da quel contatto umido ed inebriante,
    “Ti seguirò ovunque: non ti lascerò mai più!”,
    “Non ci lasceremo mai più!”, aveva aggiunto lei, cercando di nuovo il contatto delle loro labbra.

    Un’estasi durata un giorno.
    Un sogno durato un giorno.
    Che si era infranto contro lo spietato muro della realtà il giorno successivo.

    La sera della prima.
    Era entrata in teatro tra la rabbia livida di Iriza e Neal, che non avevano potuto fare nulla per impedire che la disprezzata orfanella facesse il suo ingresso in uno dei luoghi dorati dell’alta società della città, assieme alla futura suocera Eleonor Baker(1); la conversazione della bellissima attrice era piacevole e coinvolgente, non faceva mai annoiare: era una compagna perfetta per la sera della prima.
    Il primo atto era andato benissimo, ed era stato seguìto da scrosci di applausi a scena aperta; Eleonor si era allontanata richiamata da una vecchia collega, lasciando sola Candy; lei era uscita nel foyer, facendo di tutto per non incrociare i Legan, e si era seduta su uno dei divani di velluto verde scuro.
    Beveva un cocktail, il cuore rilassato che nascondeva una segreta felicità: anche se non aveva ancora parlato ad Eleonor dei suoi progetti insieme a Terence, sapeva che lo avrebbero fatto assieme dopo lo spettacolo.
    “.. Sembra che Susanna Marlowe voglia approfittare del suo stato per costringere Terence a sposarla..”.
    Poche parole, pronunciate sottovoce. Asciutte e prive di commenti personali.
    Ma erano state sufficienti a mandare in frantumi tutta la felicità di una vita che ancora non esisteva.
    E che forse non sarebbe mai più esistita.
    A meno che lei non parlasse con Susanna, per distoglierla dai suoi vili propositi.
    Per questo aveva lasciato il teatro, senza dir nulla ad Eleonor; nessuna spiegazione, nulla.
    Per questo era salita sul quel taxi con il fiato mozzo, e l’aria che le entrava nei polmoni e la feriva come un coltello.
    Per questo quella corsa nella neve.
    Ma non immaginava quello che avrebbe visto.
    La stanza vuota, la carrozzella abbandonata accanto al letto, le coperte gettate a terra.. e quella folata d’aria gelida che veniva dal terrazzo.
    Correre su per le scale fino in cima, il fiato sempre più corto.. e quell’aria gelida che continuava ad entrare, entrare, scivolando giù per la gola fino ai polmoni, tagliando, ferendo, colpendo, per poi rovesciarsi in qualche imprecisato punto vicino al cuore..
    Poi, la visione. Orribile, irreale.
    Un’ombra, indistinta nella nebbia e nella neve, appoggiata alla balaustra, come un fantasma ai bastioni di un castello.
    “Fermati Susanna, non puoi farlo!”,
    “Perché? Chi può impedirmelo? Tu forse? Sei una pazza, Candy! Se io sopravvivessi non potrei fare a meno di mettermi tra te e Terence, per portartelo via! Ho bisogno di lui, soprattutto ora che non ho più niente! Se sono ridotta così è per lui!”.
    D’istinto le era saltata addosso, per afferrarla. Ed era stato allora che aveva capito.
    “Susanna, la tua gamba..”,
    “Sì Candy, esattamente. Ora lo vedi cosa mi è successo per salvare Terence. Non potrò più recitare, mai più; non potrò più far nulla, sarò soltanto un’invalida. Ho soltanto lui, soltanto Terence. E non ti permetterei di portarmelo via, se vivessi. Dunque, per il bene di voi due, è meglio che me ne vada per sempre!”.
    Si può volere morire per amore di qualcuno?
    Susanna ama Terence a tal punto da voler morire pur di lasciarlo libero? Pur di lasciarlo a me?
    Purché lui sia felice accanto a me?
    Ma potrebbe poi esserlo davvero, con un rimorso simile?
    No, non potrebbe. Non potremmo.
    Ho visto il suo sguardo inspiegabilmente malinconico.
    La nostra vita assieme diventerebbe un inferno. E non posso permettere che una persona che sente un amore così grande, e che sta soffrendo tanto, sacrifichi la sua vita.
    Lei lo ama. E ha bisogno di lui, più di me.
    Non posso portarglielo via.
    “Susanna, scendi!”.
    Uno strattone, e l’aveva tratta in salvo.
    Susanna era salva.
    Ma da quel momento, la propria vita era distrutta.
    Doveva lasciare il suo Terry a lei. Per il bene di tutti e tre.

    Lui era arrivato poco dopo, trafelato; la scena che gli si era presentata davanti era quanto di più desolante possibile, poiché decretava anche per lui la fine di una vita che aveva investito interamente sul suo unico amore.
    E sapeva che non ne sarebbe rimasto più niente.
    A parte i frantumi.

    Frantumi che avevano rimesso assieme quando si erano ritrovati giù per quelle scale, seppure per un attimo.
    Il loro ultimo contatto.
    Il loro addio.
    Tutto ciò che riusciva a ricordare era il contatto salato di quelle lacrime sul suo collo, mentre mille cocci di vetro acuminati facevano scempio della sua anima e della sua vita, lasciandole al loro posto solo frantumi.
    E poi il freddo della neve che le turbinava addosso, ed il buio che la risucchiava verso la stazione.
    Come aveva fatto a salire su quel treno tanto affollato? Come aveva potuto simulare indifferenza e tranquillità quando dentro di lei quella voragine che si era aperta andava allargandosi sempre più? Come avrebbe convissuto, d’ora innanzi, con quel senso di vuoto senza fine? Come?
    Quasi poteva vedere il rivolo di sangue che usciva dal cuore lacerato e colava giù per il suo cappotto, confondendosi con i nastri, giù giù fino a raggiungere il consunto sedile di velluto, ed a scendere lentamente sul pavimento del vagone; provava qualcosa di simile ad un confortante piacere nella visione di quel rosso liquido della vita che abbandonava lentamente il suo corpo sfinito dal dolore.. al pensiero della vita che la abbandonava.. perché è così che da allora in poi sarebbe stata: senza vita. Non più spensieratezza. Non più carica vitale. Non più colori tersi nel cielo. Non più estate nel cuore. Non più appetito della vita.
    Non più giorni immersi nel sole. Non più stormire di fronde a primavera. Non più luci in festa attorno ad un abete addobbato.
    Non più loro due.
    Mai più noi due.
    Solo freddo. E vento. E solitudine, tanta, troppa solitudine.
    Sì, avrebbe voluto davvero vederlo, quel sangue.
    Ma purtroppo per lei, di sangue sul pavimento non ce n’era.
    C’era solo quel dannato dolore.
    E quei dannati frantumi.
    Si era alzata, lasciando il proprio posto ad una coppia giovane con un bambino, una coppia di persone che si amavano, e avevano una vita assieme, al contrario di lei.
    Nel suono ritmico del treno c’era qualcosa di cupo, di sinistro: come se un’invisibile ombra dalle fattezze contorte e terrificanti la stesse osservando da qualche angolo buio del piccolo atrio del vagone, dove le voci degli altri passeggeri giungevano attutite e fioche.
    Aveva aperto lo sportello permettendo ai fiocchi di neve di turbinarle addosso, rabbiosi; osservando il terreno che fuggiva via sotto le rotaie, aveva subìto, per un attimo, la sensazione di saltar giù.. ponendo fine in un colpo solo a quel vuoto, a quel dolore senza fine, né requie.
    .. Io non lo so se non smetterai mai di mancarmi..(2)
    .. Ma sono condannata a pensarti per sempre!(2)
    Ma alla fine, non ne aveva avuto il coraggio.
    Non tanto per sé stessa, di cui non le importava più molto, quanto per le persone che amava e che la amavano: cosa avrebbe fatto Annie senza la sua amica del cuore? Cosa avrebbe detto Archie, soprattutto ora che Stear se ne era andato per sempre? E lo zio William? Poteva infliggere loro un’altra perdita?
    No, non poteva.
    Tirò forte il respiro, e immediatamente una boccata di aria gelida le invase i polmoni. Dolore sul dolore.
    Si aggrappò alla maniglia esterna per cercare un appiglio solido in quel marasma di un tutto che si stava sbriciolando attorno e su di lei, qualcosa che le desse il senso della solidità e resistenza. E subito le venne in mente Albert.
    Albert, l’emblema stesso della solidità e della forza. Albert, rassicurante e dolce, che c’era sempre quando aveva bisogno di lui. E che ora aveva bisogno di lei.
    Provò ad immaginare come sarebbe stato costruire un futuro accanto a lui: sapeva di casa, di nido, di conforto, di sicurezza; niente a che vedere con il burrascoso rapporto che aveva con Terence!
    .. Terence..!
    Un nuovo dolore le trafisse l’anima, traditore come uno stiletto che colpisce la schiena: perché aveva pensato di nuovo a lui?
    Non doveva più farlo, non ne aveva più il diritto.
    Lasciarsi scivolare lungo la parete sembrava la cosa più naturale, continuando a seguire il movimento ritmico del treno.. e poi sempre più giù, finché tutto non si era fatto buio.
    Fino a raggiungere il niente.

    “Qualcuno la conosce?”.
    La domanda del capostazione era suonata quanto meno curiosa ai passeggeri in arrivo, il mattino dopo, alla stazione di Chicago; nessuno dei presenti aveva modo di dare informazioni sul conto di quella ragazza svenuta mezza fuori dal vagone.
    Il suo stato aveva fatto preoccupare tutti gli astanti: pallore, febbre alta, tono muscolare praticamente crollato.. e poi chissà da quanto tempo si trovava su quel pavimento!
    Fu solo grazie ad una lettera che poterono ricollegarla alla famiglia Andrew. Una lettera di Terry.
    Ancora una volta, era stato lui a correre in suo aiuto.
    Anche in modo inconsapevole.

    Certo non si era aspettata di vedere, al risveglio, tutti i suoi più cari amici attorno a sé.
    O meglio quasi tutti.
    Perché mancava Stear, da poco partito per il fronte.
    E, naturalmente, mancava Albert, che l’aspettava a casa.
    Casa.. la sua casa assieme ad Albert.. i suoi giorni passati assieme a lui, come una vera coppia.. lui così premuroso e dolce.. di nuovo aveva pensato ad una possibile vita con lui, l’amore del conforto, capace di attutire il grande dolore che aveva appena ricevuto..
    Sensazioni che erano divenute ancor più forti quando, portata a casa da Archie ed Annie, si era ritrovata in braccio a lui.
    Sentire il suo calore mentre le sue braccia le stringevano, guardare nei suoi occhi di un limpido azzurro, sereni come un mare d’estate, che nulla avevano a che vedere con quelli, di un blu in tempesta, di Terence.. l’avevano per un attimo spinta a cedere all’impulso disperato di avvicinare le proprie labbra a quelle di lui.
    Ma era stato solo un attimo. E un impulso disperato, appunto.
    Lui le aveva consentito appena un lieve sfioramento prima di ritrarsi, e dirle “Candy, cosa sta succedendo?”,
    “Nulla” aveva mentito lei, abbassando il viso perché lui non potesse leggerle negli occhi la verità,
    “Non è vero. Qualcosa è accaduto, non me la dài a bere. Me lo ha detto anche Archie, ti sei sentita male sul treno e sei terribilmente pallida. Hai anche la febbre. Dimmi che è successo, Candy!”.
    Ed il dolore aveva rotti gli argini.
    Le lacrime avevano parlato al posto suo, raccontandogli tutto quello che era successo con Terence.
    E da lui ricevette quello che le aveva sempre dato: conforto.
    Lui era il suo angelo; ma Terry era il suo amore.
    E di nuovo quell’idea le si insinuò, tentatrice, nella mente..
    Lei e Albert.
    Loro.
    Insieme.
    Chissà come sarebbe stato abbandonarsi a lui, quella notte stessa.
    Per dimenticare. Per confondere il dolore.
    Per non sentire quei cocci che le tagliavano il cuore.
    Perché non farlo?

    Ma poi si era resa conto.
    Lei non amava Albert. La sua era solo voglia di sentirsi amata. Una disperata voglia di sentirsi amata.
    Era Terry che lei amava.
    Non poteva mentire così a sé stessa, né tantomeno illudere Albert.
    Ed aveva abbandonato quell’idea.
    Ma di lui, non sapeva ancora nulla.


    (1) Non sopporto quel momento in cui Neal strappa il biglietto a Candy.. grrr! E ho deciso di eliminarlo!XD
    (2) Frasi della canzone di Dolcenera Mai più noi due



    Ciao a tutti i fan di Candy Candy! E’ la prima volta che scrivo in questo fandom, e mi sento emozionata e trepidante come quando ho scritto la mia prima storia sul sito! Spero di non scontentare nessuno di voi.
    Vorrei fare alcune precisazioni:
    1) La storia è ambientata tra il 1915 ed il 1990: inizia con la separazione tra Candy e Terry (che triste!), all’epoca in cui Albert si trova a casa di lei privo di memoria; Flanny e Stear sono già partiti. Finora, la datazione segue quella dell’anime;
    2) Alcuni avvenimenti dell’opera originale non compaiono, o sono diversi: Neil non chiede a Candy di sposarlo, Albert resta con Candy un po’ più a lungo dell’anime dopo avere recuperato la memoria, per aiutarla a superare anche la morte di Stear; la stessa Candy non perde il suo lavoro in ospedale;
    3) Candy è parecchio OOC, lo so; ma ricordate che ha vissuto un distacco molto doloroso, e nessuno può rimanere illeso nell’animo dopo un’esperienza del genere: credere il contrario non sarebbe umano (come poco realistico mi sembra il comportamento troppo spesso allegro di Candy nell’anime); una grave perdita ci cambia, volenti o nolenti; e seppure poi la vita regala un riscatto inaspettato, quella ferita vissuta e le sue conseguenze rimangono dentro di noi irrimediabilmente, consentendo di essere felici solo a metà, ma mai del tutto: se un pezzo di cuore è andato perso irrimediabilmente, si può essere felici del tutto solo con l’altra metà rimanente? No. Si può solo sanare e consolare il dolore passato, mai cancellarlo. Questo è un po’ il tema della storia. Naturalmente, si tratta di mie opinioni, ma servono a spiegare l’OOC di Candy.
    4) Aspettatevi molti avvenimenti diversi e colpi di scena, e qualche scena forte; d’altronde, chi mi conosce come scrittrice sa che sono specializzata nel costruire casini.. e almeno qui vi ho risparmiato l’AU ed il cross-over!! XD
    5) Come vedrete, ogni capitolo ha lo stesso titolo di una canzone, che è un po’ il tema conduttore del capitolo stesso; suggerirei di ascoltare la canzone mentre si legge il rispettivo capitolo, per entrare meglio nel racconto.

    Un bacione a tutti!
    Tetide.
     
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    CAPITOLO 2
    SINCE I DON’T HAVE YOU


    Nota: il titolo del capitolo è ripreso da quello dell’omonima canzone degli Skyliners del 1958, riproposta poi dai Guns ‘n’ Roses nel 1993, una delle canzoni-simbolo della mia adolescenza!

    “Non ce la faccio..”.
    Fu la frase di rito per un paio di mesi all’incirca; oramai non aveva nemmeno più bisogno di spinger fuori la propria voce, le parole le si leggevano negli occhi. Ed Albert riusciva a leggerle.
    I passi silenziosi nella notte, che risuonavano in quell’appartamentino di tre stanze appena, ogni qual volta sentiva le lacrime salire a chiuderle la gola e ad annebbiarle gli occhi al punto da costringerla a lasciare il letto, accompagnavano l’incedere lento e incerto di un’ombra scura che si aggirava nella penombra.
    Un’ombra, sì.
    Solo un’ombra di ciò che era un tempo.
    Perché Candy era morta. E quest’ombra pallida e inerte era tutto ciò che ne restava.
    Si alzava nel buio della sua stanza, sfinita dal dolore di singhiozzi muti; poi brancolava, passando nelle stanze adiacenti, senza concedersi l’aiuto della luce. Tutto quello che desiderava era respirare di nuovo, prendere aria nei suoi polmoni prosciugati.
    Camminava, raggiungeva una finestra, l’apriva; tirava un lungo respiro, poi le forze l’abbandonavano puntualmente. E allora scivolava a terra, fino a quando le forti braccia di Albert non venivano a sollevarla.
    “Coraggio, Candy! Tirati su!”,
    “Non ce la faccio..”
    “Sì che ce la fai! Coraggio! Devi ritornare a letto!”.
    Premuroso come un marito, il bell’Albert la prendeva in braccio e la riportava in camera sua, per deporla sopra un letto di sofferenza, il quale la vedeva rigirarsi in un sonno agitato fino allo spuntare dell’alba, con lui seduto accanto per vegliarla.
    Non capiva come potesse, ogni mattina, alzarsi per recarsi al lavoro.
    O meglio, lo capiva benissimo.
    Il lavoro era la sola cosa rimastale, oltre alla vicinanza di Albert e all’amicizia di Annie e gli altri.
    La sola roccia a cui aggrapparsi.
    Lavorare la faceva sentire utile, le faceva capire che non tutto attorno a lei si stava sgretolando.
    Che c’era ancora qualcosa che restava dei frantumi della sua esistenza.
    Perché era lo sgretolamento la sola sensazione che le restava da quando aveva perduto lui.
    I don’t have happiness, and I guess I never will have it again… since I don’t have you!(1)
    Quel senso di orribile vuoto che toglie il respiro, chiude la gola e lascia sgomenti, senza parole né lacrime.. le era diventato intimo quanto scomodo compagno, ormai!
    Faceva di tutto per non permettergli di avere il sopravvento su di lei: passava giornate intere in ospedale, si sobbarcava i turni più pesanti, sostituiva le colleghe, a volte faceva anche il turno di notte, odiato da tutte le infermiere.. per non pensare, per non soffrire.
    Stava diventando sempre più magra e pallida, gli occhi infossati in profonde occhiaie, dovute alla carenza di riposo notturno ed alla scarsità dei pasti consumati; sebbene Albert sperimentasse ogni tipo di manicaretto per stimolarle l’appetito, questo si faceva desiderare molto; le sere in cui tornava a casa erano le più penose, quando i muri le urlavano spietatamente i suoi ricordi, e lei, per sfuggirli, cercava il calore delle braccia di Albert.
    Ma nulla riusciva a cancellare il ricordo di lui.
    Esso era sempre lì, pronto a tormentarla quando credeva di averlo acquietato, come il più sadico dei boia.
    Quel giorno era più acuto del solito.
    Dopo le pesanti incombenze mattutine, era uscita a godersi un po’ di aria fresca durante l’intervallo per il pranzo, dato che di mangiare non se ne parlava neanche; l’aria iniziava a farsi leggera e carica del profumo dei fiori dell’inizio della primavera.
    Si sedette sotto un grande albero, che con i suoi accoglienti rami protesi sul giardino le ricordava un po’ l’albero della collina di Pony, chiuse gli occhi e tirò un gran respiro.
    Che le girasse la testa era palese, ma non voleva arrendersi: si disse che doveva trovare un’occupazione anche in quei momenti liberi, per impedire alla mente di vagare nei ricordi.
    “Candy!”, un allegro grido la fece voltare di scatto. Erano Annie e gli altri.
    Sorrise debolmente agli amici: non perdevano occasione per starle accanto, soprattutto ora che la sapevano in cattive condizioni.
    “Candy!”, Annie le andò incontro, abbracciandola “Come stai? Sei pallidissima!”,
    “Trovi?” cercò di bluffare lei “Sarà la stanchezza..”.
    Ma la voce tremante la tradiva.
    “Albert ci ha detto che è preoccupato per te; non stai bene, Candy?” le fece eco Archie,
    “Albert si preoccupa sempre troppo!”, finse di ridere; ma la risata uscì garrula e affettata,
    “Candy, cosa.. sta succedendo?” le si accostò Patty,
    “Ma non ho niente, ve l’ho detto! Non siate così apprensivi, non fa bene ai nervi, sapete? Rende insonni!”,
    “Candy..” Annie le prese una mano “Tu lavori troppo, non ti fa per niente bene! Sai che cosa facciamo? La settimana prossima andiamo tutti a vedere la rappresentazione di Terence, che viene qui a Chicago al Globe, per interpretare “Romeo e Giulietta!”, che te ne pare?”
    “Ma sì, per una volta posso pure sopportare di incontrare quello sbruffone!” rise Archie “Se è per fare piacere a te..!”.
    E il cuore le si fermò.
    Mentre il sangue diveniva ghiaccio.
    E lei non era più in grado di capire se adesso un liquido gelido le circolava nelle vene, riversandosi da qualche parte intorno al cuore, o se quel poco di sangue rimastole liquido tra i frammenti di ghiaccio si fosse d’improvviso asciugato.. ma se era così, perché non cadeva a terra, morta?
    “Candy, ma che hai? Che ti succede, Candy? Mio Dio, Archie aiutaci!”.
    Il raffinato gentiluomo si avvicinò per prendere in braccio la donna semisvenuta, sorretta momentaneamente dalle due amiche.
    E la sua mente volteggiava, alta, sopra l’ospedale, nel cielo di Chicago; le venne in mente che era strano che le foglie degli alberi fossero di quel colore smorto in quel periodo dell’anno; le venne in mente che aveva sempre creduto che le foglie avessero un che di magico, di misterioso.. come ai tempi della collina di Pony, quando saliva sul grande albero sulla collina, e credeva che papà albero avesse la capacità di ascoltarla e di capire i suoi pensieri, assumendo gli stessi colori del suo cuore: verde quando era felice, marrone se era triste, giallo quando stava male.. forse anche quel grande albero lì nel giardino dell’ospedale aveva la stessa capacità.. e adesso leggeva il suo immenso dolore e voleva dirle “Sono solidale con te, guarda le mie foglie, piangono per voi… eppure avreste potuto sfuggire dal mondo.. restare qui sotto ai miei rami frondosi.. e le mie foglie non sarebbero più appassite..”.
    E Archie la trasportava come uno stelo, un corpo senza peso.. sapeva di muschio e di sandalo.. come Terence.. no, Terence sapeva di tabacco e muschio.. perché accidenti non riusciva a liberarsi del ricordo del suo profumo, di quel dannato profumo che le rimaneva nelle narici come un inquilino molesto, come un sadico memento.. e sul prato si sentì solleticare la schiena dall’erba umida, così soffice da ricordare i tappeti delle sale da ballo.. ed era una strana festa quella che ora si presentava ai suoi occhi.. lei ed Albert che ballavano davanti ad un cerchio di spettatori ammutoliti, dagli occhi vitrei: Annie, Archie, i Legan, Flanny, Stear.. ma perché Stear perdeva sangue, la sua camicia era macchiata di rosso all’altezza del cuore.. e davanti a tutti Terence.. il suo sguardo, più vitreo di quello degli altri.. eppure li osservava impassibile, come tutti gli altri.. e di nuovo pensò che lei e Terence potevano restare protetti sotto quelle foglie verdi, quei rami, per sempre..

    “Finalmente ti sei ripresa! Ci hai fatto prendere un bello spavento, sai!”.
    Lentamente, sollevò la testa, incontrando lo sguardo dolce di Patty; accanto a lei stava Archie, mentre seduta un po’ più in fondo, Annie.
    “Cosa.. cosa mi è successo..?”,
    “Sei svenuta, ma è stato un brutto svenimento, non ti riprendevi. Il Dottor Leonard ti ha fatto portare in questa stanza, e ti ha somministrato un medicinale, non so bene quale; ha detto che da diversi giorni non fai che strapazzarti e girare su e giù tutto il giorno, e non mangi: c’era da aspettarselo!”.
    “Dovrai osservare alcuni giorni di riposo” si intromise Archie “ordini del dottore. Ragion per cui adesso verrai a casa con noi; o preferisci tornare a casa da Albert?”.
    Candy saltò su come una molla “Riposo? No, assolutamente! Io debbo lavorare, non posso permettermi di interrompere per riposarmi.. lasciatemi, devo andare, lasciatemi..”.
    Tentò di rimettersi in piedi, ma la testa traditrice le fece perdere l’equilibrio, facendola ricadere sul letto.
    “Lo vedi che il dottore ha ragione? Non devi fare sforzi”Archie la sorresse “In queste condizioni non so nemmeno se sia opportuno che tu vada alla rappresentazione, forse è meglio se chiediamo a Terence di venire qui..”.
    Una fitta lancinante le tagliò in due lo stomaco, su fino ad arrivare al cuore.
    “Ragazzi.. è meglio che lo sappiate.. tra me e Terence è finita.. per sempre! Finita! Non voglio più sentirne parlare, mai più.. vi prego, aiutatemi..”.
    Annie si era alzata, venendole vicino “Lo avevo supposto”, le accarezzò la testa “perdonaci se ti abbiamo fatto del male involontariamente, Candy; ma sappi che potrai contare sempre su di noi!”.
    Due lacrime spuntarono traditrici dagli occhi della ragazza: il suo muto ringraziamento all’amica di sempre.

    **********

    Ma erano soltanto parole.
    Dimenticare lui, cancellarlo dal proprio cuore come se non ci fosse mai entrato, era un’impresa molto al di là dell’umana resistenza; e lei, contrariamente a quello che credevano tutti, era umana.
    Non era una dea dell’ottimismo camuffata da creatura terrena, né un pezzo di ghiaccio capace di sopportare qualunque cosa senza il minimo lamento. Era Candy.
    E da quando aveva perso lui, non era neanche più la stessa.
    Andare avanti, quello era tutt’altro disco. Ci riusciva benissimo.
    Fingere di interessarsi solo al lavoro, sempre efficiente al massimo, sorridere dietro ad un bicchiere di cristallo durante un pranzo a casa Andrew, porgere la mano ad Albert per una passeggiata nel tramonto.. sì, era abbastanza semplice!
    Peccato che il suo corpo non mentisse.
    Potevano i cerchi neri attorno agli occhi svanire sotto una luce madreperlacea di una festa primaverile?
    Poteva il tono della voce recuperare il suono squillante ed argentino di un tempo, dietro gli echi di una guerra non poi così lontana?
    Poteva un giornale scaraventato a terra essere solo causato dalla petulanza dello strillone?
    Non se sulla copertina una scritta titolava TERENCE E SUSANNA GRANDCHESTER SPOSI.
    Quello fu il giorno della sua morte interiore; e lei lo sapeva benissimo.

    Il funerale del suo cuore di ragazza coincise con quello di Stear.
    Non era difficile immedesimarsi in Patty; è vero che la Candy di un tempo lo avrebbe fatto in modo più espansivo, avrebbe trovato parole assai più convincenti della musica di quel benedetto carillon che la novella vedova stringeva nella mano fino a farsi male; ma la Candy di adesso, quella riesumata dai frantumi e dalle rovine di sé stessa, potette solo lasciare parlare un interminabile abbraccio, consapevole che, presto o tardi, anche il cuore di Patty si sarebbe indurito come il suo.
    Era la normale reazione al dolore: o ti difendi o ti fa a pezzi.
    O lo attacchi o ti attacca lui.
    Adesso le appariva sotto una luce nuova il senso della sua visione, avuta quel giorno sul prato dell’ospedale: Stear con la camicia macchiata di sangue.
    Si dice che, quando siamo vicini alla morte, la mente possa avere visioni di preveggenza, e non era improbabile che lei, quel giorno, fosse stata molto vicina a morire.
    Chissà che avrebbe fatto Terence … un riso amaro si dipinse sul suo viso fattosi oramai cereo, creando uno strano contrasto col pianto di Patty, abbandonata fra le sue braccia.

    Era inspiegabile il fatto che Albert non fosse venuto al funerale; in effetti, da un po’ di tempo, era divenuto più taciturno, e spesso spariva per intere giornate, per rientrare solo all’ora della cena, col il suo consueto sorriso, che adesso sembrava nascondere qualcosa. Qualcosa che lei non riusciva a comprendere.
    Apparentemente, era sempre lo stesso Albert: dolce, incoraggiante, sempre pronto ad aiutarla in quel momento per lei così atroce, per Terence e per Stear; tuttavia lei sentiva che qualcosa era cambiato, lo sapeva.
    E quel giorno ne ebbe la conferma.
    Sparito. Senza lasciare traccia.
    Non ci fu modo di ritrovarlo da nessuna parte.
    Chissà che cosa gli era capitato.. forse si era semplicemente rimesso in viaggio, magari per tornare in Africa; o forse, quei tipi loschi che gli aveva visto intorno qualche volta lo avevano tirato in qualche brutto giro.
    Eppure, questa ipotesi le appariva come la meno plausibile: proprio Albert, il suo Albert, che in quei mesi dolci e terribili aveva imparato a conoscere e ad amare più che mai, non era il tipo di uomo da avere affari con la malavita; ma dopo tutto quello che aveva passato (senza peraltro uscirne del tutto), da quel maledetto destino sadico si sarebbe aspettata qualunque cosa.
    Forse, Albert aveva davvero una doppia vita.
    E questa volta, Candy aveva ragione.

    Una mattina, trovò tra la posta uno strano biglietto, senza firma, né indirizzo del mittente. Diceva soltanto che lo zio William desiderava vederla di persona, e che avrebbe dovuto presentarsi a villa Andrew intorno alle sette.
    Il turno era stato particolarmente stressante, quel giorno: dal fronte erano arrivati due camion zeppi di feriti, uno più grave dell’altro, e le infermiere, come i medici, non avevano avuto un attimo di pace. Ferite, mutilazioni, infezioni varie si erano alternate in un macabro palcoscenico degli orrori, mostrando il vero volto della guerra di trincea.
    E al termine della lunghissima giornata di dolore, il sangue poteva essere lavato via dalle mani, non certo dall’anima.
    E fu con l’anima sporca di quel sangue innocente, che Candy si recò alla residenza degli Andrew; mentre attraversava la città illuminata nel crepuscolo nella macchina che era stata mandata a prenderla, pensò che forse quel sangue si mescolava a quello che usciva dalla sua eterna ferita, creando uno strano contrasto con l’avorio immacolato dei sedili di pelle dove ora sedeva, strano che l’autista non se ne fosse insozzato.. ma lui non poteva sapere delle foglie secche e dei rami frondosi, né poteva sapere del ballo degli spiriti..
    Sorrise amaramente al vuoto, mentre la vettura faceva il suo ingresso nel cortile di villa Andrew.
    L’autista le aprì la portiera con un elegante inchino, invitandola a scendere; alzando gli occhi, la ragazza notò che le luci dell’edificio erano tutte spente, tranne una sola finestra.
    Le venne ad aprire George, cortese e professionale come sempre.
    “Benvenuta signorina”,
    “Buonasera, George. Archie e Annie non sono in casa stasera?”,
    “No, signorina. Sono andati a cena presso i Brighton”,
    “La zia Elroy?”,
    “Anche lei non è in casa”.
    Senza darle il tempo di aggiungere altro, l’uomo si voltò e le fece strada fino alla grande scalinata; era strano attraversare il salone da ballo, con le sue vetrate solenni, i tendaggi polverosi e i candelabri spenti: dava l’idea di un palcoscenico abbandonato, come quello che forse Terence stava lasciando in qualche città, come quello di quel surreale ballo in un tempo inesistente.. il suono dei passi sulle scale era cupo e possente come quello che risuona negli antichi mausolei, così solenne da imporre il silenzio persino allo spirito più allegro.
    Raggiunsero il primo piano, si fermarono dietro ad una porta; George le fece un cenno con la mano “Prego, signorina”, per poi allontanarsi seguìto dalla pozza di luce della sua candela.
    La mano sulla maniglia, Candy esitò: dietro quella porta stava il suo benefattore, l’uomo che l’aveva accolta nella sua casa come una figlia, lei, un’orfana che veniva dal niente; e adesso, stava per incontrare quell’ombra benefica che per anni l’aveva sostenuta e protetta dal buio, che aveva perdonato le sue intemperanze senza chiedere nulla, le aveva dato una famiglia ed una casa..
    Dopo quell’incontro, niente avrebbe più potuto esser come prima, lo sapeva.
    Spinse la maniglia; la porta si aprì.
    Lo studio era immerso nella penombra: la sola luce proveniva da un lume ad olio che stava ad un angolo di una grande scrivania di legno scuro; lungo le pareti, in allineato ordine, stavano scaffali pieni di libri; dietro la scrivania, una persona restava in attesa, seduta su una poltrona di velluto che le dava la schiena.
    Si fece coraggio e parlò.
    “Zio William..”.
    Nessuna risposta.
    “Sono lieta di fare finalmente la sua conoscenza di persona, zio..”.
    Ancora silenzio.
    “Io non so come ringraziarla per tutto quello che lei ha fatto per me..”.
    Niente.
    Ma la poltrona iniziò a muoversi, ruotando su sé stessa.
    La figura umana seduta prese i contorni, ancora avvolti dal buio, finché non entrò nel cono di luce della lampada.
    E si delineò una figura a lei ben nota.
    Due occhi azzurro cielo sorridenti, pieni di una dolcezza fuori del comune, uniti ad un sorriso con le stesse caratteristiche; lunghi boccoli biondi che scendevano oltre le ampie spalle.
    Albert.
    “Albert! Che cosa ci fai tu qui? Sei ammattito a venire qui? Non sai che c’è lo zio William in giro? Se ti trovano qui.. devi andartene, presto!”.
    L’uomo le sorrise “Non preoccuparti, Candy”,
    “Come posso non preoccuparmi? Se ti trovano, questa volta non la passi liscia, ti manderanno in prigione, ed io non potrei sopportarlo! Sei un matto incosciente! Hai anche indossato gli abiti di George!”, si accorse solo ora dell’elegante completo che Albert indossava.
    Ma lui allargò il sorriso.
    “Devi andartene! Controllo che George non ci sia, mi racconterai dove eri finito un’altra volta, adesso vieni!” aprì una fessura della porta “Non c’è nessuno, presto!”.
    Ma quando si voltò verso di lui, vide che l’uomo la guardava con un sorriso divertito.
    “Non ho nessuna intenzione di andarmene da qui, Candy”,
    “Ma tu sei proprio andato! Ti rendi conto che lo zio William potrebbe entrare qui da un momento all’altro, e.. un attimo.. ma tu come hai fatto a sapere che sarei stata qui oggi?”;
    Albert le prese una mano, senza smettere di guardarla negli occhi sorridendo.
    “Per un motivo assai semplice: il mio nome è William Albert Andrew!”,
    “C-che? William? Sei tu lo zio William? Mi stai prendendo in giro, non può essere possibile..”,
    “Forse è meglio se ci sediamo, ti spiegherò ogni cosa con calma”.
    Andrew condusse una sbigottita Candy alla poltroncina che fronteggiava la scrivania, quindi tornò a sedersi sulla sua poltrona.
    “Ti prego, Albert, fammi capire qualcosa: mi sembra di diventare matta!”, la ragazza si torturava le mani,
    “Hai ragione, hai diritto a un bel po’ di spiegazioni. Per prima cosa, io sono il capo della famiglia Andrew, come ti ho appena detto”,
    “Proprio tu.. non ci posso credere!”; lui rise
    “Lo so, è strano che un vagabondo che va in giro per l’Africa possa essere una delle persone più ricche e potenti d’America; ma mi conosci, e sai che sono uno spirito libero per natura, i limiti impostimi dal mio ruolo mi sono sempre andati stretti. Sin da piccolo mi piaceva giocare con gli animali e starmene nella natura molto più che rimanere a casa con gli istitutori; la zia Elroy non tollerava che un temperamento così.. eccentrico fosse destinato a reggere le sorti dell’impero di famiglia, così decise di tenermi nascosto alla buona società finché non fossi diventato adulto, e non avessi, a suo parere, “messo giudizio”; decise di fare credere a tutti che il signor William era un anziano un po’ eccentrico, che disdegnava i salotti dell’alta società; così, potetti condurre la vita spensierata che tu hai visto, ma dovetti anche accontentarla, andando all’Università sotto falso nome. Adesso però, ho deciso di prendere in mano il mio ruolo”,
    “Perché mi hai.. adottata?”.
    Albert si bloccò, abbassando lo sguardo.
    “E’ difficile da spiegare.. i tuoi occhi mi ricordavano quelli di mia sorella Mary Rose, la mamma di Anthony.. non so spiegarti chiaramente cosa sentivo guardandoti.. ma era come se tornassi a casa, ecco; poi, Stear e Archie insieme ad Anthony mi scrissero chiedendomi di adottarti, e io non ebbi difficoltà ad esaudire le loro richieste: li volevo molto bene e ancora gliene voglio; non hai idea di quanto sia stato doloroso assistere al funerale di Stear da lontano, ma allora non potevo palesarmi ancora. Ho deciso di rivelare la mia identità solo da poco”.
    Candy era commossa dalla storia dell’ex vagabondo; non sapeva neppure come avrebbe dovuto considerarlo da adesso in poi: uno zio, il miglior amico come aveva sempre fatto, oppure..
    Cacciò quel pensiero dalla testa: aveva già allontanato una volta simili idee dal suo cuore; un’amicizia rimane tale per sempre, soprattutto se è rafforzata da legami di parentela, anche se solo legale; non può tramutarsi in amore. E poi, fare una cosa simile avrebbe significato mancare di rispetto ad Albert.. meglio, a William.
    Soprattutto perché il suo amore verso Terence non era mai finito realmente.

    **********

    L’atmosfera era satura del fumo dei sigari, quella sera. E contro una nebbia artificiale fitta come quella, la luce perlacea delle lampade appese al muro poteva poco.
    In un angolo, il pianista di colore aveva intonato Sugar Cane Rag(2), cercando di superare lo sguaiatamente allegro vocìo dell’ambiente, cosa difficile, dato che quella sera gli avventori erano più del solito.
    “Full di re! Chi vuole ancora rilanciare, signori?”.
    L’uomo che aveva parlato, un tipo grande e grosso, con un dente d’oro, indossava uno smoking di color avorio, e sudava come una latrina da spurgare; sul suo grottesco viso campeggiava ora un sorriso beffardo.
    “Non è la mia serata!”, un altro uomo dall’aspetto smilzo si alzò, sbattendo sul tavolo un ventaglio di carte,
    “Vaffanculo, mi ritiro anch’io!”, un tipo dal colorito giallastro lo seguì prontamente, prendendo una bombetta dall’aria vissuta e mettendosela in testa.
    “Io rimango!”, una voce forte e tenebrosa sfidò apertamente la superbia del vincitore; questo osservò in cagnesco il proprietario della voce, un uomo ancora giovane, con una lunga coda castana, dall’aria vagamente dandy.
    “Ne sei sicuro, ragazzetto? Bada di non pentirtene dopo!”,
    “Io non mi pento mai di nulla, amico!”,
    “Ma sentilo, il damerino!! Lo hai voluto tu: un’altra mano!”,
    “Prima un altro whisky: offro io, amico!”,
    “Accetto! Ehy, barman, due whisky!”.
    Una donna in abiti succinti si fece vicino al giovane “Terence, stasera stai esagerando: mi sa che dovrò portarti su in braccio”,
    “Non preoccuparti, Evelyn: mi resteranno abbastanza energie per spassarcela, ma dopo; adesso, debbo dare una bella lezione di modestia al mio amico qui!”,
    “Ehy moccioso, staremo a vedere chi se la becca, la lezione di modestia!”.
    Evelyn osservava il suo cavaliere di sottecchi: quella sera era più fatto del solito, tracannava un bicchiere dietro l’altro e fumava peggio di una ciminiera, facendo scorrere nelle mani il ventaglio delle carte; osservandole, notò che erano solo di tre semi: fiori, picche e quadri. Mancavano le carte di cuori.
    “Terry..” gli si accostò all’orecchio “con quattro semi avresti maggiori possibilità di vincere”.
    Lo vide bloccarsi, come colpito da una folgore.
    “Non gioco mai i cuori”, la raggiunse la voce di lui, fattasi all’improvviso cavernosa e cupa “il cuore non è una cosa con cui giocare!”.
    Osservandogli le mani, la sigaretta nella destra ed il mazzo nella sinistra, si accorse di un impercettibile tremito.

    Evelyn osservava il fumo salire verso il soffitto in un lungo filo, fino a raggiungere le licenziose allegorie dipinte tra gli stucchi, dove Afroditi formose si offrivano languidamente ad Adoni statuari.
    Sorrise, pensando che lei un Adone lo aveva vicino in carne ed ossa; peccato che non potesse averlo accanto!
    E voltò la testa ad osservare il suo Adone.
    Nudo e disteso accanto a lei i lunghissimi capelli scuri sparsi in disordine sul cuscino di seta, una mano chiusa a reggere l’immancabile sigaretta, gli occhi blu scuro che seguivano il nulla persi nel filo di fumo che continuava a salire verso gli stucchi del soffitto.. solo a lei, Terence si mostrava così. Indifeso. Abbandonato. Perso in mille pensieri.
    In una parola, bellissimo.
    L’uomo tirò un’altra boccata di fumo senza staccare gli occhi dal soffitto.
    “Ti è andata bene, vero?”, la donna si passò una mano tra i capelli rossi,
    “Già, duecento dollari per una sera non sono male”,
    “Hai spennato quel poveretto”,
    “Era un pollo che si dava arie da pallone gonfiato”; girando su sé stessa, si appoggiò sul petto di lui, sfiorandogli un capezzolo con le labbra “Il mio Terence.. il migliore giocatore che conosca!”,
    “C’è dell’altro whisky?”, chiese lui, continuando a fumare,
    “Non credi di avere bevuto abbastanza per questa notte?”,
    “Hai ragione. Ma non credo mi abbia nuociuto, e nemmeno a te!”,
    “Ma sei crollato!”, la ragazza passò a baciagli il collo,
    “Ma prima ce la siamo spassata, se non sbaglio!”,
    “Non ne ho mai abbastanza di te, lo sai”,
    “Sei insaziabile, Evelyn..”.
    Lui la guardò: quella donna di piacere era la sua illusione vivente, la sua droga, il suo sorso di sogno quotidiano per sopravvivere, con il viso ed il corpo cosparsi di efelidi; anche il sorriso di lei era un richiamo di un passato che non lo aveva mai lascato, gli si era attaccato addosso come una carta moschicida, così uguale da non potere resistere; in ogni gesto o movenza, il ricordo riprendeva vita, ammaliandolo senza difesa alcuna.
    “Che ore sono?” le chiese,
    “Quasi le quattro del mattino; alle sei chiudiamo”,
    “Allora è meglio fare presto”, spense la sigaretta e si girò prendendola tra le braccia,
    “Tersy..”,
    “Sshh, non dire niente!”.
    Voleva il silenzio, in quei momenti; sentire una voce diversa dalla sua avrebbe distrutto quella fragile illusione. E lui non voleva questo.
    Dal piano di sotto giungevano le voci degli avventori e le risa, la musica jazz sempre più sfrenata; dal corridoio giunse la voce di un uomo che cantava, chiaramente ubriaco.
    Terence le sollevò una gamba, entrando in lei con foga ansiosa; la ragazza gemette.
    Le regalò alcune vigorose spinte, facendole aumentare i gemiti; quindi la sollevò fino a farla accovacciare sulle proprie gambe, viso contro viso, per baciarla.
    No, non voleva che parlasse; non voleva sentire un’altra voce, una voce che non fosse quella di lei!
    E fece in modo di prolungare quell’unione illusoria il più a lungo possibile.

    “Sai che è la prima volta che mi baci?”.
    Evelyn si stava rotolando nel letto, come una gatta languida al sole; la osservò per qualche istante, poi tornò a voltarsi verso il comò, e vi posò una banconota.
    “Non voglio che mi paghi! Con te lo faccio perché mi piace” soffiò la ragazza,
    “Se non ti pago, il tuo padrone mi spezza le ossa” si allacciò i pantaloni “prendilo come un regalo: puoi comparti il cappello di cui mi parlavi”, indossò la camicia;
    “Allora mi stavi ascoltando!”,
    “Non sono sempre ubriaco come credete tutti”, si infilò la giacca,
    “Quando ci vediamo?”.
    Nessuna risposta. Come sempre.
    Ritrovatosi in corridoio, Terence tirò un sospiro.
    Finito: l’inganno era finito.
    Era meglio berci su.
    Scese al bar, e si sedette al bancone, dove i pochi avventori rimasti erano quasi tutti tramortiti dall’alcool; qualcuno cercava di intonare una canzone.
    Bevve sette o otto bicchieri, per ammazzare il solito dolore sordo. Poi uscì.
    “Ecco qua il mocciosetto che mi ha fregato duecento dollari! Adesso vedremo chi ha bisogno di una lezione di modestia!”.
    Attraverso le immagini storpiate che gli si presentavano davanti, riconobbe il tizio con cui aveva giocato a poker qualche ora prima, assieme a due brutti ceffi dall’aria poco raccomandabile, i quali lo immobilizzarono, mentre l’altro lo colpì con un pugno nello stomaco.
    Poi, si invertirono le parti: il tizio lo teneva fermo, mentre gli altri due lo riempivano di botte.
    Alla fine, lo lasciarono tramortito sull’asfalto; il padrone del bordello gli gettò un’occhiata di sufficienza, prima di chiudere la saracinesca.
    Appena cosciente, Terence rimase a terra, un rivolo di sangue che usciva dalle sue labbra scolava sull’asfalto.
    “Immaginavo che ti avrei trovato qui”, una voce conosciuta lo sovrastava,
    “.. Robert..” riuscì solo a mormorare,
    “Sei un incosciente! Certi piaceri possono spedirti all’ospedale o peggio! Dove accidenti eri tutta la notte, eh? La Signora Marlowe mi ha mandato a cercarti, Susanna si è lamentata tutta la notte per il dolore, e non sapevamo dove cercare la morfina; e tu avresti dovuto esserci, sei suo marito, o no? Andiamo, ti tiro su!”.
    Lo prese per una mano, e gli passò un braccio attorno alle proprie spalle.
    “Ce la fai a camminare? Ma che cavolo hai da ridere?”.
    Hathaway non avrebbe mai capito il sorriso di scherno amaro che aveva sulle labbra: quello era il sorriso di chi ha giocato per una volta ancora con i frantumi della propria esistenza.



    (1)Credits: tratto dal testo della canzone
    (2)Pezzo jazz del compositore Joplin degli Anni ‘10
     
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    CAPITOLO 3
    I’LL BE SEEING YOU


    Nota: anche il titolo di questo capitolo è ripreso da quello di una popolare canzone: un pezzo di Glenn Miller interpretato da Dinah Shore negli Anni ’40; la traduzione è “Ti starò vedendo”, come leggerete descrive i sentimenti di Candy.

    Robert Hathaway entrò nell’appartamento che Terence occupava con la moglie recando il suo pesante fardello appoggiato ad una spalla; ovviamente, dal parte del “fardello” non vi era nessuna collaborazione, essendo completamente ubriaco.
    I muri sbrecciati emanavano un odore di muffa e colla da parati che colpiva immediatamente le narici. In fondo al corridoio apparve una fievole luce che si andò facendo via via più forte: si trattava di una lampada ad olio, sorretta dalla mano di una donna. La Signora Marlowe.
    La donna aveva sul viso un’evidente rabbia, nemmeno troppo dissimulata; osservò solo un attimo il carico che Robert reggeva con espressione disgustata; poi si rivolse a quest’ultimo.
    “Era ora! Vi davamo già per dispersi, è l’alba!”,
    “Chiedo scusa, signora, ma non è stato facile trovarlo”,
    “Immagino! Questo disgraziato va a nascondersi nei posti peggiori, come un topo rognoso! Scommetto che si è bruciato altro denaro che io gli ho passato per mantenere mia figlia! Sente come puzza?”, si tappò il naso,
    “Non è il caso di fare tanto chiasso signora, me ne sono accorto anch’io; ma ha bisogno di riposare adesso, per favore ci lasci passare!”,
    “Lasciarvi passare? Come no, dopo tutto è casa sua! Ma guardate come è ridotto! Butta sangue da tutte le parti! Mi chiedo se uno che vive sprofondando tra l’alcol e le carte sia degno di essere definito uomo! Signor Hathaway, quello che mi fa meravigliare è lei, che scende al suo livello! Lo porti via, per favore, non lo voglio sotto gli occhi! Ma come si fa? Che odore!”.
    Robert avanzò nel corridoio, seguìto dalle imprecazioni della donna; quasi si scontrò con un uomo in soprabito scuro che portava una borsa di pelle, che stava uscendo da una stanza.
    “Ah, dottore!” sospirò “Come andiamo qua?”,
    “Come al solito: sta dormendo”,
    “Ha trovato la morfina?”,
    “Sì”,
    “L’ho procurata io da una mia amica che ha una drogheria” la voce della Signora Marlowe “se stavamo ad aspettare lei, mia figlia poteva anche morire!”;
    Hathaway non le diede ascolto; si rivolse di nuovo al medico “E’ stato così grave?”,
    l’uomo annuì “Peggio dell’altra notte. Senza la morfina non ce l’avrebbe fatta”,
    “Eppure lei aveva detto che i dolori sarebbero spariti..”,
    “Sì, ma non tanto presto; e poi sembra che ci sia dell’altro”,
    “Cioè?”,
    “Totale mancanza di reattività. Non aiuta, di sicuro”,
    “Grazie per essere venuto, dottore; scusi, lo porto a letto”, indicò Terry semisvenuto con un cenno del capo,
    “E’ meglio che dia un’occhiata anche a questo qua: dall’odore non direi che ha trascorso la notte in un oratorio!”,
    “D’accordo, mi segua”,
    “Non fate baccano! Susanna dorme!”, gridò dietro di loro la voce della Marlowe.
    Entrarono in una stanza, Robert depose Terry sul letto, mentre il medico chiudeva la porta.
    “Ha mandato giù parecchio alcool..”, commentò il dottore,
    “E le ha prese di brutto!” aggiunse il regista teatrale,
    “Solito posto?”,
    “Solito posto”.
    Terry emise un mugugno incomprensibile mentre gli sbottonavano il colletto della camicia.
    “Fermo, ragazzo!” intimò il medico “Debbo suturare queste ferite, e decongestionare i lividi. Hathaway, per favore vada a prendere del ghiaccio!”,
    “Vado immediatamente”.
    L’uomo uscì in corridoio, intercettato dagli occhi taglienti della Marlowe.
    “Affannarsi tanto dietro ad un buono a nulla! E’ di mia figlia che dovreste occuparvi! Quello è un perdigiorno e un ubriacone! Una di queste volte non lo farò più entrare in casa, parola d’onore!”.
    Robert le piantò addosso due occhi infuocati “Mi permetto di dirle, signora, che quell’ubriacone è suo genero, e se gli capita qualcosa la prima a soffrirne sarà sua figlia!”.
    L’altra non rispose; si limitò a rivolgergli uno sguardo carico di disprezzo. Il famoso regista preferì ignorarla e raggiunse il medico.
    “Ecco qua il ghiaccio; ho portato anche delle bende”,
    “Perfetto! Grazie mille!”.
    Dopo che ebbe medicato Terry, il medico si congedò.
    “Ho finito. Gli ho dato anche un sedativo, così dovrebbe dormire senza problemi nonostante la sbornia. Domattina passerò a dare un’occhiata a tutti e due”,
    “Grazie infinite, dottore”.
    Il medico fece un gesto di noncuranza con una mano “Le pare? E’ il mio mestiere. Poi, sono affezionato a questi due ragazzi”,
    “Mi domando quanto potrà durare tutto questo” sospirò Hathaway,
    “Non molto credo: la cosa non funziona, punto e basta. Presto o tardi arriveranno ad un punto di rottura, a meno che le cose non cambino prima; ma ne dubito”.
    Robert annuì.
    Il dottore continuò “Nessuno di loro due è felice. Questa è una condizione precaria per entrambi”.
    Fece un cenno di saluto col cappello e si incamminò verso l’uscita; il regista lo accompagnò alla porta, dopo avere lanciato un’altra occhiata preoccupata al pesante sonno di Terence.

    Era vero. Nessuno di loro tre era felice in quell’inferno.
    Non Terence, divorato dalla malinconia e dai dubbi, che cercava ristoro fra i fumi dell’ebbrezza, e le illusioni distorte di un amore comprato e finto.
    Non Susanna, tormentata dai rimorsi e dal vuoto di una vita crollata assieme a un riflettore.
    E non Candy, che aveva all’improvviso smarrito il suo leggendario ottimismo, affogandolo nella palude di una realtà che inutilmente cercava di coprire il fango con l’argento e i lustrini.
    Quelli della nuova vita di società che il suo nuovo ruolo nella famiglia Andrew le aveva imposto.

    **********

    Forse per aiutarla a superare la perdita di Terence, Albert l’aveva subito fatta accogliere nell’alta società, con un ricevimento degno di una regina; aveva provveduto a fornirle un nuovo guardaroba, completo di gioielli e cameriera personale; le aveva permesso però di tenere l’appartamento che avevano diviso, lasciandola libera di tornarvi ogni volta che ne avesse sentito il bisogno.
    Naturalmente, Candy gli era molto grata di tutto ciò, e avrebbe desiderato apparire felice per ringraziarlo delle sue premure, ma questo era al di fuori delle sue possibilità.
    No, non era riuscita a dimenticare Terry: il suo ricordo era per lei una lama che veniva a tormentarla nelle giornate passate in ospedale, trafiggendola improvvisamente mentre stava prendendo la temperatura o suturando una ferita ad un paziente; allora, il sorriso artificiale che si era costruita a fatica scompariva improvvisamente dal suo viso, mentre il respiro veniva meno e la gola si essiccava improvvisamente; il suo buonumore proverbiale era solo un ricordo.
    Molte tra le colleghe si erano chieste il perché di quel cambiamento repentino, senza trovare risposta: chi parlava di una reazione esagerata alla guerra con i suoi lutti e distruzioni, chi pensava ci fosse qualche problema con la famiglia adottiva, altri ancora parlavano di una tormentata e proibita relazione con il suo tutore William Andrew.. tutti lontani anni luce dalla realtà!
    La realtà era che lei lo vedeva, lo vedeva dappertutto, in quei luoghi che per una notte li avevano quasi visti assieme dopo la prima di Re Lear: e ogni cosa le parlava di lui, di loro, in quella primavera gelida del suo cuore, le aiole del giardino dell’ospedale, le vie fiancheggiate da eleganti vetrine, l’azzurro del lago Michigan, tutto.
    I’ll be seeing you in all the old familiar places
    that’s the heart of main embraces…(1)
    Lui, la sua forza.
    Lui, un pezzo della sua anima.
    Lui, il suo tormento perenne.
    Perché, adesso che lo sapeva sposato, la sensazione di calore delle mani di lui sul suo corpo bruciava, in quelle interminabili notti insonni?
    Perché non riusciva a scrollarsela di dosso, nonostante restasse anche per un’ora di fila dentro la vasca da bagno, immersa nell’acqua?
    I’ll always think of you that way…(1).
    Ed era anche peggio al mattino, quando nel sole credeva di vedere il suo viso.
    I see you in the morning sun…(1)
    Sembrava che quell’immagine non la volesse più lasciare; se la sentiva addosso, pronta a lacerarle la pelle con le unghie del rimpianto, un rimpianto che le rendeva odioso il suo stesso esistere, tanto era doloroso e senza respiro.
    Odiava sé stessa, quel corpo che non voleva cancellare l’impronta di lui, che le impediva di distaccarsi dal passato per ricominciare daccapo circondata dall’affetto della sua famiglia di adozione.
    Dentro di sé, provava un sordo rancore per i particolari di sé stessa che non volevano separarsi da lui, che la costringevano a non dimenticare.
    Prime fra tutte le lentiggini.
    Non erano forse state la prima cosa che lui aveva notato, quella notte sul ponte?
    Non erano state l’oggetto del soprannome con cui l’aveva identificata, da allora in avanti? Un appellativo all’inizio maleducato e derisorio, che col tempo si era trasformato in un nomignolo affettuoso, marchio della loro complicità?
    Per questo le odiava, ora; erano troppo legate al ricordo di lui.
    Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non averle, pur di toglierle dal suo viso. Sperando forse di riuscire a strappare via anche il ricordo di lui.

    “Sono preoccupato per te, Candy: davvero preoccupato”,
    “Non è una novità, Albert”.
    Il gentiluomo la stava osservando nella controluce della grande finestra sui giardini di palazzo Andrew, mentre lei sedeva in una poltroncina di fronte.
    “Forse tu non ti rendi conto.. ti sei vista in uno specchio? Sei dimagrita di quanto.. forse dieci chili? E sei pallidissima, oserei dire quasi livida. E che dire di quelle ombre nere attorno agli occhi? Non venirmi a raccontare che stai bene!”,
    “Invece debbo dirtelo, Albert: sto benissimo!” .
    Albert si avvicinò alla scrivania, sedendosi nella poltrona con l’aria stanca di chi sente di non avere più risorse “Non mentirmi, Candy: anche un cieco potrebbe vedere quanto stai soffrendo!”;
    lei abbassò lo sguardo, pure stanco a sua volta “E se anche fosse? Cosa potresti fare tu?”,
    “Un’idea l’avrei”.
    Candy lo osservò incuriosita: cosa mai poteva aver escogitato il suo imprevedibile protettore di una vita in una situazione come quella, che non aveva vie d’uscita a parte il cadere nel dolore? Sebbene avesse fiducia in lui da sempre, sapeva realisticamente che adesso non avrebbe potuto fare niente davvero.
    Ad ogni modo, gli rispose, per pura forma.
    “E quale sarebbe?”, un sorriso lievemente sarcastico a sfiorarle le labbra,
    “Sposami!”,
    “Che?!?”, lei saltò sulla poltrona;
    Albert assunse un’aria più seria e si sporse in avanti sulla scrivania, appoggiandosi al ripiano di legno coi gomiti “Siediti, ti prego, Candy. Sto parlando sul serio: tu stai cadendo a pezzi, sei disperata; io non ce la faccio più a vederti in questo stato, e anche gli altri sono preoccupati per te: ieri, Annie mi ha detto che sei svenuta all’ospedale tempo fa. Se continui così, non sarai nemmeno in grado di svolgere il tuo lavoro, lo sai, vero? Ti cacceranno dall’ospedale, dovrai rinunciare ai tuoi progetti per cui ti eri sacrificata tanto, e tu questo non lo vuoi; e non lo voglio nemmeno io. Ecco perché ti faccio questa proposta, Candy: affinché tu possa cambiare vita e ritrovare un po’ di pace, quella pace che ti consentirebbe di ritrovare la tua strada; perché hai bisogno di voltare pagina, e non puoi farlo rimanendo legata ad un passato morto!”,
    “Albert.. non so se ti rendi conto.. tu sei il mio padre adottivo.. la cosa è immorale e illegale, innanzitutto..”;
    lui fece un sorriso sghembo “Non preoccuparti, non è affatto così: io ti avevo adottato solo come tutore, cosa ben diversa; ma adesso che hai quasi raggiunto i vent’anni, potresti fare un formale atto di rinuncia all’adozione stessa; in questa maniera, torneremmo ad essere due estranei, e saresti libera, anche legalmente, di accettare la mia proposta, qualora.. lo volessi!”.
    La ragazza si rabbuiò: la generosa offerta di Albert l’avrebbe allettata in altre circostanze, ma in quello stato aveva solo il sapore amaro di un atto di consolazione.
    “Albert..” , Candy si alzò, girando intorno alla scrivania per raggiungerlo,
    “.. Sì? Cosa c’è?” lui la guardava stupìto;
    lei lo raggiunse, andandosi a sedere sulle sue gambe; gli circondò il collo con le braccia, quindi posò la sua bocca su quella appena dischiusa di lui.
    Spiazzato da quel gesto, Albert l’abbracciò a sua volta, ricambiando il bacio.
    Sentire il sapore di lui nella sua bocca era strano.. piccoli tocchi della lingua che sembravano accarezzarla.. ma il sapore, no.. non era quello il sapore che lei cercava da sempre.. non quel sapore dolce, di casa.. ma il sapore forte e quasi invadente di qualcosa che travolge e stordisce.. il sapore di Terry!
    No, non aveva provato nulla; non era lui che amava, ora ne aveva la prova.
    E forse lo aveva capito anche Albert.
    “Io.. non ho provato nulla. Mi dispiace, Albert. Adesso ne sono certa, io non posso amarti. E non posso sposarti”,
    “Non ti chiedo di amarmi”, le passò una lieve carezza sul viso “ma solo di cercare di costruire una vita nuova insieme; da amici, se preferisci. Per il tuo bene e il tuo futuro”,
    “Non posso, Albert. Mi dispiace”,
    “Non ti chiedo neanche di smettere di essere ciò che sei: sai bene che non lo farei mai; né te lo chiedo per conformismo, non approvo per nulla quella spazzatura falso moralista che vorrebbe relegare le donne in un angolo; lo faccio solo per aiutarti, davvero. In ospedale tutti parlano del tuo repentino cambiamento”;
    lei sorrise debolmente “So badare a me stessa, non preoccuparti”.
    Albert sospirò rassegnato: aveva perso e lo aveva capito; era infruttuoso e dannoso per entrambi proseguire su quella via.
    “Se ci ripensassi, io ci sarò. Sempre”,
    “Grazie. Lo so” lei posò una mano su quella di lui.
    L’uomo crollò la testa, rattristato “Vorrei poter fare qualcosa per te, comunque”,
    “C’è qualcosa che potresti fare”,
    “Cosa?”,
    “Aiutami a cancellare la me stessa che soffre!”,
    “Non capisco cosa intendi”;
    Candy sospirò “Le lentiggini, Albert. Aiutami a cancellarle”,
    “Che? Ma cosa dici?”,
    “Non capisci, Albert? Lui le amava. Tenerle sarebbe tenermi una parte di me che appartiene a lui. Sarebbe come averlo vicino, e questo non deve essere”.
    Albert tacque: aveva capito, fin troppo.
    “D’accordo. Ti aiuterò”.
    Candy sorrise abbassando gli occhi “Tu sei stato in Africa per tanto tempo.. laggiù ci sono piante a noi sconosciute, ma che hanno incredibili proprietà.. riescono a fare cose strabilianti.. ho pensato che forse.. chissà..”,
    “Hai pensato bene”.
    L’uomo si alzò e si avvicinò ad un cassetto della libreria; lo aprì, estraendone un flacone contenente una crema biancastra; quindi lo porse a Candy.
    “Ecco, prendi questo: è un composto di erbe della savana, che ho imparato a riconoscere ed ho raccolto, per poi miscelarle secondo una ricetta fornitami da uno speziale; se usato regolarmente, schiarisce le lentiggini e le piccole macchie fino a farle scomparire”.
    La giovane donna allungò il braccio verso il flacone.
    “Sei sicura di volerlo?”, Albert si ritrasse leggermente. Candy annuì in silenzio.
    Quel tesoro che aveva tra le mani avrebbe cancellato anche l’ultimo brandello del suo passato. O così sperava.

    **********

    Il sole di mezzogiorno non gli era mai sembrato così grigio.
    Appoggiò la bottiglia al bicchiere, tentando di prenderne ancora un’ultima goccia, ma fu inutile. Era vuota.
    Il brandy era finito, per averlo avrebbe dovuto raggiungere il negozio all’angolo, ma con la sorveglianza della Signora Marlowe sulla porta d’ingresso la cosa era fuori questione.
    “Merda!”, si disse.
    Terence, se prosegui così rischi di finire i tuoi giorni in una corsìa per alcolizzati. O per sifilidici. Scegli tu!
    La faceva facile, il dottore! Che ne sapeva, lui, delle visioni che lo tormentavano durante lo stato di cosiddetta lucidità?
    Nulla, non sapeva nulla.
    Non sapeva delle figure in divisa da infermiera che agitavano una massa di riccioli biondi.
    Non sapeva di quelle dannate scale immerse nella penombra, testimoni di un ultimo abbraccio.
    Non sapeva niente!
    Sapeva solo che il suo fegato e il suo sangue stavano disfacendosi, ma il vero motivo di questo non lo conosceva.
    E certamente, non conosceva il fatto che lui la vedesse ad ogni pié sospinto.
    I’ll be seeing you..
    .. in that small café,
    the park across the way,
    the children’s carousel,
    the chestnut tree,
    the wishing well.. (1)
    Nella luce del sole vedeva il suo viso luminoso
    I find you in the morning sun(1)
    ma la notte era anche peggio
    and, when the night is new,
    I’ll be looking in the sun
    but I’ll be seeing you!(1).

    No, il dottore non poteva immaginare come si sentisse.
    Nessuno poteva.
    Si sedette pesantemente sul letto, gli occhi vitrei sbarrati sul vuoto; con gesti meccanici, cercò il pacchetto di sigarette che teneva abitualmente nella tasca dei pantaloni, ne prese una tra le dita, la girò e rigirò, ma non l’accese; lasciò cadere la sigaretta a terra, assieme con la sua voglia di fumare; si prese la testa tra le mani, coprendosi il volto.
    Il vuoto sembrava risucchiarlo, saliva dal pavimento in legno verso l’altro in ampie zaffate che sapevano di passato e di umido; repentinamente, allungò la mano verso il tavolino rotondo che stava accanto al letto, in cerca della pistola; la trovò, la prese; abbassando il cane se la portò alla fronte, senza abbassare lo sguardo dalla fessura nel muro di fronte a lui. Un dito sul grilletto, tremava spasmodicamente.
    Susanna dormiva nella stanza accanto, preda della sonnolenza dell’oppio. La Marlowe passeggiava su e giù in cucina, un suono che riusciva a udire benissimo rimbombare nel silenzio della sua anima.
    Spostò bruscamente la canna dell’arma dalla fronte alla bocca, avvolgendola come fossero state quelle labbra che tanto desiderava; serrò le palpebre, il dito tremò un po’ di più sul grilletto; nella stanza si udiva solo il sordo fischio dei cardini metallici che scricchiolavano, incerti se avanzare o recedere.
    E recedettero.
    Lasciò andare di scatto il cane e il grilletto, uno schiocco sordo si udì nel silenzio. Gettò l’arma sul pavimento con rabbia, tornando a prendersi la testa tra le mani.
    E un sommesso pianto si fece strada sul bel viso di Terry.



    (1)Credits: I’ll be seeing you, di Glenn Miller e Dinah Shore:
    Ti starò vedendo in tutti i vecchi luoghi familiari
    ecco il cuore dei maggiori abbracci …
    ti penserò sempre in quel modo …
    ti vedo nel sole del mattino …

    Ti starò vedendo..
    .. in quel piccolo caffè,
    nel parco oltre la via,
    nella giostra dei bambini,
    nell’albero di castagne,
    nel pozzo dei desideri..

    Ti trovo nel sole del mattino
    e, quando è di nuovo notte,
    guarderò la luna
    ma starò vedendo te!
     
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    CAPITOLO 4
    EVERYBODY HURTS


    Nota: il titolo di questo capitolo è quello della stupenda canzone dei R.E.M., che è una delle mie preferite.

    Alla fine, aveva deciso.
    Se ne era andato. Per sempre.
    Aveva lasciato dietro di sé tutto. Susanna. La compagnia Stanford. Il suo passato.
    Tutto.
    E poi, che senso aveva rimanere?
    Per restare a contemplare la sua vita in frantumi?
    No. Era troppo crudele, un gioco sadico senza senso.
    Era meglio abbandonare quelle macerie ancora fumanti.
    Per andare verso cosa, non avrebbe saputo dirlo: il futuro non aveva importanza.
    Non era neanche sicuro di averlo ancora, un futuro.
    E a dirla tutta, la cosa non gli importava nemmeno.
    Tutto ciò che desiderava era farla finita il prima possibile. Con tutto quello schifo. Con il suo passato. Con sé stesso.
    Ma lo avrebbe fatto continuando la cosa che più amava al mondo: recitare.
    Purché fosse lontano da lì! Ovunque, ma lontano da lì!
    Fu questo che pensò in quella disperata notte.
    Lasciò l’edificio dove si trovava l’appartamento che condivideva con la moglie e la suocera immerso nel sonno, per inoltrarsi nella neve che cadeva incessante; verso un futuro incerto attraverso la neve.. gli sembrava di avere già vissuto quella situazione.. o meglio, non era lui ad averla vissuta, ma era lo stesso!(1)
    Fuck everything!(2)
    Si avviò per la via illuminata debolmente dai lampioni tremolanti nel vento turbinante; camminò e camminò, portando con sé solo una piccola valigia; entrò in un paio di osterie per riscaldarsi con una buona dose di alcol, arrivando quasi a perdere la sensazione di freddo; senza accorgersene, raggiunse Central Park, dove vide un gruppo di persone raggruppate attorno ad un carro a motore, che si davano da fare a caricare casse e scatoloni. Incuriosito, si avvicinò.
    Sul cassone dello sgangherato mezzo a motore campeggiava una scritta a lettere rosse e verdi: “COMPAGNIA TEATRALE JOHNSON”. Con un sorriso sghembo, Terry si avvicinò al gruppo.
    Dopo neanche venti minuti era assieme a loro sul camion, diretto verso un’ignota avventura.

    **********
    “Vi dico che non è possibile! Non può essere sparito!”.
    Quando Robert Hathaway si scaldava a quel modo, c’era poco da stare allegri: significava che la situazione era talmente disperata da essere sfuggita di mano anche ad un uomo controllato come lui.
    La Signora Marlowe, però, non era donna da lasciarsi impressionare.
    “Osereste insinuare che sono una bugiarda, Mister Hathaway?”,
    “Io non insinuo assolutamente nulla! Dico solamente che Terence non può aver fatto una cosa simile! Lo conosco da troppo tempo, ed è sempre stato una persona seria!”,
    “Certamente: le notti che passava in quel postribolo ne sono la prova!”,
    “Signora, voi vedete la cosa solo dal vostro punto di vista: non considerate nemmeno le sofferenze che può aver passate lui! Ed è senza ombra di dubbio a causa di queste sofferenze se ha fatto quel che dite! Se avesse ricevuto un po’ di comprensione in più da parte vostra e di vostra figlia, forse non sarebbe successo quel che è successo!”,
    “Così adesso la colpa sarebbe nostra, mia e della mia povera figlia, che gli ha dato una gamba! Tacete signore, abbiate almeno un po’ di ritegno!”.
    “Signori, per favore, non degeneriamo” intervenne Eleonor Baker con tono accomodante “litigare fra di noi non risolverà le cose; cerchiamo piuttosto un modo di capire meglio quanto è accaduto stanotte. Voi, Signora Marlowe, a che ora dite di aver sentito quei rumori?”,
    “Intorno all’una del mattino, e non ho alcun dubbio: era una porta che sbatteva. Ed era quel gran disgraziato di vostro figlio che scappava!”,
    “Abbassate i toni, signora!” ruggì Hathaway,
    “Perché, cosa ho detto di sbagliato? I fatti confermano le mie parole, quello è solo un uomo perduto! Non entrerà mai più in questa casa, nemmeno se tornasse! Non si avvicinerà mai più a mia figlia!”.
    La Baker sospirò sconfitta; ancora non capiva perché l’avessero chiamata in tutta fretta, oltre che per avvisarla dell’improvvisa scomparsa di Terry; cosa poteva fare? Quei due non erano assolutamente trattabili, in alcun modo. Speravano forse che lei dicesse loro dove poteva essersi cacciato il figlio? Non lo sapeva nemmeno lei; e anche se lo avesse saputo, non lo avrebbe di certo detto davanti a quella specie di tenente dell’esercito della Marlowe!
    Quest’ultima si ritirò in cucina, senza peraltro smettere di sbraitare; Robert invece si avvicinò a lei.
    “Signora Baker, per il bene di Terence ho bisogno di sapere dove può essere andato. Glielo chiedo in nome della nostra amicizia tra colleghi!”;
    la donna non lo guardò nemmeno in viso; osservando fissamente un indefinito punto oltre la finestra, gli rispose “Sono spiacente, Robert, non ne ho la più pallida idea”.
    Lui si passò una mano sulla fronte “Ascolta, Eleonor: non è più solo un fatto di reputazione. Tuo figlio può mettersi in guai seri: nelle sue condizioni fragili, potrebbe compiere un gesto avventato”.
    Lei sorrise, continuando ad esaminare il punto indefinito, evidentemente più interessante del viso del suo interlocutore “E’ da tutta la vita che Terry fa gesti avventati; e non si è mai messo seriamente nei guai, sinora”,
    “Stavolta è diverso! Terence è fuori di testa da un bel po’ di tempo: frequenta bordelli e sale da gioco, e viene coinvolto in risse regolarmente per futili motivi; se non lo troviamo per tempo, potremmo pentircene”.
    Solo a quel punto Eleonor riuscì a guardarlo in viso, con un’ansietà dissimulata a fatica negli occhi.
    “Cosa pensi di fare?”,
    “Ancora non lo so; ma non posso starmene con le mani in mano, non possiamo farlo!”.
    La donna lo guardò con amarezza “Terry sa quel che sta facendo: non lo troveremo, se non vuol farsi trovare”.

    **********

    Di nuovo notte. Di nuovo oscurità.
    Ma anche alla luce del giorno le cose non cambiavano, per lui.
    L’ultima rappresentazione era stata uno schifo. Come d’abitudine oramai.
    Era chiaro che l’alcol non aiutava le sue performances. Decisamente.
    Aveva dimenticato tutte le battute, e si era dovuto improvvisare Macbeth con una gran dose di sfacciataggine, trasformando il personaggio in una grottesca parodia.
    I fischi e gli insulti si erano sprecati più che mai.
    Qualcuno tra il pubblico ci era andato giù pesante.
    Ehy moretto, ma chi è quella povera deficiente che ti ha mollato riducendoti in questo stato?
    Allora non ci aveva visto più.
    Era saltato giù dal palco improvvisato fatto di cartapesta, ed era letteralmente saltato addosso a quel blasfemo individuo, che aveva osato infangare il ricordo del suo angelo.
    Quello, dal canto suo, dopo averle prese per un poco, si era rialzato e aveva cominciato a dargliele di santa ragione; e in breve tempo lo spettacolo da una rappresentazione teatrale si era trasformato in un incontro di lotta libera.
    Senza vincitori, naturalmente.
    Due della compagnia li avevano separati, e avevano portato via il collega per potergli medicare le ferite.
    E adesso, se ne stava seduto su una branda, ingoiando il bianco fumo dell’oblio con una mano fasciata e un braccio dolorante.
    Un bicchiere colmo di un liquido non meglio definito gli stava davanti, ma lo ignorò: adesso era l’oppio il suo balsamo.

    “Debbo dire che ami molto meglio di come reciti”,
    “Devo prenderlo per un complimento?”,
    “Prendilo come vuoi”.
    Terry si voltò a guardare la donna in piedi vicino al letto: stava rivestendosi, indossando il corsetto, le spalle ancora scoperte.
    “Non vorresti aiutarmi?”,
    “Non credi che abbia completato i miei servizi per oggi?”;
    la donna fece un sorriso sghembo “Capisco, la cavalleria non è il tuo forte”.
    L’uomo non rispose; osservò il filo di fumo che saliva dalla sigaretta verso il soffitto.
    “Beh, non scomodarti, ho finito”; lui non si girò nemmeno; aspirò un’altra boccata.
    “Ci vediamo allo spettacolo di domani, mio attore preferito!”, sorrise; poi uscì.
    Terry era rimasto sdraiato sul letto, nudo; tra le sue cosiddette ammiratrici, quella era una delle più assidue: non perdeva una rappresentazione, e non si univa al coro dei fischi generale. L’importante era che dopo lui si facesse trovare nel retrobottega, disponibile.
    Guardò sul mobile: dieci dollari, cioè una bottiglia di brandy scadente.
    Meglio di niente. Prima mi buco questo povero fegato, meglio è!
    Non conosceva nemmeno il suo nome. Ma che importanza aveva?
    Osservò il proprio corpo riflesso nello specchio incrinato nella penombra: le linee dei pettorali scolpite erano perfette, evidenziate dalle lunghe ciocche di capelli scuri; le spalle avevano assunto ormai una linea ampia e diritta, completata dalle braccia ben tornite; l’addome piatto metteva in evidenza i fianchi snelli e la virilità ben proporzionata; e per finire le gambe, lunghe e con poca peluria.
    Era il tipo d’uomo che avrebbe risvegliato qualunque desiderio femminile; ma la sola donna che lui desiderava avere accanto gli era proibita.
    Il mio Tarzan Tuttelentiggini!
    Perché, cosa hanno che non va le mie lentiggini?
    Siamo permalosetti, vero?

    Siediti con me davanti al fuoco.

    Noi saremo sempre noi, anche quando saremo due vecchi signori. Il teatro invece ti permette di essere chiunque tu voglia.

    Non voglio che tu pianga gridando il suo nome, voglio vederti sorridere chiamando il mio!(4)

    Si coprì il viso con le mani, come per fermare quel fiume impetuoso di ricordi che scorreva senza pietà bruciandogli l’animo.
    When you’re sure you’ve had enough of this life…(3)
    Strinse i pugni, in un involontario tentativo di resistere al disfacimento
    Don’t let yourself go
    Everybody cries and everybody hurts sometimes
    Something everything is wrong…(3)
    Per cosa resistere ancora? Perché non lasciarsi andare nel nulla?
    If you feel like you’re alone, no, no, no, you’re not alone…(3)
    Perché qualcosa continuava a gridare nel silenzio di non smettere di respirare, da quel soffitto macchiato di umidità?

    **********

    Albert aveva ascoltato attentamente le parole del suo interlocutore, senza interromperlo; all’apparenza, poteva sembrare immerso in altri pensieri, con quell’aria assorta, il capo appoggiato sulle mani congiunte e gli occhi socchiusi; in realtà, era proprio quel tipo di atteggiamento a denotare i momenti in cui prestava maggiore attenzione alle parole del suo interlocutore.
    “La prego di aiutarci, Signor Andrew; non sarei venuto a disturbarla, se la situazione non fosse così grave. So che voi due eravate amici, e se c’è qualcuno che può aiutarci, quello è soltanto lei!”.
    Il giovane rampollo prese la parola dopo una lunga pausa di silenzio “Capisco, Signor Hathaway; la condotta di Terry, recentemente, deve essere stata tutt’altro che specchiata. Tuttavia, sappia che non sono sicuro di riuscire a trovarlo, poiché data la sua natura impetuosa può essere andato chissà dove, ed io non ho idea di dove cercarlo, al momento: sa, Terry non era tipo da confidarsi con me, nonostante l’amicizia!”,
    “Questo lo so bene, signore. Tuttavia, ritengo che abbia scelto proprio questa città per la.. sua fuga!”,
    “Come fa a esserne certo?”.
    Calò un silenzio imbarazzato; fu Robert a romperlo.
    “Vede, signore, dati i.. precedenti con.. una certa persona che vive in questa città..”,
    “Sì, capisco bene” tagliò corto l’altro “questi tempi sono difficili anche per.. quella certa persona. Ad ogni modo, farò tutto ciò che posso, ma non le prometto nulla”,
    “E’ già tanto” fece Robert alzandosi “grazie per il suo aiuto”, e gli porse la mano destra, che Albert strinse.
    Dopo che se ne fu andato, Albert si trovò con un bel grattacapo: trovare Terry? E dove mai poteva essere? Dove può andare un uomo disperato che non ha più nulla in cui credere?
    Non appena ebbe sistemati gli affari di famiglia, partì per New York: qualunque cosa fosse accaduta a Terry, le ricerche avrebbero dovuto iniziare da lì.
    Cominciò con l’investigare nella cerchia di amici e conoscenti dell’attore, ma la risposta era sempre la stessa: l’uomo era sparito, in una notte nevosa, senza lasciare detto nulla a riguardo.
    Albert si recò poi nella sala da gioco che era solito frequentare Terry, e venne a sapere che una sera su tre era coinvolto in discussioni piuttosto animate; parlò pure con Evelyn, la donna di piacere di cui Terry era un cliente abituale, restando sbalordito dalla somiglianza che la ragazza aveva con la sua pupilla; ma fu tutto inutile: non seppe niente di più di quello che già gli era stato detto.
    Sconfitto, passeggiava lungo Central Park una sera; vide sdraiato su una panchina un uomo che sembrava molto più vecchio della sua età, che si lamentava di dolori alla testa, probabilmente effetto di una bevuta; la sua natura di filantropo venne di nuovo a galla, e si sedette accanto all’uomo per prestargli soccorso; lo condusse in un ambulatorio a proprie spese, dove gli vennero date delle medicine, e lo portò a mangiare in un’osteria sul porto; i due uomini iniziarono a discutere come due vecchi amici, e lo spiantato raccontò al suo soccorritore provvidenziale l’umanità poliedrica che gli passava davanti agli occhi tutti i giorni.
    “Una notte ho visto un tizio, che era diverso dai soliti disgraziati che frequentano il parco a quell’ora: aveva un’aria da persona perbene, come dite voi ricchi, ed era anche incredibilmente bello, un po’ come te; aveva una folta capigliatura scura che gli scendeva lungo le spalle e uno sguardo cupo e rassegnato; dai modi sembrava un attore”.
    Albert sussultò sulla sedia: sembrava la descrizione di Terry.
    “Come fai a dire che si trattava di un attore?”,
    “Per i modi, l’ho detto: erano appariscenti e decisi, come quelli che si fanno nei teatri. Una volta ci andavo, sai!”,
    “Quando lo hai visto?”,
    “Non so dirlo esattamente, ma ricordo che era una notte in cui nevicava e faceva un freddo cane!”,
    “E.. questo tizio cosa ha fatto?”,
    “Si è messo a discutere con Sam, il capo della compagnia girovaga Johnson, e poi è salito sul loro carro ed è andato via”,
    “Non sai dove sono andati?”,
    “Chi lo sa? Gli attori girovaghi sono gente strana ed imprevedibile; ma da quello che so, erano diretti dalle parti di Philadelphia”.
    Il viso di Albert si distese in un sorriso, mentre nel suo animo si accendeva una luce.
    “Amico.. che ne diresti di venire con me a Chicago?”,
    “Per me un posto vale l’altro; tanto lo schifo resta schifo! Ma se mi offri una cena così ogni giorno, allora ti seguirò dovunque!”,
    Albert rise “Mi basta che tu ti occupi del mio giardino! La strada non è un buon posto per viverci!”.
    Il ragazzo tornò a casa con un nuovo amico e collaboratore, con grande disappunto della zia Elroy.

    **********

    “Non te lo chiedo per me: te lo chiedo per lui”.
    Candy gli stava puntando addosso due occhi sbigottiti ed increduli.
    “Lo sai cosa mi chiedi, Albert?”,
    “Lo so che non è facile per te; ma te lo chiedo per la vostra.. amicizia”.
    Amicizia.. come si poteva camuffare così quello che era stato l’amore più intenso, passionale e tragico che lei avesse avuto!
    Terence era stato una tempesta, la sua tempesta: l’aveva travolta con la sua irruenza, irriverenza, passionalità; l’aveva avvolta con la sua inaspettata tenerezza, stupita con la sua dolcezza, incantata per il suo essere così indifeso davanti ai colpi che la vita gli aveva sferrato.. era stato con lui che aveva superato la morte di Anthony, a lui aveva dato il suo primo bacio, con lui aveva fatto l’amore per la prima volta.. poteva avvertire ancora il tocco delle sue mani sulla propria pelle, il languore di quei baci sul collo, la sensazione di quel corpo dentro il suo; no, Terence non era un ricordo, non lo sarebbe stato mai! Una ferita aperta, lacera e sanguinante, questo era! In che modo avrebbe potuto andare a cercarlo, guardare ancora i suoi occhi di mare in tempesta, e dirgli di tornare a casa da Susanna?
    Il suo dolore ancora urlava, in barba a tutti i tentativi disperati fatti per sotterrarlo; non era bastato il lavoro continuo in ospedale, non erano bastati i turni notturni, non era bastato andare a pranzo a casa degli Andrew ogni giorno, non erano bastati i pomeriggi passati con Albert. Niente, non era bastato niente.
    Ed erano passati ormai tre mesi!
    La sua vita aveva perso la direzione. Come quella di Terry.
    “Sì, hai capito bene, Candy: un bordello! Terence ci andava quasi ogni sera, per sbronzarsi, giocare a carte, e incontrare una donna che ti somigliava moltissimo. Faceva a botte con chiunque, bastava una piccola scintilla: Hathaway mi ha detto di averlo trovato più di una volta davanti a quel postribolo, con la faccia pesta”.
    Candy non credeva alle proprie orecchie: perdizione, gioco, prostituzione.. quello non era Terry!
    Era solo un relitto dell’uomo che aveva conosciuto ed amato tanto tempo prima.
    “E non sai il peggio” Albert incrociò le braccia “aveva acquistato una pistola! Sì, esattamente, una pistola! La Signora Marlowe l’ha trovata mentre faceva le pulizie. Ed era carica!!”.
    A quel punto, l’orrore.
    Terry, con una pistola.
    Lui, disperato, con quell’arma carica.
    Mio povero amore!
    Si girò, e diede le spalle ad Albert.
    “D’accordo. Andrò da lui”.
    Ma non ebbe il coraggio di guardarlo in faccia.
    “Sono lieto di sentirtelo dire”.

    **********

    Philadelphia: la città dell’amore.
    Ma non per lei.
    Non da quando lo aveva visto recitare sotto a quel tendone insieme a quella scalcagnata compagnia.
    Ubriaco fradicio. Perdendo costantemente tutte le battute.
    Annaspando tra i frantumi della sua vita.
    Una visione che era una coltellata nel cuore, per Candy.
    Fermò quella che sembrava una delle comparse “Mi scusi, mi sa dire qual è l’alloggio del Signor Grandchester?”,
    Lei la guardò con occhi sgranati “Oggi non mi sembra dell’umore adatto, signora..”,
    “Umore adatto? Umore adatto per cosa?”,
    “Beh, per.. il solito!”, l’altra rimase interdetta.
    Candy si sentì risucchiare in un’oscurità senza fine: cosa faceva Terry di solito? Doveva saperlo.
    Chiese di nuovo quale fosse la sua roulotte, e le fu indicato.
    Col cuore nello stomaco, la raggiunse.
    Dopo poco, sopraggiunse Terry.
    Camminava a testa bassa, non la vide; fino a pochi passi prima di raggiungerla.
    “Cosa fai tu qui?”.
    Lei non poteva rispondergli: lo sguardo carico di disprezzo che le aveva piantato sul viso le causava un dolore che era paragonabile solo all’angoscia di non sapere cosa lui stesse facendo della sua esistenza.
    Terence distolse lo sguardo; si avvicinò alla roulotte, aprì la porta; e con un gesto secco la tirò dentro assieme a lui.
    “Allora, mi vuoi dire che accidenti vuoi?”,
    “Che cosa fai, Terry?”, lei andò al sodo senza preamboli,
    “Cosa faccio? Cosa faccio? Quello che volevo fare da sempre: recito. Ho solo cambiato compagnia!”,
    “Terry, oh, Terry! Ti stai distruggendo, stai facendo a pezzi la tua vita!”,
    “Questo non dirlo!” sibilò lui a denti stretti “Se mi trovo in queste condizioni, la colpa è solo tua!”.
    Si girò, sforzandosi di non darle importanza, versandosi un bicchiere di whisky; ma Candy lo raggiunse e delicatamente gli tolse il bicchiere di mano.
    “Ridammelo! E vattene da qui! Non sei benvenuta!”,
    “Questa non è la tua vita; torna in te, Terry: i tuoi amici ti stanno aspettando a New York”,
    “Come fai a dire che questa non è la mia vita? Che cacchio ne sai tu, eh? Tu che la vita me l’hai tolta, seguendo solo il tuo dannato altruismo senza frontiere, senza nemmeno domandarmi se ero d’accordo anche io in questa scelta suicida! Tu hai avuto il coraggio di calpestare te stessa, me, ed il nostro mondo! Sei una masochista sadica, ecco cosa! Non hai nemmeno avuto il coraggio di dirmi “Ti amo”, sei scappata via giù da quelle maledette scale senza voltarti, senza nemmeno guardarmi in faccia! Ma che razza di persona sei? Dimmelo!”.
    Le aveva scagliato addosso il bicchiere, che era andato a frantumarsi contro una delle pareti.
    Altri cocci. Ancora frantumi.
    Si udì una voce dall’ingresso “Terence..”, si affacciò una testolina castana su di un corpo minuto e di bassa statura. Lui la guardò un attimo, con rabbia.
    “Oh, scusa, vedo che sei già impegnato; scusate, aspetterò fuori”.
    L’angoscia salì di nuovo nella gola di Candy, tagliandola come quei frammenti di bicchiere sul pavimento.
    “Terry, chi era quella donna? Perché ha detto che sei.. occupato? Terry, che cosa fai, ti prego.. non dirmi.. non dirmi che vendi il tuo corpo, Terry!”.
    A quel punto, lui sorrise, di un sorriso cattivo.
    “Un mestiere antico.. lo fanno le donne.. non vedo perché non possa farlo anche un uomo!”,
    “Terry..”, la voce usciva strozzata “non può essere, non.. come puoi essere caduto tanto in basso?”,
    “Vorrei dirti tanto che lo faccio per mangiare, ma la verità è che lo faccio per bere! Il whisky costa, e non posso lasciare questo mondo infame in altra maniera!”.
    Candy non ci vide più: lo schiaffeggiò, lui cadde a terra complice la sbornia, lei lo prese per le spalle.
    “Mi fai schifo! Non sei l’uomo che amavo, non più! L’uomo che amavo non si sarebbe mai abbassato a tanto!”,
    “Sei tu ad avermici costretto! Noi potevamo essere felici insieme, potevamo costruire qualcosa! Perché mi hai lasciato? Perché? Io ti amavo!”,
    “E tu in questo modo stai buttando il mio amore alle ortiche, dimostrando di non amarmi affatto: stai gettando via il mio sacrificio d’amore, le mie notti insonni, i miei giorni senza cibo fatti di lavoro disperato per non pensarti, i miei sforzi per non averti più tra miei pensieri, nella mia carne, nel mio respiro! Ho fatto tutto ciò per risparmiare ad entrambi una vita di rimorsi e senso di colpa, e tu mi ripaghi in questo modo! Tu non mi ami!!”,
    “Io non ho avuto il coraggio di venire a riprendere ciò che era mio e tuo: non ti ho fermata su quelle dannate scale! Ho accettato passivamente di separarmi da te.. non merito nulla, Candy, sicuramente non di vivere! Susanna non ha bisogno di un uomo come me, né nessun’altra! Non valgo niente, niente!”,
    “Credi di essere il solo a soffrire per la nostra separazione? Ebbene ti sbagli! Io sto attraversando i mesi peggiori della mia vita, eppure non cerco di distruggermi come stai facendo tu! Lo facevo perché avevo rispetto di te, perché immaginavo che cercassi di essere felice accanto a lei, come mi avevi chiesto di fare anche tu, ricordi? Promettimi che cercherai lo stesso di essere felice! Ebbene, tu hai mancato alla promessa, l’hai disonorata; e hai disonorato il mio amore, e il mio dolore!”.
    Don’t let yourself go,
    ‘cause everybody cries,
    everybody hurts,
    sometimes..
    ..Sometimes everything is wrong..(3)
    “Non lasciarti andare, non buttarti via, Terry: se mi ami davvero, non lo fare”.
    Hold on, hold on..
    If you feel alone
    no, no, no, you’re not alone!(3)
    Se ne andò, lasciandolo solo con i suoi molti interrogativi.
    Non si era neppure accorto della scomparsa delle lentiggini dal suo viso!

    **********

    Era un giorno di sole, quello; Terence sorrise: quella che l’aveva visto andare via era una notte di neve e gelo, mentre il giorno che lo vedeva tornare alla sua vita era luminoso e soleggiato.
    Un saluto, forse. Di bentornato.
    Contò mentalmente i giorni da quando aveva smesso di bere: quindici, no trenta! Non c’era male come risultato.
    Alzò lo sguardo verso l’edificio dove abitava, le finestre erano aperte; si incamminò di buon passo in quella direzione.
    Immaginava di dover sopportare le occhiate pesanti della Marlowe come rimprovero, ma niente di più: Robert ed il dottore l’avevano ben redarguita dicendole che il suo ritorno era stabile, ed andava accolto pertanto con tutta la benevolenza possibile.
    Ma la suocera non era a casa, in quel momento, a dargli il bentornato. Trovò solo il dottore, intento a preparare una puntura per Susanna, e la moglie.
    Questa si illuminò vedendolo “Terence!”.
    Lui le andò incontro per abbracciarla “Sono qui, Susie”, le disse solo.
    Poi fu la volta del dottore porgergli la mano “Come sta, Signor Grandchester? Spero che abbia fatto un buon viaggio”,
    “Abbastanza, grazie dottore!”; si tolse il soprabito “E qui come andiamo?”,
    “Come sempre”, rispose il medico mentre faceva la puntura all’ammalata, che cadde in un sonno profondo poco dopo.
    I due uomini si sedettero allora al tavolo per conversare.
    “Sono tornato per restare, dottore”,
    “Mi fa piacere sentirlo”,
    “E adesso mi dica la verità: come sta?”,
    “Durante la sua assenza si sono verificate molte cose” prese un respiro “i dolori hanno continuato ad aumentare; ormai, non può più fare a meno della morfina”,
    “E poi? C’è dell’altro, lo so”,
    “Ecco: ho riscontrato una notevole sensibilità alle infezioni, cioè un notevole abbassamento delle difese immunitarie”,
    “Dottore, mi dica la verità: è in pericolo di vita?”,
    “Difficile dirlo: allo stato attuale della medicina, vi sono molte infezioni non curabili; l’unico rimedio è evitare di contrarle. Il problema è che sua moglie ha poche difese in questo senso; se dovesse ammalarsi, ci sarebbero poche speranze”,
    “Cosa possiamo fare, allora?”,
    “Bisogna evitare che venga esposta alle infezioni: deve uscire di casa il meno possibile e non deve fare sforzi”,
    “Questo significa uno stato di dipendenza pressoché totale..”,
    “Purtroppo sì, Signor Grandchester”.
    Sei disposto ad affrontare tutto questo?
    Alzò la testa, deciso.
    “Dottore, mi spieghi come occuparmi di lei!”,
    “Come vuole, signore. La prima cosa necessaria sono le iniezioni di morfina”.


    (1)Questa scena era stata vissuta da Candy, la dolorosa sera della separazione, ma Terry la sente sulla sua pelle, perché non si può separare il proprio cuore da quello della propria anima gemella!
    (2)Credo che non ci sia bisogno di tradurre questa espressione!XD
    (3)Credits: Everybody hurts, R.E.M.
    Quando sei sicuro di averne avuto abbastanza di questa vita …

    Non lasciarti andare
    tutti piangono e tutti stanno male ogni tanto
    a volte tutto è sbagliato …

    Se ti senti come se fossi solo, no, no, no, non sei solo …

    Non lasciarti andare,
    perché tutti piangono,
    tutti stanno male..
    talvolta..
    ..Talvolta tutto è sbagliato..

    Resisti, resisti..
    Se ti senti solo,
    no, no, no, non sei solo!
    (4)Queste frasi sono tratte dall’anime.
     
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    CAPITOLO 5
    IO NON VIVO SENZA TE


    Nota: il titolo di questo capitolo è ripreso da quello di una famosa canzone di Raffaella Carrà.

    Ancora si chiedeva come aveva fatto.
    Andare da Terence, guardarlo negli occhi, constatare lo sfascio in cui era precipitato, ascoltare il suo inferno personale.
    E convincerlo a tornare da lei. Mentre nel proprio cuore sentiva ancora una fiamma inestinguibile per lui divorarla.
    Come aveva potuto guardare nei suoi occhi del colore del mare in tempesta, sentire il suo profumo ed il suo calore così vicino, e respingerlo ancora una volta? Se lo domandava ancora.
    Eppure l’aveva fatto.
    E il suo animo ne era uscito lacerato.
    Io non vivo senza te
    ti vorrei ogni attimo
    perché uno come te
    non saprei inventarmelo!(1)
    Pensare che, di nuovo, lui sarebbe tornato da lei, che l’avrebbe presa fra le braccia come aveva fatto con lei un tempo, che l’avrebbe amata e si sarebbe unito a lei.. era un pensiero che non riusciva a far accettare al suo cuore ferito, che ancora lo chiamava nelle notti buie di quella triste primavera di guerra.
    La guerra.. era già passato un anno quasi da quando era scoppiata, e si era portata via tante vite, tra cui anche quella di Stear.
    E ne avrebbe reclamate ancora, di vite.
    Vite che si perdevano nel nulla, senza un vero perché: solo per l’egoista orgoglio dei governi!
    In quei giorni, erano arrivati all’ospedale molti feriti dal fronte Francese, tutti in condizioni più o meno gravi: chi con arti amputati o da amputare, chi con cecità permanente o temporanea, chi con infezioni di vario tipo.. e alcuni sani nel corpo, ma segnati per sempre nell’anima, bollati perciò come “malati di nervi”, e destinati alla corsìa psichiatrica per il resto della vita.
    Anche loro erano feriti, come lei.
    Più di lei?
    Meno di lei?
    Feriti e basta, né più né meno. Solo in un modo diverso.
    Io non vivo senza te
    e non so come dirtelo!(1)
    Sentiva nel suo cuore una strana ed irresistibile affinità con quei soldati martoriati, alcuni vittime di pene incurabili; il suo lavoro di infermiera le permetteva di aiutarne parecchi, anche solo con una parola buona, ma quanti invece rimanevano a morire al fronte, lontani dalla casa e dagli affetti?
    Loro soffrivano quanto lei. Li sentiva vicini a sé.
    Erano simili, erano fratelli.
    Allora, cosa ci faceva lì?
    Emozioni dentro me
    ma così inspiegabili(1)
    Improvvisamente, si sentì fuori posto.
    Perché il suo posto non era laggiù, nella sicurezza ovattata di Chicago, dove le turbolenze della guerra arrivavano filtrate e sminuite.
    Ripensò a Flanny, che era partita l’anno precedente.
    E l’invidiò: avrebbe voluto trovarsi al suo posto!
    Se fosse andata in guerra, avrebbe potuto aiutare molti più feriti.
    Se fosse andata in guerra, non si sarebbe dovuta sentire fuori posto, mutilata invisibile tra persone sane.
    Anima mia
    la mente piano piano che va via(1)
    Se fosse andata in guerra, non avrebbe sofferto per Terence!!
    Ma era ancora in tempo per rimediare.

    **********

    “Che cosa??”.
    Albert saltò sulla sedia; Candy rimase seduta e impassibile, a guardarlo.
    “Tu non sai quel che dici”,
    “Lo so benissimo, invece”,
    “Candy, laggiù è l’inferno: andarci significa morire”,
    “Lo so bene; ed è per questo che un’infermiera in più sarebbe utile”,
    “Ma perché devi essere tu, quell’infermiera?”,
    “Perché quello è il mio posto. Avrei dovuto farlo già da tempo”.
    Albert si alzò, e si girò verso le finestre che davano sul parco, dandole le spalle.
    “Non sei sincera, Candy”.
    Lei si irrigidì.
    “Che vuoi dire?”,
    “Che non vuoi ammettere la verità: tu non lo fai per aiutare i feriti; lo fai per dimenticare Terry”.
    La donna strinse convulsamente le mani sulla borsetta: Albert aveva centrato il bersaglio.
    “Non è così, forse?”, si voltò, fissandola in viso.
    Candy girò la testa da un’altra parte, abbassando lo sguardo, sconfitta.
    Albert fece un sorriso sghembo “Chi tace, acconsente”.
    Lei strizzò le palpebre, come per arrestare quell’assurda situazione che minacciava di sfuggirle dalle mani.
    “Quell’uomo non vale la tua vita, Candy”.
    Questa volta fu lei a non riuscire a trattenersi “Cosa ne sai tu?” scattò in piedi “Come fai a dire quali sono i motivi che hanno spinto Terry a fare ciò che ha fatto?”,
    “Io so soltanto che ti ha abbandonato alla disperazione più cupa, e poi, non contento, si è dato alla perdizione!”,
    “Terry non mi ha abbandonato, accidenti! L’ho spinto io a restare vicino a Susanna, mi sembra di avertelo detto!”,
    “E’ vero, ma quando ha saputo delle tue pessime condizioni non si è nemmeno degnato di venire da te, cosa che gli spettava di dovere, dato che era stato lui a causarti tutto questo!”,
    “Cos.. cosa? Aspetta.. Terry ha saputo che io.. ma come.. quando..”,
    “Quando sei svenuta all’ospedale, Annie lo ha avvertito per lettera; e lui non si è nemmeno scomodato per venire a vedere di persona come stavi: bel comportamento da gentiluomo, eh?!”.
    Ma lei non si era stupita: sapeva perfettamente cosa aveva impedito a Terence di correre da lei in quell’occasione. Il loro era stato un addio straziante, lacerante, che non avrebbe potuto compiersi senza un tremendo sforzo di volontà da parte di entrambi; rivedersi, anche se solo per un attimo, avrebbe significato spezzare quel fragile e sofferto equilibrio.
    E Terence doveva aver patito quanto lei di quel mancato incontro, se dopo aveva fatto quello che aveva fatto.. perdersi!!
    “Tu non sai..”, Candy tremava per le lacrime che ora le solcavano le guance ed il cuore “non puoi nemmeno immaginare.. ti prego, Albert, non chiedermi altro.. non dirmi altro, se mi vuoi bene.. ti prego..”.
    Lui si ricompose, riprendendo l’atteggiamento dolce di sempre; girò attorno alla scrivania, e la raggiunse per abbracciarla “Vieni qui. Non devi piangere, sei più bella quando sorridi, te l’ho già detto!”,
    “Adesso ti riconosco”, sorrise tra le lacrime Candy.
    Le prese il viso tra le mani “Vuoi davvero partire?”; lei annuì.
    “Va bene, non ti ostacolerò; però devi promettermi che non ti esporrai mai a situazioni troppo pericolose, e che ti limiterai a fare il tuo dovere di infermiera”,
    “Sì, te lo prometto”.
    Una palese bugia, ovviamente: entrambi sapevano che in una guerra non si può promettere niente del genere, e che il futuro è un’incognita; ma servì a suggellare un patto di pace tra loro.
    “Vuoi che chieda di farti assegnare ad un qualche ospedale di città?”,
    “Non serve: ho già chiesto al Dottor Leonard di mandarmi in un ospedale da campo, in Francia”,
    “E così avevi già fatto tutto senza consultarmi, eh?”,
    “Puoi perdonarmi?”, gli sorrise lei. In risposta, lui la baciò in fronte.
    “Ti chiedo solo un favore” aggiunse Candy, la mano sulla maniglia mentre usciva dalla stanza “non dire nulla ad Annie e agli altri finché non sarò partita”,
    “D’accordo, farò come vuoi”.

    **********

    Terry osservò lo stantuffo della siringa comprimere il liquido verdastro fino a farne fuoriuscire una goccia dall’ago, quindi coprì quest’ultimo con il cappuccio, appoggiò la siringa sul tavolo e si sedette, gli occhi socchiusi.
    Il suo nuovo ruolo da infermiere si stava dimostrando più arduo del previsto, ma non poteva più tirarsi indietro, oramai: aveva fatto troppi sbagli nel passato, per potere ancora tradire la stima di Candy, disonorando la parola datale; il suo compito adesso era di accudire la moglie, non farle mancare mai nulla, oltre che di continuare a recitare nella compagnia Stratford.
    E di cercare di essere felice.
    A questo pensiero sorrise amaramente: se gli altri compiti avrebbe cercato di assolverli più o meno, questo era fuori questione!
    Alla felicità aveva detto addio.
    Non sarebbe mai più stato felice. Non senza il suo Tarzan Tuttelentiggini.
    Si era rassegnato a sopravvivere, ligio al suo dovere di marito e con un profilo costantemente basso, dovuto ad un invisibile macigno nel cuore.
    Guardò la siringa, il cui contenuto mandava riflessi verdastri tra i raggi del sole pomeridiano, e gli tornarono in mente le parole del dottore.
    Presti la massima attenzione nel preparare l’iniezione, una sola bolla d’aria potrebbe uccidere la signora!
    Quella siringa era più micidiale di un’arma.. d’un tratto un pensiero terribile gli attraversò la mente.. una bolla d’aria, solo una piccola bollicina d’aria per essere libero di tornare da lei..
    Ma lo scacciò, schiaffeggiandosi mentalmente: lui non era un assassino, e Candy, di sicuro, non gli avrebbe mai perdonato una cosa del genere, per non parlare della sua coscienza.
    “Terence! Dove sei?”, la voce di Susanna gli giunse dal corridoio,
    “Arrivo, Susie”, si alzò dal tavolo prendendo la siringa, e si incamminò verso la camera da letto; ormai da mesi, aveva imparato quel rito, il rito della morfina per i dolori.
    Rientrò dopo alcuni minuti in soggiorno, e pose la siringa usata in un bacile colmo d’acqua, che mise poi su un fornelletto, per sterilizzarla secondo quanto gli aveva detto il medico.
    Tutti i giorni le stesse cose: medicine, iniezioni, sedativi. Le leggeva i giornali per un’ora al giorno per distrarla. La portava a tavola all’ora dei pasti. L’aiutava a lavarsi e a vestirsi.
    Sempre così.
    Ma quella volta, qualcosa di inaspettato interruppe i suoi pensieri sconfortati: la Marlowe entrò nella stanza “C’è una visita per te” annunciò.
    Una visita? Chi poteva essere?
    Di certo, non si aspettava di vedere i giovani degli Andrew giunti di corsa da Chicago.
    Annie, Patty e Archie entrarono nella stanza, mentre lui si alzava, preso dallo stupore.
    Archie gli si scagliò addosso, colpendolo con un pugno “Bastardo! E’ tutta colpa tua!”.
    Terry si asciugò il sangue che gli colava dalla bocca e si rialzò “Cosa? Ma che stai dicendo?”,
    “Che sto dicendo? Candy è partita per la guerra! Ed è tutta colpa tua!!”,
    “Cosa?!”,
    “E’ così, purtroppo” Annie cercava di trattenere il fidanzato “Albert ce lo ha comunicato stamattina”,
    “Non ci sembrava vero, credevamo fosse uno scherzo di cattivo gusto” intervenne anche Patty,
    “E lo ha fatto per toglierti dalla testa! Era disperata da quando tu l’avevi lasciata! Sei solo un codardo: hai preso la scusa della tua amica malata perché volevi liberarti di lei! Bastardo!”,
    “Calma i toni, damerino: è stata Candy a lasciarmi, chiedendomi di vegliare su Susanna, e lo ha fatto perché ha un cuore d’oro. E anche io ho sofferto per la nostra separazione! Ma i fatti nostri non riguardano te!”.
    Annie piangeva “E’ atroce.. in Francia, in un ospedale da campo, vicina alle trincee.. perché lo hai fatto, Candy?”,
    “Mi domando perché Albert l’abbia lasciata partire”, chiese Terence,
    “E’ riuscita a convincerlo, non so come abbia fatto ma ci è riuscita” piagnucolava Patty,
    “E se le capita qualcosa, Grandchester, io torno qua, e ti ammazzo! Capito? Quindi prega che torni tutta intera!” ruggiva Archie.
    Candy in guerra … come è possibile?

    **********

    Candy pensava che il suo animo sereno era del tutto stonato con il posto e la situazione, ma non riusciva a non sentirsi sollevata di star lì.
    Il camion viaggiava verso il confine settentrionale, la linea del fronte occidentale, la visione delle città devastate dai bombardamenti e dei campi minati aveva gelato gli animi delle colleghe; ma non il suo.
    Perché lei non aveva paura di morire: voleva salvare quante più vite che poteva, e se poi fosse venuto il suo momento, avrebbe affrontato la morte in pace.
    Tanto, non aveva più la sua unica ragione di vita accanto a sé.
    Ogni giorno mio con te
    come se fosse l’ultimo(1)
    E non le importava più nulla del suo destino, ora.
    Il suo futuro era lì, tra quelle macerie.
    Da lontano si udivano le detonazioni.
    Le altre infermiere nel camion si turarono le orecchie e lanciarono urletti di spavento; Candy si limitò a sorridere sommessamente.
    Il mio posto è qui.
    Aveva dato alla sua triste, inutile vita un senso, venendo lì: salvare vite, e concludere la propria.
    Perché lei, una vita non l’aveva. Non più.
    Non adesso che lui era perso per sempre.
    Lo aveva ricondotto sulla retta via da sua moglie, e adesso non aveva più nulla da fare.
    Sì, se ne sarebbe andata in pace: presto, sperava.
    Il camion giunse a destinazione, le infermiere scesero, sbigottite e angosciate: il paesaggio che le circondava somigliava allo scenario di un quadro di quella corrente da poco nata, il Surrealismo(2).
    Terra bruciata, campi coltivati devastati e ridotti a campi di mine, in un mescolarsi di colori che andava dal marrone al grigio, dove una volta c’era stato il verde e i mille colori dei fiori; macerie curve e diroccate, come sinistri e grigiastri monumenti alla follìa si ergevano insieme ad alberi scheletriti e bruciati, in uno scenario disumanizzato, deserto.
    Anche il cielo sembrava riflettere quell’arrestarsi della vita, con il suo grigiore.
    Candy tirò un grosso respiro, e seguì le compagne verso la tenda che ospitava l’ospedale da campo.





    (1)Raffaella Carrà, Io non vivo senza te.
    (2)Una delle mie correnti pittoriche preferite.
     
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    CAPITOLO 6
    MY WORLD


    Nota: il titolo di questa canzone è quello della omonima canzone dei Bee Gees.

    Luglio 1915.
    “Stringa il laccio emostatico, infermiera! Così!”,
    “Serve altro etere!”,
    “Presto, presto!”.
    Una fantasmagoria di figure umane vestite di bianco si affaccendava attorno a tavolacci in legno tarlati; sopra di essi, altre figure umane, grottescamente contorte come soggetti di un quadro Espressionista(1), urlavano e si lamentavano; il tutto, rischiarato dalla fioca e surreale luce giallastra di qualche lampada ad olio; le figure vestite di bianco recavano ampie macchie rosse sugli abiti, come quelle distese sui tavolacci le recavano sul viso e sul corpo, come un marchio indelebile.
    Sebbene le ostilità ufficiali fossero in tregua, qualche assalto intermittente, spesso accompagnato da un bombardamento, non mancava di colpire qua e là sul fronte, causando non meno devastazione; e il numero dei feriti e dei mutilati restava lo stesso.
    Soprattutto lì, nella Woevre, e così vicino alla prima linea del fuoco.
    “Vuoi bere, Candy?” chiese una ragazza dai capelli rossi e con un paio di ingenui occhi azzurri, che recava sulle braccia un catino di rame piuttosto sporco, con dentro quello che sembrava un mestolo,
    “No, grazie, Mary”, le rispose l’altra senza alzare gli occhi dal proprio lavoro, il viso umido di sudore, il grembiule pieno di macchie di sangue “Puoi portarmi altre tre garze, per favore? Debbo finire la sutura qui”,
    “Certamente; un attimo soltanto”.
    L’uomo sul tavolaccio davanti a lei alzò la testa fasciata, lasciando uscire dalle labbra tumefatte poche deboli parole “Signorina.. mi fa male..”,
    “Non si lamenti maggiore, le è andata bene: la sua gamba guarirà in un mese; e le raccomando di non muoversi”.
    La ragazza rossa ritornò recando a Candy un rocchetto di stoffa “Ecco qua, Candy! Hai estratto le schegge?”,
    “Sì; ma non è stato facile”.
    Una violenta detonazione squarciò l’aria, facendo tremare l’ospedale da campo e accendendo una serie di urla di terrore.
    “Meno male che sono soltanto scaramucce!”, Mary si tolse le mani dalle orecchie,
    “Così dicono”, Candy ultimò il suo lavoro “ecco, maggiore: adesso la mia amica la aiuterà a spostarsi sulla branda”.
    Un uomo con un camice sopra l’uniforme, probabilmente un ufficiale medico, si avvicinò alla ragazza, che si stava tergendo il sudore.
    “Infermiera Andrew! Ho bisogno del suo aiuto: dobbiamo amputare”,
    “Arrivo subito, Dottor Mean”.
    I due si diressero verso l’ingresso della tenda che ospitava l’ospedale, dove erano stati allineati tre nuovi arrivi.
    “Sono gravi, non c’è altra soluzione che l’amputazione”, disse il dottore abbassandosi su uno di loro,
    “Cosa, esattamente?”,
    “A questo qua entrambe le gambe, all’altro il braccio destro, e a questo..” si avvicinò a quello sdraiato in fondo “..forse possiamo salvare la mano!”; poi rivolto all’interno della tenda “Preparate tre letti operatori! E’ urgente!”.
    Dicendo così, si allontanò.
    Candy osservò il dottore, un uomo castano e stempiato, dai modi rudi ma decisi, che tutti consideravano molto abile nel suo lavoro; parlava poco, con voce decisa e spesso brusca, e non lasciava mai trapelare l’ombra di un’emozione.
    In questo senso, le ricordava Flanny.
    Flanny.. chissà dov’era in questo momento, la sua compagna di corso.. anche lei aveva quel piglio deciso e brusco, anche lei era abilissima e professionale; ma dietro quel muro di ghiaccio, nascondeva un abisso di affetti frustrati, di dolore e di solitudine.
    Tutte cose che l’avevano spinta ad avere paura dei sentimenti, rendendola la donna di ghiaccio che era.
    Candy scosse la testa, per scacciare i ricordi: adesso doveva occuparsi solo degli uomini che aveva di fronte.
    Si accovacciò accanto a quello che il medico aveva visionato per ultimo, e gli asciugò il sangue che da una ferita sulla fronte gli colava giù per il viso.
    “Hmm.. Candy …”,
    lei si ritrasse, sconcertata “Come fa a conoscere il mio nome?”,
    “Non mi riconosci? Sono Michael!”.
    “Michael..”, la ragazza cercò disperatamente nella sua memoria, devastata da una guerra peggiore di quella che stava ora affrontando,
    “Quella sera.. da Iriza..”,
    “Oh, ma certo! Michael!”.
    Adesso ricordava: la festa da Iriza, quella festa in cui lei era stata costretta a calarsi giù dalla torre per recuperare la sua valigia, a causa di una delle solite cattiverie di Neal.
    “Scusa se non ti chiedo come stai”, gli sorrise, continuando a pulirgli via il sangue “però hai sentito il dottore: conta di poterti salvare la mano!”,
    “Ne sono lieto”, sospirò lui, gli occhi chiusi.
    “Cosa fai in questo inferno, Candy?”,
    “Quello che ci fai tu: cerco di lenire le sofferenze degli altri”.
    E le mie.
    Ma questo non glielo disse.

    **********

    “Stia ferma, Duchessa, non si agiti!”,
    “Calma, Susanna, calma!”.
    Terence e il dottore si dibattevano nella disperata impresa di tenere ferma Susanna, preda dei dolori dovuti all’amputazione, per poterle somministrare la morfina.
    Era sempre la stessa scena, tutti i giorni.
    Tutte le settimane.
    Tutti i mesi.
    Da sempre, ormai.
    Uno stanco copione, che anche un attore consumato come Terence aveva disgusto a recitare, ormai.
    I dolori si presentavano, puntuali, almeno quattro volte al giorno; alcune volte erano più lievi, altre più forti; e in quest’ultimo caso, la ragazza si dibatteva in una serie di spasmi che, oltre al dolore stesso, sfogavano anche la rabbia che nutriva verso quel suo corpo mutilato.
    Tenerla ferma, fino a che la morfina non li leniva, non era cosa semplice, nonostante gli sforzi congiunti del dottore e di Terence, e qualche volta anche di Robert. Il tutto, accompagnato dallo sproloquiare della madre, dalla stanza vicina.
    Terence lo aveva imparato a sufficienza quel triste copione, ormai, e non se ne lamentava più di tanto: aveva imboccato la via del suo dovere senza ritorno, quindi che motivo c’era di lagnarsi?
    Nessuno.
    No, in quei giorni un motivo c’era!
    Lei.
    Lei lontana.
    Lei al fronte.
    Lei nel mezzo di un pericolo mortale, che avrebbe potuto ridurla come Susanna, o peggio.
    Lei, lei, lei.
    Un pensiero, un’angoscia che gli impediva di essere lucido. E di compiere con efficienza il suo dovere verso la moglie.
    Perché infondo a sé, sapeva che era colpa sua. Senza attenuanti né scuse.
    Se Candy era partita, era colpa sua. Quel rimorso glielo ripeteva continuamente, perfino durante le poche ore di sonno che la sua situazione coniugale gli concedeva.
    Rimorso. Senso di colpa.
    E quei frantumi di vita.
    Una miscela esplosiva.
    I’ll be crying
    I’m lonely..(2)
    Come poteva portare avanti la promessa fattale e quel fantasma di vita, se il suo cuore e la sua mente erano costantemente al di là del mare, accanto a lei?
    “Bene, Signor Duca, abbiamo finito”, il medico si srotolò le maniche della camicia e prese la borsa, facendo per andarsene.
    “Passerò domani a saldare il conto, al suo studio; grazie”,
    “Ma le pare? Faccia pure con comodo; ormai mi sono affezionato alla signora.. e a lei!”.
    Terry l’accompagnò alla porta.
    “Si riguardi, nemmeno lei ha una bella cera, sa!”,
    “Ci penserò”,
    “Arrivederci, Duca!”,
    “Ah, dottore!”,
    “Sì?”,
    “Solo un favore..”,
    “Mi dica”,
    “Non mi chiami più “Duca”!”.

    **********

    Candy osservava in silenzio il giovane uomo che, adesso, dormiva sulla branda, sedato dopo l’operazione.
    Alla fin fine, il medico era riuscito a salvargli la mano.
    Michael ne era stato felice, nonostante i dolori sofferti, e si era addormentato come un bambino.
    Lo guardò: aveva un sonno tranquillo e un viso rilassato, che dimostrava un po’ più dei suoi ventotto anni; i capelli rossicci erano più lunghi di come li ricordava lei, e attorno agli occhi erano comparse alcune rughe impercettibili, forse vestigio di tutti gli orrori che quell’ufficiale medico aveva dovuto vedere. Come lei, del resto.
    My world is our world,
    and this world is your world,
    and your world is my world,
    and my world is your world is mine(2).
    Entrambi avevano visto orrori indicibili, una cosa che li accomunava, facendoli parte di un’umanità che condivideva segreti e vissuti di orrore.
    Gli si avvicinò col viso, e lui aprì improvvisamente gli occhi.
    “Credevo stessi dormendo..”,
    “Non più”,
    “Sei stato fortunato, Michael: i due soldati prima di te hanno subìto amputazioni entrambi; uno non ce l’ha fatta”,
    “Mi dispiace”, lui abbassò lo sguardo,
    “Michael.. come sei finito qui?”,
    “E’ una lunga storia..”,
    “Ti va di raccontarmela?”,
    “Beh, il tempo lo abbiamo in abbondanza, direi..”.
    Candy sorrise.
    “Ero stato mandato a Loos, per occuparmi di alcuni feriti; poi però, circa tre mesi fa, qui ci sono stati scontri piuttosto violenti, due ufficiali medici sono morti, così hanno chiamato me e mio fratello Jeff. Quando siamo arrivati, gli scontri maggiori stavano esaurendosi, tanto che dopo poco tempo si è avuta la tregua; tuttavia una parte delle retrovie in ritirata non ne ha voluto sapere di mollare tanto facilmente, ed è rimasta ad effettuare degli attacchi brevi e fulminei, ma non per questo meno micidiali. Molti soldati restavano nelle trincee per difenderle, e venivano feriti. In uno di questi attacchi mio fratello è stato ucciso; io sono sopravvissuto nella trincea per tre giorni, fino a che, stamane, un bombardamento inaspettato ha fatto crollare la trincea, seppellendoci tutti. Non so chi ci abbia tirato fuori da laggiù, ma quando ho aperto gli occhi, ho visto te”.
    Lei gli stava accarezzando lentamente la testa, guardandolo con occhi carichi di pietà e sconforto.
    “E tu, come sei finita qui, invece?”,
    “Troppo lungo anche per me!”,
    “Voglio sapere, ormai siamo qui..”.
    Candy prese un grosso respiro ed iniziò “Non mi sentivo più a mio agio al Santa Johanna. Non mi sentivo più a mio agio a Chicago. Ero fuori posto. Una delle mie compagne era partita per il fronte, e per molto tempo mi sono chiesta perché io non avessi fatto lo stesso. Finché qualcosa non mi ha spinto”,
    “E questo.. qualcosa ha a che vedere con gli Andrew?”;
    Candy sorrise “No, non ha a che vedere con loro; solo con me stessa. Non ero soddisfatta della mia vita. E basta”,
    “Strano che tu abbia cercato di soddisfare la tua brama di vita in una guerra, dove di solito si trova la morte!”,
    “Già. Strano. La vita a volte segue le strade più improbabili”.
    Si guardarono a lungo; ciascuno dei due aveva la sua storia. Terribilmente simile a quella dell’altro. Una storia fatta di dolore e perdita, di sopravvivenza forzata ed abnegazione.
    Tanto, troppo simili.
    My world is our world,
    and this world is your world,
    and your world is my world,
    and my world is your world is mine(2).

    La giovane infermiera si alzò per andarsene: voleva simulare premura verso i suoi compiti, ma in realtà desiderava soltanto sfuggire ad altre domande.
    Cosa che a Michael non sfuggì.
    “Candy..”,
    “Sì?”,
    “Se vorrai parlarmi di quel.. qualcosa, fa’ pure; io ci sarò sempre, se avrai bisogno di me”,
    “Grazie”, chinò il capo in avanti senza voltarsi, continuando a dargli le spalle.
    Nella tenda che ospitava l’ospedale, erano arrivati altri feriti; chiamata immediatamente dal Dottor Mean, lo raggiunse presso un tavolo operatorio, su cui stava un ferito con parte di una gamba carbonizzata.
    “Amputazione!” ordinò il dottore; Candy prese i guanti e la mascherina.
    Il ferito gemeva ad alta voce “Aiutatemi, aiutatemi!”,
    “Stia fermo!” ordinò il medico “Infermiera, il bisturi, presto!”,
    “Eccolo”,
    “Non amputate, vi prego! Salvatemi!”,
    “E’ per salvarla che devo amputare! Le sua gamba è un tizzone bruciato, ormai! Infermiera, lo tenga fermo!”,
    “Sì signore!”.
    Il soldato cacciò un altissimo grido, mentre il dottore inforcava la sua mascherina e iniziava l’operazione; Candy chiuse gli occhi, strizzandoli, mentre bloccava le braccia del ferito.
    “Presto, sutura!”, intimò il medico, riponendo il bisturi.
    Mentre si affrettava ad eseguire l’ordine, Candy si chiese se davvero la sua vita potesse trovare soddisfacimento in guerra. Anche se fosse stata l’ultima parte di essa.

    **********

    Si chiedeva perché l’aveva fatto.
    Lasciare partire una disperata Candy era stato il peggiore errore di tutta la sua vita.
    Più cercava una risposta, e più ne usciva confuso.
    Lei lo voleva tanto..
    Scuse! Soltanto stupide scuse! Nessuna argomentazione era sufficiente a giustificare quel suo attimo di debolezza, in cui le aveva detto di sì.
    Quel loro abbraccio, durato un attimo eppure un’eternità, aveva piegato le sue difese, lo aveva disarmato.. come avrebbe potuto dirle di no, a quel punto?
    Ma ciò che lo impensieriva più di tutto era altro.
    Perché la vicinanza stretta di lei gli faceva quell’effetto?
    Perché demoliva tutte le sue difese?
    Già troppe volte si era chiesto se i sentimenti che provava nei riguardi di lei avessero assai più della semplice amicizia, ma ogni volta il suo cuore si era rifiutato di rispondere a quella domanda troppo invadente.
    Una domanda che però adesso premeva forte per uscire da quel limbo.
    “Basta!!”, si alzò dalla scrivania sbattendo le mani sul ripiano “Non posso permetterlo! Candy deve tornare a casa!!”.
    Era già passato quasi un anno dalla partenza di lei, e nonostante le lettere con sue notizie arrivassero regolarmente, lui non aveva pace; sentiva, in qualche modo, che lei non era sincera in quelle lettere, poco più di freddi e brevi messaggi che recitavano “qui tutto bene”, sentiva che il suo grande tormento interiore la costringeva a tacergli la realtà di quell’orrore che stava vivendo, magari in un disperato tentativo di buttarvisi a capofitto per dimenticare.
    Velocemente girò attorno alla scrivania, e con passo deciso si diresse verso la porta, l’aprì e uscì nel corridoio.
    “George!” chiamò forte; il bravo valletto sbucò immediatamente da dietro un angolo, quasi fosse stato lì chissà per quanto tempo in attesa.
    “In cosa posso servirla, signore?”,
    “Devi aiutarmi. Debbo partire per l’Europa!”,
    “In Europa, signore? Ma c’è la guerra!”,
    “Esattamente, George. Devo arruolarmi”,
    “Signore..”, il segretario era interdetto a vedere il suo padrone che chiedeva di fare una cosa così lontana dal suo modo di vivere; ma Albert lo incalzò.
    “Devo andare a cercarla, e riportarla a casa. E non c’è altro modo che questo”,
    “A dire la verità, signore, non sappiamo nemmeno dove l’abbiano spedita esattamente. E’ inverosimile che possiate raggiungerla”,
    “Lo so io dov’è andata: ha chiesto il posizionamento vicino alla linea del fuoco, quindi questo significa che deve essere molto vicino a dove ora c’è qualche battaglia in corso. Sai dirmi se è in atto qualche battaglia importante, George?”.
    L’uomo ci pensò su; poi rispose “Sì, signore: da quello che so è in corso uno scontro decisivo sul fiume Somme; ma non possiamo essere certi che la signorina Candy si trovi proprio laggiù”,
    “Se il suo desiderio è stato esaudito, le alte sfere l’hanno mandata proprio là, invece: vicina alla linea del fuoco!”,
    “Comandi, signore!”,
    “Desidero che contatti immediatamente quel funzionario del Consolato Francese, dicendogli di venire qui da me.. no, è meglio se vado io da lui, la zia non deve sapere nulla fino a cose fatte, e nemmeno gli altri”,
    “Vado subito, signore” si inchinò George.

    Nell’Agosto del 1916, William Albert Andrew partiva per la Francia, arruolato in un battaglione diretto sulla Somme.





    (1)Altra corrente artistica che adoro, ancora presente in quel periodo.
    (2)Bee Gees, My world:
    Il mio mondo è il nostro mondo,
    e questo mondo è il tuo mondo
    e il tuo mondo è il mio mondo,
    e il mio mondo è il tuo mondo è il mio.

    Piangerò..
    Sono solo..
     
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    CAPITOLO 7
    I’LL STAND BY YOU


    Nota: il titolo è quello della bellissima canzone dei Pretenders.

    Settembre 1916.
    Oh,
    why you look so sad
    tears are in your eyes..(1)
    Albert stava fumando una sigaretta , seduto a terra dietro la tenda; da lì, si poteva vedere del tutto lo sfacelo del campo di battaglia prima dell’avanzamento del fronte: una distesa grigia ed incolore che si estendeva a perdita d’occhio, costellata di buche e trincee, e sferzata da un vento inclemente.
    Strana estate, quella; era ciò che pensò quando tirò un’altra boccata dalla sigaretta che reggeva in mano; aveva preso quel vizio più per non essere diverso dagli altri in compagnia, che perché ci provasse gusto; sorridendo, si disse come era incredibile che fosse cambiato così tanto in così poco tempo: l’uomo che amava la natura si era trasformato in un soldato privo di ogni entusiasmo.
    Anche il suo aspetto era in parte cambiato: per entrare nell’esercito aveva dovuto tagliare i capelli, rinunciando alla lunghezza, ma aveva voluto mantenere il volume alla sommità del capo(2); era dimagrito parecchio, cosa resa ancor più evidente dall’uniforme; ed ora, anche le sigarette, che spesso facevano compagnia alle sue dita..
    Ma tutto questo non era irreversibile. Quando fosse tornato in Patria, avrebbe ripreso il suo aspetto consueto, e forse avrebbe anche eliminato le sigarette!
    Quando fosse tornato..
    Se fosse tornato!
    Non capiva più quale fosse la sua vita, ormai.
    Non l’aveva trovata, no.
    Era stato spedito sulla Somme, e nessuno, nemmeno il Console, aveva potuto farlo trasferire altrove, una volta accertato che lei non si trovava lì.
    Ma a che scopo, poi? Non aveva idea di dove potesse essere; non sapeva nemmeno se fosse ancora viva, ora che lontano da casa non poteva più ricevere lettere, e nessuno si sarebbe certo premurato di informarlo in merito.
    Così, a conti fatti, adesso si trovava in una realtà che odiava da sempre, quella della guerra, e senza nemmeno credere alla metà dei motivi che l’avevano causata.
    La guerra.
    Uccidere.
    Veder morire.
    E forse, essere anche ucciso.
    Sentiva di avere tradito tutto ciò in cui aveva creduto un tempo, di aver tradito sé stesso: cosa accidenti ci faceva lui in quella guerra? Lui l’aveva sempre odiata, la guerra, la violenza!
    Ma allora, perché era lì?
    Domanda senza senso!
    Per lei!!
    Eppure, non l’aveva trovata!
    Si asciugò in fretta una lacrima sfuggitagli tra le spirali del fumo.
    Don’t be ashamed to cry!(1)
    Guardò in alto, verso i nuvoloni grigi che gravavano sul crepuscolo; e si chiese se anche sulla sua vita non gravasse una pesante ombra scura, quella che gli aveva fatta perdere la direzione, e le aveva portato via lei.
    When the night falls on you,
    you don’t know what to do..(1)
    Non gli restava più nulla.
    Ma un briciolo del suo antico spirito era sopravvissuto a quello sfacelo: quello stesso spirito che aveva trasformato quella sua missione per uccidere in una missione per risparmiare quante più vite poteva.
    Era quello che cercava di fare: proteggere gli uomini del suo battaglione, risparmiandone quanti più poteva; si esponeva in prima persona, pur di salvare le loro vite; e se qualcuno, nonostante queste premure, veniva malauguratamente colpito, era suo compito portarlo immediatamente al sicuro, per fargli prestare le prime cure.
    Questa, purtroppo, era una cosa che accadeva spesso.

    Una detonazione squarciò l’aria; il rombo arrivò fin dentro l’ospedale.
    “Accidenti! E meno male che questa battaglia è solo un diversivo per allentare la presa su Verdun!”, una delle infermiere si turò le orecchie, sebbene avesse indosso un paio di guanti insanguinati,
    “A noi non importa di queste cose, Sarah! Noi siamo qui solo per curare i feriti!”, rispose un’altra infermiera con lunghissimi capelli scuri, e un paio di occhiali che le conferivano un’aria ancor più severa di quella che già avesse,
    “Scusa, Sarah, ma come fai a sapere queste cose? Sono particolari tattici!”, chiese una terza,
    “Ah, sai, Gertrude” sospirò la ragazza “il mio fidanzato me lo ha confidato l’altra notte! Dice che ha sentito due ufficiali che ne parlavano”,
    “Il tuo fidanzato? Vorresti dire il capitano Brownie?”,
    “Sì, proprio lui! Ed è il mio fidanzato, sapete!, sbottò l’altra con stizza,
    “Ma dì un po’, cosa pensi che direbbe tua madre se sapesse che hai dormito insieme a lui?”,
    “Dica quello che le pare! Qui ci crolla tutto addosso! Possiamo non esserci più tra un minuto! Dobbiamo prendere quel poco che possiamo avere! Cosa vuoi che me ne freghi della reputazione!”.
    L’altra si rivolse alla mora, che se ne era restata silenziosa, ignorando del tutto il battibecco fra le altre due “Tu che ne dici, Flanny?”,
    “Dico che fareste meglio a sbrigarvi a bollire quelle siringhe!”, tagliò corto quella.
    Prese in mano un cesto con alcuni strumenti chirurgici, e uscì con passo deciso.
    “Che tipo, eh?”,
    “Puoi dirlo forte! E’ dolce come il rabarbaro! Non mi stupisce che non si sia fatta amiche fra noi colleghe, né che non abbia un fidanzato!”,
    “Secondo me è lei che li fa scappare, con quel caratteraccio!”.
    Scappare. Era la parola esatta. Quello che esatto non era, era chi scappasse.
    Non gli spasimanti. Non i potenziali amici.
    Era Flanny a scappare.
    Da cosa, non avrebbe saputo dirlo nemmeno lei.
    Hey, what you got to hide?(1)
    Le rovine che aveva lasciato dietro di sé quando aveva abbandonato l’America, continuavano ad osservarla dagli angoli del suo cuore, simili a cecchini pronti a colpire; la facevano vergognare di sé stessa, come una reietta; e d’altronde, come poteva definirsi la figlia di un fallito alcolizzato e di una donna violenta? Una i cui fratelli si rotolavano nel fango delle strade, anziché andare a scuola o ad imparare un mestiere?
    No, quello era un marchio di vergogna. Un segno a fuoco sulla pelle del cuore, che la metteva in guardia dal credersi uguale a tutti gli altri.
    Dolore e vergogna. Vergogna e dolore. Non c’era niente altro nella sua vita.
    Molto meglio, allora, innalzare un muro. Un muro di ghiaccio, capace di proteggerla nello scrigno che si era faticosamente costruita: quello della perfetta infermiera.
    Tutto per nascondere il suo marchio di vergogna. E nulla più.
    Quella doveva essere la sua missione, il suo riscatto nella vita.
    Niente debolezze, niente cedimenti a quello che poteva scaldare il cuore degli altri; e se ci si fosse provata, c’erano sempre i suoi cecchini personali a riportarla all’ordine!
    Si asciugò una lacrima, sfuggita non sapeva come al suo ferreo autocontrollo: le ci erano voluti anni per costruirsi quella corazza di gelo che serviva a proteggerla dal giudizio altrui. E forse anche da sé stessa.
    So, if you’re mad, get mad,
    don’t hold it all inside..

    And when..
    when the night falls on you, baby,
    you’re feeling all alone..(1)

    “Infermiera Hamilton! Venga, presto!”.
    Flanny si precipitò nel tendone, ligia al proprio dovere come sempre.
    Vide subito quale fosse la situazione: il maggiore Andrew aveva portato un ferito, un ragazzo di forse diciotto anni, con una granata nello stomaco ed un braccio in cancrena; il giovane gemeva dolorosamente su di una branda improvvisata.
    “Bisogna amputare il braccio, non c’è un istante da perdere! Poi, provvederemo al resto”,
    “Si salverà, dottore?”,
    “Io non sono un mago, maggiore. Qui facciamo l’impossibile per salvare vite umane, ma senza averlo operato prima non posso garantirle nulla!”.
    Spostando con malagrazia Albert, Flanny si avvicinò al ferito.
    “Il tavolo operatorio è pronto, dottore. Possiamo procedere”,
    “Molto bene. Aiutatemi, avanti!” gridò il dottore rivolto a due colleghi giovani, i quali sollevarono il ragazzo e lo portarono via. Flanny tenne loro dietro.
    “Signorina..” Albert la afferrò per un braccio “lo salverete, non è vero?”,
    “Ha sentito il dottore” rispose freddamente lei “adesso mi lasci andare a fare il mio mestiere!”.
    Sgusciò via dalla sua presa, infastidita da quel tocco così caldo e potente sul suo braccio.
    Mentre raggiungeva il medico presso il tavolo operatorio, Flanny sentiva ancora quello sguardo color del cielo pesare sulla sua schiena.
    Il maggiore Andrew.. un tipo strano, si era detta molte volte: schivo, triste, perennemente pensieroso; preferiva restarsene appartato in un angolo a fumare da solo piuttosto che unirsi ai suoi uomini per una rumorosa partita a carte o una bevuta; non parlava mai della sua famiglia, ammesso che ne avesse una; non dimostrava nessun entusiasmo negli attacchi, come ci si aspetta che si faccia in guerra.. che accidenti ci faceva un tipo simile in una guerra?
    I suoi occhi di zaffiro conservavano un’ombra perenne; nessuno riusciva a valicare le sue difese.
    Let me see you through
    ‘cause I’ve seen the dark side too..(1)
    C’era qualcosa, in lui, che non riusciva a capire, qualcosa che la turbava.. perché la attraeva!
    Flanny sentiva che lei e quell’uomo misterioso e bellissimo avevano il medesimo destino: quello di portare da soli un enorme peso dentro l’anima.
    I get angry too
    Well, I’m a lot like you..(1)
    Entrambi erano chiusi in un muto e violento dolore, forse fatto di vergogna, disistima di sé, che non potevano condividere con nessuno; entrambi erano dei soli, in un mondo loro ostile.
    Entrambi si tagliavano quotidianamente il cuore con i frantumi delle loro vite.

    Raggiunse il dottore che già stava procedendo con l’amputazione del braccio; il ragazzo mugolava, stordito dall’etere(3); un po’ di sangue colò giù per il tavolaccio, mentre la lama proseguiva la sua tragica corsa.
    “Sutura!” ordinò il medico; Flanny si mosse immediatamente, pronta come sempre, porgendogli l’ago e gli altri strumenti.
    “Adesso procediamo con lo stomaco!”, tornò ad ordinare il dottore,
    “Bene” rispose l’infermiera Hamilton.

    Seduto nel suo eterno angolo di solitudine, Albert attendeva in silenzio l’esito dell’operazione; si era affezionato a quel giovane, che gli ricordava un po’ Anthony con i suoi occhi sorridenti, e la sua passione per le rose bianche; sperò con tutto il cuore che si salvasse.
    Dopo un paio d’ore vide avvicinarsi Flanny, il grembiule imbrattato di sangue e un’espressione di sconfitta sul viso.
    Immediatamente si alzò in piedi.
    “Allora, infermiera?”,
    “Mi dispiace. E’ morto”.
    Albert ricadde sulla sedia, gli occhi sbarrati, le labbra mute.
    “Non si affligga, maggiore” riprese Flanny, nel maldestro tentativo di consolarlo “non è né il primo, né l’ultimo”.
    A quel punto, Albert ritrovò la voce.
    “Forse lei sarà abituata a veder morire la gente, infermiera” alzò la voce con un tono aggressivo che non gli era consono “ma per me quel ragazzo era più di un semplice compagno di battaglia!”,
    “E’ stato fatto il possibile; sono veramente spiacente, maggiore. Però non creda che osservare la morte sia un’abitudine piacevole per noi; semplicemente, abbiamo cercato di corazzarci, per non crollare a terra, e poterci rendere ancora utili agli altri; ora farebbe meglio a sedersi da qualche parte per riposare, ha una pessima cera”,
    Albert si risedette, lo sguardo perso nel vuoto “Sì, farò come dice”; Flanny fece per andarsene. Ma un attimo prima di allontanarsi del tutto si girò di nuovo verso di lui.
    “Ah, maggiore..”,
    “Cosa?”, chiese lui cercando di trattenere le lacrime,
    “Non creda che anche io non abbia pianto per la gioventù spezzata del suo amico, anche se sul mio viso non vede lacrime, ora”.

    **********

    “Complimenti, capitano Strong: la sua mano è completamente guarita!”,
    “Allora i complimenti andrebbero fatti a lei, Dottor Mean!”,
    “Bé, io ci ho messo le mie competenze; ma lei ha tirato fuori una grinta incredibile! Adesso, se vuole, può ritornare ad operare in trincea”,
    “Veramente avevo un’altra idea, dottore: mi piacerebbe restare con voi, qui”,
    “Uhm, non è un’idea cattiva.. si potrebbe fare, in fin dei conti abbiamo bisogno di un altro ufficiale medico qui.. d’accordo, vedrò di accontentarla!”,
    “Grazie, collega!”.
    I due si diedero un’amichevole stretta di mano; poi, il Dottor Mean si allontanò, verso due portantini con un nuovo ferito.
    Così rimarrai a farci compagnia?” chiese una voce di donna alle sue spalle,
    “Sì, Candy. Il mio aiuto qui può essere prezioso, e desidero dare il meglio, in questa sporca guerra che tira fuori solo il peggio!”,
    “Così lavoreremo assieme”,
    “Per me sarà un vero piacere”,
    “Anche per me” sorrise Candy.

    La collaborazione tra Candy e Michael fu proficua sin dal principio: Mean ne era molto soddisfatto. Insieme erano riusciti a salvare molte vite, in alcuni casi addirittura a evitare le amputazioni, e nei casi più gravi, a rendere più lievi le ultime ore del ferito.
    Candy lavorava febbrilmente e in modo ineccepibile, la testa e gli occhi sempre bassi sul tavolo operatorio o sulla branda, le mani continuamente impegnate, come avrebbe voluto impegnare la mente.
    “Dovresti riposarti, ogni tanto” fece Michael passandole accanto,
    “Devo prima finire questa fasciatura”,
    “La posso finire io; tu va’ a riposarti!”,
    “No, Michael, io..”.
    Si interruppe di botto: perché nel battibecco di parole le mani di lui avevano afferrato le sue.
    Alzò lentamente il viso, puntandogli in faccia uno sguardo stralunato.
    “E’ meglio se ti riposi, Candy”, ripeté lui rimarcando le prime parole e con un tono che non ammetteva repliche.
    Candy cedette.
    “Va bene: andrò a prendere una boccata d’aria”.
    Non voleva ammetterlo con sé stessa, ma dopo quel contatto accidentale le era mancata l’aria: si era sentita chiusa in un angolo, messa alle strette, indifesa davanti a due occhi inquisitori; e pertanto aveva preferito scappare via, prendendo la prima scusa disponibile.
    Ma l’inquisitore non aveva intenzione di mollare la presa.
    “Perché vuoi morire, Candy?”.
    Si voltò di scatto “Cosa fai qui fuori?”,
    “Volevo parlarti. Da soli. Dunque rispondimi, Candy”.
    Da lì, si udivano chiaramente i rombi di lontane detonazioni, dal punto dove si era spostato il fronte.
    “Io sono già morta. Da molto tempo”.
    Lui le si avvicinò, in silenzio.
    “Come lo hai capito?”,
    “Basta guardarti: sembri una macchina da guerra, stai sempre a lavorare senza fermarti, né giorno, né notte; sembri insensibile a tutto, e poi i tuoi occhi..”,
    “Cos’hanno i miei occhi?”,
    “Sono spenti. Morti. Privi di vita. Già quando mi hai parlato del tuo abbandono di Chicago e della tua vita l’ho capito.. tu non eri così, Candy; e non si va in una guerra con tanto entusiasmo!”;
    Candy si voltò da un lato, incrociando le braccia “Complimenti per la perspicacia!”;
    Michael le si avvicinò di più e la prese per le spalle “Cosa vuol dire sono morta, eh? Dimmelo, Candy! Perché io non capisco davvero perché una giovane donna bella, ricca e da tutti amata e stimata debba preferire una guerra alla sua vita!”,
    lei sorrise di sbieco “Forse non sono amata quanto credi”.
    Lui lasciò scivolare la mani dalle spalle di lei “C’entra.. un uomo.. vero? E’ per un uomo che sei finita qui?”,
    “Che senso ha parlarne, ormai? Lui non mi appartiene! Anzi, non mi è mai appartenuto!”,
    “Sei qui per dimenticarlo?”,
    “O per farmi ripulire la memoria da una bella granata: fai tu!”,
    “Ma non si va a morire per questo! Non si rinuncia a vivere, per questo! Torna a casa, Candy, e cerca di riprendertelo!”,
    “E’ impossibile, ormai. Lui non può più amarmi. E’ perduto. Per sempre”.
    Silenzio. Dopo una pausa, l’ufficiale riprese “Albert lo sa?”,
    “Che cosa dovrebbe sapere?”,
    “Che lo ami. E che sei andata in guerra per dimenticarlo”,
    “Albert?!?”.
    Michael credeva che il responsabile di tutto fosse Albert. Lei, in guerra per lui.
    Lei. Innamorata. Di Albert.
    Il breve silenzio che aveva tenuto dietro al suo stupore fu una risposta per l’ufficiale.
    “Non è Albert?”,
    “Purtroppo, non è così facile!” rispose con un sorriso amaro.
    E gli parlò di Terry, del loro amore e della loro disperata separazione.
    E delle cause che l’avevano portata.
    “La mia vita è finita quella notte. Su quel dannato terrazzo”,
    lui le mise una mano su una spalla, mentre le lacrime si impossessavano del bel viso di lei.
    “Te l’ho detto: che senso ha parlarne ancora? Lui è volato via!”.
    Volato via: come stavano facendo migliaia di giovani vite in quel terribile conflitto.

    **********

    Flanny sedeva sul duro terreno riarso dai bombardamenti; osservava l’orizzonte grigio, in un raro momento di pace.
    Un raro momento in cui la coscienza di ciò che aveva lasciato in Patria sembrava sparire, permettendole di essere come tutti gli altri.
    Sorrideva, lo sguardo rivolto a quell’orizzonte desolato, la mente libera da pensieri.
    Ma un rumore alle sue spalle la riscosse.
    Si voltò, e vide un ufficiale in piedi dietro lei.
    “Le spiace se mi siedo?”,
    “No, si figuri, maggiore.. prego”, fece un gesto con la mano per invitarlo.
    Albert si sedette “Grazie”.
    Fissarono entrambi gli occhi verso l’orizzonte.
    “Mi spiace per le cose che le ho detto ieri: mi scusi”,
    “Non si preoccupi, ho già dimenticato; capisco cosa si prova a vedere morire chi ci è caro: il dolore ha la meglio sulla ragione”,
    “Già; specialmente se non si approva la guerra!”,
    “E lei non la approva, maggiore, vero?”,
    “Affatto”, Albert chinò lo sguardo verso il basso,
    “Così, anche lei è una vittima della reclutazione forzata..”,
    lui sorrise “No, non proprio”;
    Flanny lo guardò interrogativa.
    “Ero qui per cercare una persona” riprese Albert “ma è stato tutto inutile: non è qui, chissà in quale parte del fronte possono averla mandata.. potrebbe anche essere morta!”.
    Flanny abbassò lo sguardo anche lei “Mi spiace, maggiore; le auguro di ritrovare la sua amica”.
    Albert alzò un sopracciglio “Come fa a essere sicura che si tratta di una donna?”,
    “E’ sempre così: quando un uomo è al fronte, c’è sempre una donna che lo aspetta a casa!”;
    Albert addolcì di nuovo la sua espressione, riprendendo quel sorriso che gli era consueto “E lei, infermiera Hamilton, ha un uomo che l’aspetta a casa?”.
    E vide scendere un’ombra sul volto di lei, di solito così fiero e compassato.
    “Ho detto qualcosa che non va?” cercò di correggere il tiro,
    “No, affatto” Flanny non alzò lo sguardo “semplicemente, non c’è nessuno che mi aspetta, a casa”,
    “Mi dispiace, scusi; non sapevo fosse sola al mondo”,
    “Non tutti hanno la fortuna di essere amati, maggiore..”,
    “Ma tutti ne hanno il diritto!”.
    Don’t be ashamed to cry
    Let me see you through
    ‘cause I’ve seen the dark side too(1)
    Lentamente, la ragazza alzò lo sguardo verso il suo interlocutore.
    “Lo crede davvero, maggiore?”; lui annuì col capo.
    “Sarebbe bello, se fosse vero”, tornò a osservare la punta delle proprie dita “ma certe persone non lo meritano. Non ne sono degne”,
    “Non la penso affatto così: non c’è creatura che venga al mondo, che non meriti un po’ d’amore”,
    “Forse la vergogna è un marchio bastevole ad allontanare qualunque affetto da.. certe creature”,
    “Ma lei non è una di queste, infermiera!”.
    Flanny sussultò: tutt’a un tratto la voce dell’uomo le era sembrata inopportunamente vicina; alzò la testa e se lo ritrovò a pochi centimetri dal suo viso, gli occhi di zaffiro di lui che scavavano con dolcezza nei suoi d’ebano.
    Poteva sentire il suo fiato caldo sul viso; e ne fu spaventata, immensamente spaventata.
    Era la prima volta che aveva un incontro così ravvicinato con qualcuno, soprattutto con un uomo; aveva sempre tenuto a distanza le persone, quasi rifiutasse il contatto fisico: sua madre l’aveva sempre trattata in modo rude, rimproverandola, facendola vergognare di sé stessa come donna e come persona; l’aveva fatta sentire sporca, immeritevole; una donna così non meritava di avere contatti con un uomo. Nessun tipo di contatto.
    Di più, non doveva avere contatti con nessuna persona, uomo o donna che fosse!
    E suo padre, poi, non ne parliamo! Lui, con le percosse alcoliche, aveva cementato la sua inconscia convinzione.
    Era per quella ragione che lei aveva, col tempo, eretto un muro tra sé e il resto del mondo: quel muro era la sua difesa, che la proteggeva da quel contatto della vergogna, ed al contempo le conferiva un’aria di fiera sicurezza.
    Anni passati ad impegnarsi, a buttarsi a capofitto nello studio e nel lavoro, per seppellire il più possibile quel senso di vergogna, di infamia che si portava dentro.
    Quella famiglia che era un nido d’infamia per le sue condizioni: padre alcolizzato, madre violenta, fratelli ladruncoli.
    Quella famiglia che le aveva fatto avere ribrezzo di sé stessa.
    Solo con il costante impegno vi era riuscita; e il prezzo che aveva pagato era stata la cancellazione di qualunque sentimento.
    Era mai possibile che fossero stati sufficienti due occhi color del cielo per distruggere tutto?
    “Cosa.. cosa vorrebbe dire?”,
    “Che anche lei è una creatura degna di ricevere amore: non lo dimentichi mai, e non creda a chiunque le dica il contrario!”.
    When the night falls on you
    you don’t know what to do
    nothing you confess
    could make me love you less(1)
    La fredda infermiera sussultò ancora di più: Albert le stava passando la mano su una guancia, in una lieve carezza.
    Non sapeva perché, ma Flanny non riusciva a sciogliere quel contatto.
    Restarono così, occhi negli occhi, per un interminabile istante.
    Una sirena, improvvisa come un urlo nel silenzio, squarciò l’aria. Da un punto imprecisato, una voce gridò “Bombardamento in arrivo!”.
    “Accidenti, un attacco fulmineo!” Albert si staccò dalla donna “Presto, ripariamoci!”.
    La afferrò nuovamente cingendole le spalle, presero a correre assieme verso un rifugio di fortuna costruito dentro una trincea, attorniati da una moltitudine di figure umane in corsa, alcune in divisa da combattenti, altre da infermiere, le quali ora gridavano parole sconnesse, ora lanciavano acuti strilli, tutte correndo verso quella salvezza improvvisata.
    La porta del rifugio si chiuse; un attimo dopo le bombe iniziarono a fischiare, seguìte da forti esplosioni.
    Ad ogni esplosione, grida e strepiti.
    Istintivamente, Flanny si strinse al petto di Albert, che l’accolse fra le sue braccia.
    Un abbraccio caldo e confortante, come non ne aveva mai sperimentati in vita sua: mai nessuno l’aveva abbracciata.
    I’ll stand by you
    won’t let nobody hurt you(1)
    L’ampio petto di Albert emanava un calore del tutto sconosciuto.. e con grande stupore di sé per prima, non riuscì a staccarsene.
    Non ne provò ribrezzo. Non provò vergogna.
    Provò solo sollievo, e un calore intenso e sconosciuto.
    “E’ finito?” chiese uno dei soldati,
    “Pare di sì” gli rispose un altro.
    La porta del rifugio fu aperta cautamente, e alcuni temerari ne uscirono.
    “Venite, è finita!”.
    A poco a poco, come formiche da un formichiere, gli assediati uscirono, guardandosi attorno spaesati nel campo devastato.
    Ancora frastornata e stupita di sé stessa, Flanny uscì fuori dal rifugio, un braccio sorretto dalla mano di Albert.
    “Santo Cielo! L’ospedale!!”.
    La tenda che fungeva da ospedale da campo era stata rasa al suolo, ed ora i corpi dei feriti giacevano mutilati tra il sangue, i resti del tendone e i brandelli dei corpi di coloro che erano stati colpiti direttamente.
    La sua vocazione da infermiera tornò a farsi sentire.
    “Io.. devo andare adesso, maggiore; grazie.. di tutto!”,
    “Dovere, infermiera!”.
    Con un sorriso affettato, lei si allontanò, mente il suo corpo tornava a sentir freddo, lontano dall’abbraccio caldo e forte di Albert.
    “E non lo dimentichi mai!!”.
    Flanny si girò di scatto: la voce di lui l’aveva raggiunta e colpita inaspettata come una dolce frustata.
    Ma cosa esattamente non poteva dimenticare?

    **********

    “Passami una benda di garza, Candy, per favore”,
    “Eccola, Michael”,
    “Grazie. Ecco fatto, sergente; può tornare alla sua branda”,
    “Grazie mille, dottore!”,
    “E di cosa? E’questa la mia missione. Piuttosto ringrazi il Cielo di averle limitato i danni solo a queste ferite, peraltro facilmente guaribili: a molti dei suoi commilitoni è andata assai peggio!”,
    “Sa, dottore”, fece il soldato alzandosi dal lettino operatorio “non ero credente, prima di venire in guerra; ma ora debbo ammettere che mi sto ricredendo: chi, se non Dio, mi avrebbe salvato durante tutte quelle notti in trincea, mentre vedevo i miei compagni cadere giù come fili d’erba falciati? Lui mi ha voluto risparmiare per qualche motivo che a me non è noto, e pertanto io ho il dovere di rendere bella e ricca la mia vita: quando tornerò a casa, e riabbraccerò mia moglie e mio figlio, faremo insieme grandi cose!”,
    “Sono contento di sentirglielo dire, sergente”, il medico gli diede una pacca sulla spalla “però adesso torni a riposare: i suoi cari la vogliono in forma, al suo ritorno!”,
    “Certamente, dottore! Grazie”.
    “Lo pensi davvero?” chiese Candy a Michael quando il soldato si fu allontanato,
    “Cosa?”,
    “Che quel ragazzo potrà tornare a casa. Che tutti noi potremo tornare a casa. Tra poco sarà Natale”,
    “Lo spero, Candy. Tutti noi dobbiamo sempre sperare in un domani migliore”.
    Erano ormai alcuni mesi che l’infermiera Candy Andrew e il dottor Michael Strong collaboravano in un ospedale da campo; anche se il fronte di guerra si era ormai spostato da tempo sulla Somme, qualche scaramuccia permaneva ancora in tutta la Woevre, soprattutto ad opera delle feroci mitragliatrici aeree Tedesche, da poco rese più micidiali dall’industria bellica in Patria; i feriti erano ancora numerosi, e l’aiuto di un dottore in più si era dimostrato prezioso, come quello di un’infermiera abile qual’era Candy.
    Insieme avevano salvato molte vite, e non solo strappandole alla morte, ma anche e soprattutto garantendo loro una vita dignitosa, con un corpo integro: le amputazioni erano state ridotte ai soli casi strettamente necessari; in tutti gli altri casi, il Dottor Strong aveva utilizzato nuove tecniche di cui era a conoscenza per curare le ferite di guerra, e molti soldati gliene erano stati grati.
    Erano una coppia vincente, lo aveva visto.
    Ma lei era spezzata in due, più di quanto non lo fossero certi corpi dalle bombe in trincea: se infatti da un lato era lieta di stare svolgendo la sua missione al meglio, dall’altro sapeva di aver fallito a metà di essa. La morte sul campo.
    Non era forse partita anche per questo? D’altronde, in Patria non aveva più una vera vita: dopo la perdita di Terence, non le restava più nulla per cui valesse davvero la pena vivere.. Albert, Annie, gli altri.. li amava, sì, ma non abbastanza da poterli mettere al centro della propria esistenza; e loro avevano assistito, impotenti, alla sua sofferenza.. cosa potevano fare per lenirla? Dopo tutto, pensava che se la sarebbero cavata meglio senza di lei.
    Il Cielo non l’aveva esaudita nel suo desiderio di morire, e lei aveva troppo rispetto della vita (soprattutto dopo averne viste sprecate tante troppo facilmente) per tentare di togliersela; ma l’idea di quel vuoto che l’attendeva al suo ritorno era troppo difficile da sopportare: sola, sarebbe stata sola. Dopo avere respinto Albert, e dopo che Annie avesse sposato Archie (se non lo aveva già fatto), coloro che amava si sarebbero inevitabilmente allontanati da lei; sarebbe rimasta nel silenzio di quella piccola casa vuota, che puzzava di ricordi in ogni angolo, e l’idea non era delle migliori.
    Per questa ragione, viveva quel tempo in guerra come sospeso, un tempo fuori dal tempo che, seppur terribile, avrebbe voluto egoisticamente non finisse mai, perché almeno dava un senso alla sua vita.
    “E chi non lo avesse, un domani?”, ribatté alla constatazione dell’amico dandogli le spalle, mentre riponeva alcuni medicinali in un armadio,
    “Ma che stai dicendo? C’è sempre un domani!”,
    “Non per tutti, forse”,
    “Ti sbagli, Candy!”, la voltò con malagrazia verso di sé “chiunque di noi si sia salvato da questa orribile guerra ha un domani! E sprecarlo sarebbe un peccato mortale!”.
    Candy si sciolse dalla sua presa, ma tacque; allora, lui la incalzò.
    “Non dargli il tuo domani, Candy: non sacrificargli la tua vita, è l’unica che hai! E lui non lo merita!”.
    Allora lei scattò “Come puoi dire questo? Ti ho detto perché ci siamo lasciati: la sua è stata una scelta sofferta e nobile, non un atto di vigliaccheria!”,
    “Ah, davvero? Allora perché era caduto in quello stato? Ubriacarsi e perdersi non è un gesto nobile! Io dico che è un gesto da vigliacchi! Come è stato vigliacco a non portarti via da quella scuola assieme a lui, per iniziare una nuova vita solo vostra! Invece ti ha lasciato a soffrire laggiù, e se ne è andato in America a realizzare i suoi sogni da solo, finché non è venuto tutto il resto! Mi spiace, ma non posso approvare un uomo così, Candy!”.
    Si interruppe solo quando vide che la sua interlocutrice stava piangendo calde lacrime, per andarle vicino ed abbracciarla.
    “Candy.. non volevo ferirti, perdonami! E’ solo che non riesco a perdonarlo di averti ridotta in questo stato. Tu eri una persona bella, solare e luminosa, e adesso sei un rottame che vorrebbe morire da un momento all’altro.. ma non è così, Candy, non puoi volere annullarti: non servirebbe. La vista di tutto questo dolore e della morte non ti ha insegnato nulla? Se fosse così, avresti ucciso una seconda volta quella povera gente a cui volevi cercare di salvare la vita. Sprecheresti il loro sacrificio.. e il tuo venire qui sarebbe stato inutile. Ricordi cosa stava dicendo quell’uomo, prima? Se Dio ti ha risparmiato, vuol dire che Lui solo sa che un motivo c’è; e tu non puoi respingere il Suo volere, ma devi cercare di essere grata a Lui per averti salvata dai mille pericoli che ti circondano, rendendo bella ed unica la tua esistenza; so che all’inizio non sarà facile, ma ci devi riuscire! Ci sono altre persone che ami: i tuoi amici, Albert, Miss Pony e Suor Maria, i bambini che ami come tuoi fratellini.. non puoi dar loro questo enorme dolore, Candy!”.
    Lei gli si abbandonò tra le braccia, in lacrime.
    “E poi” riprese lui “se vorrai, ci sarò anche io: mi ero fatto trasferire al Santa Johanna di Chicago prima di partire, e potremo continuare a lavorare insieme. Vuoi?”.
    Lei annuì, senza alzare la testa dal suo petto, né smettere di piangere.
    “E avevo in mente anche qualcos’altro” continuò lui “quando torneremo a casa, potremmo aprire uno studio medico privato, solo noi due. Ti posso fare studiare da medico, ormai durante la guerra molte donne hanno occupato in Patria il posto dei mariti al fronte, dimostrando il loro valore e le loro capacità, e dimostrando al contempo l’inconsistenza di tutte quelle pseudo-teorie che le volevano incapaci di fare alcunché! E’ la sola cosa buona che questa altrimenti orribile guerra abbia portato! Potresti diventare un medico, ed aiutarmi a portare avanti lo studio. Che dici, ti piace l’idea?”.
    Candy aveva sollevato il viso, ancora inondato dalle lacrime, e piantandogli in viso uno sguardo più sofferente che convinto, annuì ancora.
    “Molto bene” la baciò in fronte “adesso alziamoci e torniamo al nostro lavoro; e non piangere più, sei più carina quando sorridi, sai!”.
    Candy sorrise tra le lacrime, ricordando quelle stesse parole dette da un’altra persona(4).
    Presi alcuni strumenti, Michael uscì dalla stanza, mentre lei si ricomponeva. Ciò che le aveva messo davanti era tutto terribilmente vero: era sopravvissuta, e doveva andare avanti. Doveva continuare a vivere. Per sé. Per coloro che amava. Per coloro che invece la vita l’avevano perduta tragicamente.
    Ma niente sarebbe più stato uguale a prima, per lei.
    Perché della sua vita restavano solo frantumi, e rimettere insieme i frantumi di qualcosa di rotto, non significa avere l’oggetto che si aveva in precedenza. Significa avere un oggetto rotto.
    Perché due pezzi non saranno mai più uno.
    E lei lo sapeva.

    **********

    Gennaio 1917.
    Sebbene la battaglia campale fosse terminata, sulla Somme persistevano ancora sporadici scontri.
    Presto l’ospedale sarebbe stato spostato più vicino alla linea del fronte.
    Flanny aveva continuato ad assolvere ai suoi compiti da infermiera in modo ineccepibile: esteriormente, era sempre la stessa, professionale e rigida. Ma a ben vedere, qualcosa in lei era cambiato; qualcosa di bello in lei stava crescendo.
    Tra lei ed Albert non si può dire fosse nata una vera e propria amicizia, dopo l’episodio del bombardamento, ma si parlavano amichevolmente ogni volta che si incontravano, cosa che accadeva spesso; lei arrossiva ancora, al ricordo delle sensazioni che aveva provato tra le sue braccia, e non sapeva spiegarsi il perché. Era una cosa che la metteva in un evidente disagio, lei, l’infermiera di ghiaccio, così chiusa e impenetrabile da far credere a tutti, a volte, di non avere nemmeno un cuore.. Nessuno al mondo poteva immaginare che tutta quella freddezza fosse in realtà una maschera, una corazza per celare al mondo intero la sua vergogna; ma dentro di sé ardeva un inferno di sentimenti violenti e tormentati: era stanca, tanto stanca di quella logorante guerra, stanca di vedere membra strappate, giovani vite spezzate, occhi vitrei che fissavano il vuoto, era stanca di veder tornare sempre meno aviatori dalle missioni aeree rispetto a quanti ne erano partiti, era stanca di scrivere messaggi d’addio rivolti a famiglie che mai si sarebbero consolate della loro perdita.. sì, avrebbe voluto tanto tornare a casa!
    Ma cosa la attendeva, al suo ritorno in Patria? Non un nido sicuro, un porto dopo i marosi della guerra, bensì un nido di serpi, dove i singoli componenti si guardavano con astio e sospetto; non un luogo di affetti consolatori, bensì un mattatoio di accuse reciproche che ferivano come le armi che stava vedendo adesso.. cosa aveva da guadagnare, al suo rientro?
    Aveva pensato spesso all’ipotesi di non tornare mai più: si sarebbe fatta credere morta, sarebbe restata lì, in quelle terre devastate, a dare una mano negli ospedali delle città, o in altro modo; forse, col tempo, avrebbe anche potuto farsi una famiglia sua, chissà.. No, stava solo sognando: che accoglienza poteva ricevere una donna fredda come lei, che non sapeva aprire il suo cuore agli altri, soprattutto in una terra sconosciuta, straniera?
    Era un’esule. Un persona senza radici. Senza passato né futuro.
    Mentre ultimava la medicazione a un soldato con la testa fasciata, si chiedeva che senso avesse la sua esistenza.
    “Come andiamo, Pete?”, una voce familiare la riscosse dai suoi pensieri,
    “Molto meglio, signore. Il dottore dice che tra non molto recupererò del tutto l’uso dell’occhio, fortunatamente, il gas non era in quantità sufficiente da far danni permanenti!”,
    “Devi ringraziare anche la signorina Flanny, che ti ha assistito così bene” fece notare Albert,
    “Naturalmente, signor maggiore!”,
    “Tornerai a casa molto presto: sei contento?”,
    “Sì, signore. Potrò rivedere la mia fidanzata e ci sposeremo”,
    “Le mie congratulazioni, Pete!”,
    “Grazie signore!”.
    Flanny si era allontanata un po’ dai due uomini, dato che si sentiva di troppo in quella conversazione; stava riponendo delle boccettine in un armadietto a muro; ma dopo avere lasciato il suo soldato, Albert si avvicinò a lei.
    “Le posso essere d’aiuto, Flanny?”,
    “Non è necessario, maggiore, grazie!”,
    “Tutti qui hanno una gran stima di lei, a quanto pare”,
    “Faccio solo il mio dovere”,
    “Il soldato Stevenson potrà tornare a casa e sposarsi grazie a lei”,
    “Ne sono lieta”, finì di sistemare e fece per andarsene, ma Albert la bloccò con una domanda imprevista “E lei, Flanny?”,
    “Io.. cosa?”, si girò,
    “Non ha un fidanzato?”,
    “No”,
    “Allora, è la sua famiglia ad attendere il suo ritorno”,
    “No. I miei sono tutti morti”,
    “Mi dispiace, è triste che non abbia nessuno! Mi perdoni se gliel’ho chiesto”,
    “Non si preoccupi”.
    All’uomo non sfuggì che la mano dell’infermiera tremava leggermente.
    “La vedo stanca. E’ stata una giornata molto intensa oggi, immagino”,
    “Come sempre. Dieci interventi, e qualche amputazione”,
    “So che non deve essere facile, Flanny”, la voce di lui adesso si era fatta più bassa e più calda; lei continuava a dargli le spalle, con la scusa di riporre rotoli di garza.
    “Vedere morire qualcuno non lo è mai. Tre degli operati non ce l’hanno fatta; uno era un ragazzo di soli diciotto anni.. la sua gamba era in cancrena, eppure mi sembra di vedere ancora i suoi occhi pieni di fiducia che sorridevano al futuro.. un futuro che adesso non avrà più..”.
    Albert si era avvicinato. Flanny si voltò di scatto, scoppiando in lacrime, e cercando rifugio tra le sue braccia.
    “Portami via! Portami via, ti prego!”.
    Albert le passò le dita fra i capelli, accarezzandola e la cullò leggermente.
    “Perché.. deve essere tutto tanto difficile?”, singhiozzava.
    Sollevò il viso, occhi negli occhi di lui.
    E inevitabilmente, unirono le loro labbra.
    Sospiri che si facevano appassionati, lingue che si cercavano.
    Il primo bacio della vita di Flanny, l’infermiera di ghiaccio.
    “Da quanto.. tempo.. volevo.. farlo..”, sussurrò lei,
    “Io di più!” rispose, sempre in un sussurro, lui.
    I’ll stand by you
    won’t let nobody hurt you(1)


    **********

    Aprile 1917.
    L’offensiva Tedesca si era spostata ad Arras, in Normandia.
    Gli aerei dei due schieramenti si facevano una lotta serrata, provocando caduti da entrambe le parti, e naturalmente anche sul campo.
    L’ospedale era stato spostato nelle vicinanze della città, dove arrivavano ogni giorno feriti e caduti.
    Michael e Candy non avevano un solo minuto di pace: dovevano assistere i feriti giorno e notte, anche riuscire a salvare pochissime vite; il loro compito era più che altro quello di alleviare le ultime sofferenze dei piloti e dei soldati che arrivavano vivi fino a loro, assieme al parroco del campo.
    Ormai erano mesi che lavoravano a stretto contatto, dividendo ogni attimo della giornata, e spesso pure della notte.
    Candy aveva riflettuto a lungo sulle parole dell’amico, che a poco a poco le erano entrate nel sangue e nel cuore, spinte soprattutto dalla stima che nutriva verso di lui: il vederlo curare con abnegazione indefessa i feriti, anche se si trattava di dare loro un ultimo conforto, aveva ammantato la sua figura di un alone di ammirazione riservata solo agli eroi che mettono in gioco la propria esistenza per salvare quella degli altri.
    Adesso l’idea di tornare a casa, e continuare a fare ciò che avevano fatto assieme al campo le si offriva come una luce di conforto a quell’alternativa buia di solitudine e dolore che le si prospettava davanti, da quando aveva accettato l’idea di continuare a vivere; diventare medico poi, sarebbe stata una valida prospettiva per dare un senso a quella vita che era stata ormai svuotata di ogni significato affettivo.
    Sarebbe presto iniziata una nuova era, nella quale anche alle donne veniva data la possibilità di una realizzazione in campo lavorativo: dunque, perché non approfittarne? Un mondo nuovo, in cui lei sarebbe stata una persona nuova.. pubblicamente, per lo meno; nel suo cuore, avrebbe serbato per sempre dentro di sé il suo dolore.
    “Possiamo interrompere, Candy”, Michael le pose una mano su una spalla; lei annuì e lo seguì nella stanza adiacente a quella operatoria, adibita a deposito di medicine.
    “Candy, era da tempo che volevo parlarti di una cosa”, iniziò lui appoggiandosi al muro,
    “Davvero? Di cosa?”, l’infermiera si tolse i guanti e si lavò le mani in un bacile,
    “Candy.. in questi quasi due anni noi siamo stati a stretto contatto.. abbiamo avuto modo di conoscerci, fare amicizia, lavorare insieme; abbiamo diviso molte cose.. e vorrei che fosse così sempre”.
    Candy iniziò a capire dove lui volesse arrivare.
    “Ecco, io.. ho avuto modo di.. innamorarmi di te, Candy.. sei una donna stupenda, che non merita la solitudine. Per cui.. ti chiedo di sposarmi, Candy; vuoi?”.
    La ragazza lo aveva ascoltato guardandolo negli occhi; ma al momento della domanda, tornò a dargli le spalle con la scusa di sistemare alcune garze.
    “Non credo funzionerebbe, Michael”,
    “Io sono convinto del contrario, invece: noi abbiamo molto che ci unisce! Crediamo nella medicina, nell’aiutare il prossimo; dividerci sarebbe uno sbaglio. Ricominciamo assieme il cammino nella vita, io voglio provarci assieme a te: abbiamo visto tanta morte, adesso riprendiamoci la vita!”.
    L’aveva raggiunta abbracciandole le spalle, ma lei non si era voltata.
    “Lo sai che non potrò mai amarti, vero Michael?”,
    “Lo so, non ti chiedo questo; ma voglio starti vicino, sostenerti, vederti addormentare e dividere con te ogni attimo facile e non; il cammino di questa vita è meno duro se non si è soli, Candy!”,
    “La mia vita affettiva è un mare di frantumi.. sei sicuro di volerli condividere con me? Potresti farti male..”,
    “Voglio condividere tutto con te!”,
    “Sarebbe inutile: ho solo macerie dentro! Frantumi, e null’altro! Non posso.. ricominciare! I mille pezzi non saranno mai più una cosa sola, non si può ricostruire qualcosa andata in frantumi”,
    “Sì, forse hai ragione; ma i pezzi messi insieme saranno sempre preferibili a un oggetto sbriciolato!”.
    Lei tacque. Non aveva argomenti per replicare a quell’affermazione.
    “So che hai bisogno di tempo; ma non preoccuparti, io ti aspetterò. Non voglio vederti soffrire”.
    I’ll stand by you
    Won’t let nobody hurt you..(1)
    Michael lasciò la stanza, con una perplessa Candy che gli dava ancora le spalle.



    (1)The Pretenders, I’ll stand by you:
    Oh,
    Perché sembri così triste
    Ci sono le lacrime nei tuoi occhi …

    Non vergognarti di piangere!

    Quando la notte scende su di te,
    non sai cosa fare …

    Hey, cosa hai ottenuto di nascondere?

    Allora, se sei pazzo, impazzisci,
    non tenerti tutto dentro..

    E quando..
    quando la notte scende su di te, piccolo,
    ti senti tutto solo …

    Lasciami vedere attraverso te
    perché anch’io ho visto il lato oscuro..

    Anch’io provo rabbia
    beh, sono molto simile a te..

    Quando la notte scende su te
    non sai cosa fare
    niente di ciò che confessi
    potrebbe fare che io ti ami meno..

    Ti aspetterò
    non permetterò a nessuno di farti del male…



    (2)Qui mi sto riferendo all’immagine finale di Albert nel manga.
    (3)L’etere stava sostituendo il cloroformio come anestetico.
    (4)Albert, vestito da Principe della collina.
     
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    CAPITOLO 8
    AIUTAMI


    Nota: il titolo di questo capitolo è ripreso da quello di una canzone di uno dei miei cantanti preferiti, Roby Facchinetti dei Pooh (che però ha inciso questo brano come solista).

    Ottobre 1917.
    La guerra crea strane unioni.
    Era ciò che pensava Candy in quella mattina autunnale, davanti ad un prete che aveva mascherato la sua tristezza con un sorriso forzato, e adattato uno squallido tendone da campo per farne una chiesa improvvisata; anche lei aveva parecchia improvvisazione addosso, con l’uniforme buona da infermiera spacciata per abito di nozze.
    Alzò gli occhi verso Michael, che al contrario appariva raggiante nella sua divisa, tirata a lucido per l’importante occasione.
    Lui era felice. Lui stava realizzando il suo sogno.
    E lei?
    Non poteva mentire a sé stessa: non lo era.
    Sposare Michael significava andare avanti, significava volere continuare a vivere; ma nulla più.
    Lei non ne era innamorata, e lui questo lo sapeva benissimo; in lui cercava solo quel sostegno di cui una persona ferita a morte come lei aveva bisogno per illudersi di potere ricostruire la propria esistenza, e lui aveva accettato quel ruolo perché la amava.
    Ho la mappa della mia vita in mano
    è usata, strappata, ci perdiamo..
    Aiutami.. aiutami..
    Sono io, sono il tuo tesoro..
    ma splendere è un lavoro..
    Trovami.. aiutami..
    fammi luce se non ci vedo
    dammi fiducia se non mi credo
    e se non vado aggiustami..
    .. Aiutami!!(1)
    Sì, Michael la amava: per lei aveva accettato l’ingrato ruolo di consolatore, lei che portava sul viso e nel cuore la triste rassegnazione di chi sa di dovere continuare a vivere; e il compito di lui sarebbe stato quello di non farla pentire, giorno per giorno, di aver dovuto accettare quella scelta.
    Il sacerdote del campo era lieto di potere celebrare un matrimonio dopo tanti funerali di giovani vite spezzate: nei suoi occhi stanchi uno sguardo paterno pieno di benevolenza, mentre benediceva la coppia, augurando loro ogni bene.
    “Vi auguro che possiate lasciarvi alle spalle questa guerra!”, concluse.
    “Grazie, padre”, Michael gli strinse la mano fra le sue; lo stesso fece Candy, me in un silenzio triste che fu scambiato per commozione.
    Appena usciti dalla chiesa improvvisata, Michael la prese tra le braccia e la baciò, dicendole “Ti amo, Candy! Ti prometto che da ora in avanti farò di tutto per renderti felice e farti stare bene!”.
    Aiutami
    non vorrei vergognarmi a dirti “ti amo”

    Quanto abbiamo pianto e combattuto
    non rompere quel che hai costruito
    aiutami … aiutati!
    Sono io la tua chiave, non spezzarmi
    non essere mia solo quando dormi
    aiutami, entusiasmami..!(1)
    Candy strinse a sé il piccolo mazzo di gigli e tulipani, convulsamente; tremava sotto il tiro incrociato di tante emozioni diverse e in conflitto tra loro: l’uomo che aveva davanti e che era appena diventato suo marito sarebbe stato il suo conforto, in quel crollo totale che era diventata la sua vita.. ma non poteva dire di amarlo.. lo stava usando? Eppure lui aveva accettato di sposarla, pur sapendo la verità.
    .. Non dovrei dirtelo..
    .. ma ho bisogno di te!(1)
    “Sarò il tuo sostegno, sempre”, disse lui, quasi le avesse letto nel pensiero; E riuscirò a farmi amare, avrebbe voluto aggiungere, prenderò nel tuo cuore il posto di quell’attore!
    “Non ne dubito, Michael”, gli sorrise Candy,
    “Starai bene, non ti mancherà nulla”,
    “Mi basta averti accanto”.
    Lei non aveva idea in quale misura ciò che il novello marito stava dicendole fosse vero!

    **********

    Novembre 1917.
    La guerra crea strane unioni davvero.
    Albert e Flanny se ne erano resi conto, ormai.
    Condividere il dolore giorno per giorno è qualcosa che unisce; e quale dolore più grande ci può essere della devastazione insensata di un conflitto?
    Ma non c’era solo il conflitto sul campo. No. I loro conflitti più grandi li portavano dentro.
    Albert non aveva più notizie di Candy da circa un anno e mezzo, cioè da prima della sua partenza; né era riuscito a rintracciarla al fronte, chiedendo tre le nuove infermiere che giungevano quotidianamente dagli scenari di altre battaglie; in certi momenti, dubitava persino che fosse ancora in vita.
    Ma nonostante tutto, aveva trovato qualcun altro di cui preoccuparsi. Flanny.
    Dal canto suo, Flanny si era legata a quel primo, inaspettato amore della sua vita, conosciuto come un fiore nato in mezzo alle macerie, che le aveva donato quel calore che le era stato negato per tanti anni, e che aveva in parte sanato le sue ferite; aveva cercato, e trovato, in quel bellissimo maggiore di Chicago una parte nuova e sconosciuta di sé stessa, una parte che non aveva più paura di amare e di mostrare le proprie emozioni; quella persona che portava su di sé la vergogna accusatoria di continui rimproveri ed umiliazioni immotivate era stata dismessa come un abito vecchio, per lo meno fino a che fosse rimasta al fronte: era assurdo, ma in quel palcoscenico di tragedie, lei aveva costruito una nuova sé stessa che amava molto, con la quale riusciva a convivere senza il doloroso senso di colpa e di vergogna che l’aveva tormentata fino allora, una sé stessa che le piaceva molto.
    Ho la mappa della mia vita in mano
    è usata, strappata, ci perdiamo..
    Aiutami.. aiutami..

    Sono un essere vivo e sudo emozioni
    piango e starnuto amore e odio(1)
    Insieme, avevano costituito un piccolo ma invincibile sodalizio, che permetteva loro di sopravvivere agli orrori quotidiani; tutto ciò che avevano era “qui ed ora”, e non si preoccupavano delle loro rispettive esistenze cariche di dolori che avrebbero trovato al ritorno in Patria.. perché erano sicuri che sarebbero sopravvissuti, la loro era una di quelle unioni invincibili fatta per superare qualunque avversità!
    E assurdo a dirsi, da un lato avrebbero voluto prolungare quello stato di cose per sempre, per non doversi dire addio e tornare alla dura realtà. Nonostante quel limbo fosse nato e cresciuto in un tempo di guerra.
    Verso la fine di quel Novembre, infermiera Flanny prese la sua grande decisione, da cui non sarebbe tornata indietro. Mai più.
    “Posso entrare?”, chiese l’infermiera, entrando nella tenda dove Albert alloggiava,
    “Flanny? Cosa fai qui a quest’ora?”,
    “Avevo bisogno di parlarti”,
    “Va bene, entra pure; ma cerca di non farti sentire, se si accorgessero che sei sola con me a quest’ora della notte..”,
    “Hai paura per la mia reputazione? Io non me ne sono mai preoccupata!”, rise lei.
    Per la verità, c’erano ben poche possibilità che qualcuno si accorgesse della sua visita ad Albert: i due ufficiali che dividevano la tenda con lui erano passati a miglior vita da un po’, e i soldati semplici non si recavano quasi mai in quella zona riservata agli ufficiali.
    “Di cosa volevi parlarmi?”, le chiese mentre rimetteva a posto alcune munizioni,
    “Devi aiutarmi, Albert. Aiutarmi a scomparire”,
    “Chee??”, gli caddero le munizioni dalle mani. Si ricompose e si avvicinò alla donna seduta compostamente davanti a lui.
    “Che richiesta è, non capisco?”,
    “Proprio quella che ti ho detto: voglio sparire!”,
    “Mi stai dicendo che vuoi morire?”,
    “Più o meno. Ma non nel senso letterale del termine”.
    Aiutami
    non vorrei vergognarmi a chiamarti amore

    Aiutami
    alle soglie di un altro giorno
    fammi un cerchio di fuoco e stelle intorno..!(1)
    Albert la osservava sbigottito.
    “Voglio che tutti mi credano morta”,
    “Non capisco il senso di questa tua richiesta”;
    lei lo guardò accigliata.
    “Tu mi ami, Albert?”,
    “Ma certo che ti amo! Che domande sono?”,
    “Allora devi aiutarmi a scomparire”,
    “Flanny..” si sedette di fronte a lei “perché dovrei aiutarti a scomparire? E da cosa, poi? Hai detto che sei sola al mondo, che non c’è nessuno che ti sta aspettando a casa; chi dovrebbe crederti morta, allora?”.
    Lei abbassò gli occhi, forse per la prima volta nella sua esistenza.
    “Ecco.. ti ho mentito!”,
    “Lo supponevo!” sorrise lui “C’è un marito geloso e manesco da cui sei scappata, vero?”,
    “No, non si tratta di un marito; c’è l’apparenza di una famiglia”,
    “L’apparenza?”,
    “Esatto, l’apparenza: tu come definiresti un nido di serpi sempre pronte a mordersi sputando veleno gli uni con gli altri?”,
    “Non me ne avevi mai parlato..”,
    “Perché mi vergognavo! Mi vergognavo di loro e di me, e credevo di non meritare nulla proprio come mi era stato insegnato da loro. Ma non è così, tu me lo hai dimostrato: non sono il vuoto a perdere che credevo di essere. E voglio vivere. Ma lontana da loro, che mi hanno devastato l’anima.. più di questa guerra!”,
    “Flanny.. mi dispiace tanto! Avevo immaginato che dietro la tua freddezza e la tua paura di amare ci fosse un grande dolore, ma non ho voluto andare oltre per non ferirti ulteriormente; ma se queste persone adesso hanno rischiato di perderti, forse saranno cambiate nei tuoi confronti”, le aveva preso una mano tra le proprie,
    “No, Albert, non sono cambiati affatto, credimi: un alcolizzato e una donna violenta, con dei figli ladruncoli, che non hanno accettato nemmeno il mio regalo di addio, non possono cambiare. Il loro è un mondo fatto di insensibilità e durezza, di recriminazioni e privo di ogni affetto! Hanno quasi ucciso il mio animo, mi hanno quasi spinto a vergognarmi di amare, condannandomi alla solitudine e alla sola compagnia della colpa.. e ora che mi hai salvato da questo, ho paura di rivederli, di perdere ciò che mi hai donato. Non voglio mai più rivederli, mai più!”,
    “Ma saranno preoccupati per te!”,
    “Non sono affatto preoccupati per me! Mi hanno sempre trattata senza sentimenti, solo rimproveri e botte! Quando lasciai casa per studiare da infermiera, avemmo una violenta lite, e quando decisi di partire per la guerra e mandai loro alcuni regali di addio, me li rimandarono indietro! Mi hanno rifiutata, e adesso io li rifiuto!”.
    “Capisco” fece lui dopo una pausa “ma cosa vorresti fare allora? Rimanere qui?”,
    “Sì. Quando la guerra finirà, ci sarà bisogno di braccia per la ricostruzione; io parlo abbastanza bene il Francese, e qui mi piace; troverò qualche famiglia di buon cuore con cui lavorare”
    Quanto abbiamo pianto e combattuto
    non rompere quel che hai costruito(1)
    “In questo modo.. non ci rivedremo più; lo hai pensato questo?”,
    “Sì, lo so. E mi fa male, credimi. Ma non ho altra scelta”,
    “Ti sbagli: hai un’altra scelta!” si inginocchiò davanti a lei “Sposami! E torna a Chicago con me!”,
    “Cos..?”,
    “Sì, hai capito bene: sposami! Vuoi, Flanny?”,
    “Oh, Albert! Io lo vorrei tanto, ma..”,
    “Ma cosa? Tornare in America non significa che dovrai rivederli! Ti farò avere dei documenti falsi, per tutto il resto del mondo sarai morta! E invece inizieremo una nuova vita: noi due assieme!”.
    Aiutami
    non vorrei vergognarmi a chiamarti amore
    aiutami
    in questo universo basso e volgare(1)
    “Albert.. io..”,
    “Devi dirmi di sì!”.
    Lei gli buttò le braccia al collo “Certo che ti dico di sì! E’ che mi sembra tutto troppo.. meraviglioso, per essere reale!”,
    “Anche i sogni a volte si avverano, Flanny” Albert ricambiò l’abbraccio “Bisogna crederci però!”,
    “Come farai con i documenti? E le.. false notizie su di me?”,
    “Non devi preoccuparti di questo; ho un amico al Consolato, ci penserà lui”,
    “Albert, Albert! Ti amo, non sai quanto!”.
    Si scambiarono un bacio appassionato.
    “Fammi restare qui, stanotte” gli sussurrò in un orecchio,
    “Ma sei matta? Se ti trovassero..”,
    “Non mi troveranno; e poi non mi importa niente: Flanny Hamilton sta per morire! Io voglio vivere, invece! E voglio iniziare a farlo da stanotte, qui con te!”.
    Albert si arrese; e si sentì emozionato come un ragazzino alle prime armi quando le fece strada verso la branda che stava in fondo al tendone.
    Dal canto suo, lei si sentiva liberata: aveva preso la sua decisione, era definitiva e non sarebbe tornata indietro: da quel momento in avanti, una nuova vita attendeva entrambi.
    Quando avvertì le braccia di lui che la cingevano da dietro, sentì un brivido correrle su e giù per la schiena.. non era ancora abituata a quel genere di contatto.
    “Sei sempre in tempo per fermare tutto” le sussurrò in un orecchio Albert baciandole il collo,
    “Non voglio fermare nulla: io ti amo, Albert!”.
    L’uomo seguitò a baciarle il collo, mentre le sbottonava l’uniforme da infermiera; Flanny si tolse gli occhiali, che scivolarono sul pavimento.
    Albert la rigirò tra le proprie braccia e catturò con passione le sue labbra tra le proprie, carezzandole con la punta della lingua; il fiato bollente di lui le pervase la bocca, mentre il cuore accelerava la sua corsa.
    Senza accorgersene, l’aveva sdraiata sulla branda, e si era liberato della sua divisa; lei iniziò a fare altrettanto con la propria uniforme da infermiera, ma lui la fermò “Lascia fare a me”.
    Gli occhi spalancati e il fiato mozzo, Flanny osservò il suo fidanzato che, seminudo, si sdraiava su di lei, iniziando a baciarla su ogni centimetro di pelle che liberava dall’uniforme; quando si ritrovò in sottoveste, Albert le chiese “Vuoi davvero che continui? Lo so che per te è la prima volta..”. Lei gli fece cenno di sì.
    Ben presto anche la sottoveste scivolò a terra seguita dal corsetto, e Flanny arrossì violentemente quando Albert le prese un capezzolo tra le labbra, suggendolo lentamente fino a farla gemere di piacere.
    “Albert..”,
    “Shh.. lasciami fare, amore”.
    Le accarezzò con la lingua anche l’altro capezzolo, per poi scendere fino ai mutandoni, che raggiunsero gli altri vestiti sul pavimento.
    “Albert.. no!! Questo è.. sconveniente!!” quasi gridò quando vide lui che si posizionava con il viso tra le sue gambe dopo averle rivolto un’occhiata maliziosa; ma in barba alla sconvenienza, il tocco della lingua di lui sulla propria femminilità la stordì per il piacere.
    Albert ritornò alla sua bocca, mentre continuava ad accarezzarla lentamente con le dita nella sua parte più intima.
    “Non devi aver paura.. non ti farò male.. ti amo, Flanny!”,
    “Albert.. ma cosa.. mi stai.. facendo..?”, sospirò mentre sentiva un dito di lui entrare piano in lei.
    “Non gridare troppo, o ci scopriranno”, le sussurrò prima di baciarla di nuovo, per tacere i lamenti di piacere della compagna; presa in un vortice di sensazioni per lei nuove ed inebrianti, Flanny non trovò altro modo di sfogare il suo piacere che affondare le unghie nella schiena di Albert.
    A questo punto, lui si sollevò, e con un gesto fluido si liberò anche dei pantaloni, mostrando a un’esterrefatta Flanny la sua eccitazione.. lei che certe cose le aveva viste soltanto nei libri di anatomia!
    “Non avere paura..”, le disse ancora tornando a stendersi su di lei; quindi, lentamente entrò in lei.
    Lentamente, sì, per permetterle di sopportare meglio il dolore iniziale, e di abituarsi alla sensazione del proprio corpo nel suo.
    Flanny si stupì della brevità della sensazione di dolore, e del fatto che questo fu seguìto immediatamente da una sensazione di piacere intenso; lo avvolse con le proprie gambe, ripetendogli “Ti amo..”; Albert iniziò la dolce danza dell’amore, che si andava facendo via via più frenetica, portando una stordita Flanny in un mondo di sensazioni del tutto nuove; quando raggiunse il culmine, una miriade di stelline colorate le si frantumò davanti agli occhi come un vetro colpito dalla luce, mentre un dito di Albert tra le sue labbra soffocava l’ennesimo grido di piacere; serrò le labbra attorno al suo dito, succhiandolo con avidità.
    Albert uscì da lei, per poi lasciarsi andare sulle coperte, lontano abbastanza da non nuocerle.
    Lentamente, ancora stordita, Flanny si riebbe e riaprì gli occhi, trovando Albert vicino a sé che la abbracciava e le carezzava i capelli.
    “Ti ho fatto molto male?” le chiese con voce suadente,
    “No.. perché ti amo: ti amo tanto, Albert!”.
    Lui le lasciò un bacio tra i capelli; un pensiero scosse la giovane infermiera.
    “Ma adesso rischio di essere..?”,
    “No” sorrise lui “sono stato bene attento, stà tranquilla: potrai continuare a fare l’infermiera senza scandali!”,
    “E’ stato bellissimo, lo sai?”;
    lui in risposta la strinse ancor più tra le braccia, baciandola dolcemente.
    Si addormentarono, per un paio d’ore circa; la prima a risvegliarsi fu Flanny.
    “Albert! Che ore sono? E’ quasi l’alba, debbo andar via! Debbo tornare alla mia tenda prima che le mie compagne si sveglino!”.
    Si alzò e iniziò a frugare tra i vestiti gettati a terra, mentre anche Albert si alzava per darle una mano; mentre si rivestiva, la ragazza notò di sfuggita la macchia rossa sulle lenzuola.
    “Accidenti, no!! Se vedono quella..”,
    “Non preoccuparti, dirò che una delle mie ferite si è riaperta: l’infermiera Hamilton non dà i punti così bene, dopo tutto!”, rise,
    “Scemo!”, lei gli accennò un pugno scherzoso, ma lui fu più veloce e la prese tra le braccia “Un ultimo bacio prima di separarci”,
    “Non saremo più separati da adesso!”,
    “Mai più!”.

    **********

    Aprile 1918.
    Ma la guerra pure cementa strane unioni.
    E Terence lo sapeva bene, mentre gettava via l’ennesima fiala di morfina che aveva appena iniettata alla moglie Susanna.
    “Davvero le debbo fare i miei complimenti, Mr. Grandchester: è diventato un infermiere provetto!”;
    l’uomo sorrise “Ho solo fatto di necessità virtù, dottore”,
    “Ci è riuscito assai bene!”,
    “Peccato che le mie doti da infermiere non sortiscano gli effetti desiderati..”.
    Perché io non sono un infermiere vero.. come lei!
    Il dottore fece un grosso respiro, e prese la mano di Terence.
    “Signor Grandchester, ascolti: le condizioni di sua moglie sono molto gravi purtroppo; non è colpa sua se non migliora: è solo che non può farlo! L’intero organismo è debilitato da anni, ormai, e sono anzi stupito della forza che dimostra nell’aggrapparsi alla vita. Ma non si può fare altro che lenire le sue sofferenze, proprio come stiamo facendo”.
    Terence fece un sorriso amaro, socchiudendo gli occhi “Ne sono cosciente. E mi sento in colpa per tutte le sere in cui debbo correre in teatro, anziché restare qui con lei”,
    “Non se ne crucci, in fondo è il suo lavoro.. e poi, c’è qui la madre”.
    Già, la madre.. quanto meno, aveva smesso di recriminare, e l’aveva accolto come genero; ora che lui dimostrava tanta abnegazione verso sua figlia, era inevitabile!
    Aveva conquistato la sua fiducia dopo tanti sforzi.. ma non gli importava poi molto.
    Ciò che gli importava veramente era lontano.
    Era oltre il mare.
    Da mesi ormai non aveva più notizie di Candy: all’inizio, Annie lo aveva tenuto informato regolarmente, dandogli notizie telefonicamente, certe volta addirittura leggendogli le lettere che Candy spediva alla famiglia dal fronte. Terence non aveva potuto fare altro che benedire quella nuova invenzione straordinaria che gli aveva permesso di dialogare a distanza con la sua migliore amica, portandolo anche un po’ più vicino a lei; ma dopo la partenza di Albert per la guerra, queste notizie così bramate si erano interrotte d’improvviso.
    Fino a quel giorno.

    Non si sarebbe mai aspettato la visita di Annie, da sola men che meno.
    “Il tuo focoso fidanzato ti ha lasciato venire fino a qui senza di lui?”, aveva riso.
    Ma la sua ospite non si era scomposta dal suo cipiglio serio. Era stato allora che Terence aveva capito che per essere venuta fin lì da sola, e per recare quell’espressione sul volto, doveva essere accaduto qualcosa di grave.
    Per un attimo, temette il peggio.
    Sopraffatto dall’angoscia, si era avvicinato ad Annie, e l’aveva scossa per le spalle.
    “Candy è..?”,
    “No”, era stata la sua risposta.
    “E allora cosa..?”,
    “Posso sedermi?”, Annie aveva indicato una poltrona, recando ancora il cappello in testa e la borsetta in mano,
    “Certo, che idiota sono! Siediti pure!”.
    Una volta seduta, non aveva più trovato il coraggio di guardarlo negli occhi.
    Era stato lui a parlare “E’ dispersa?”.
    E a quel punto, la donna aveva estratto una busta che gli aveva porta, continuando a non guardarlo negli occhi.
    Lui l’aveva presa con mani tremanti, e aperta con movimenti febbrili.
    Poche parole, asciutte come un epitaffio su una lapide.

    “Cara famiglia,
    vi scrivo per annunciarvi il mio avvenuto matrimonio con il Dottor Michael J. Strong.
    La vostra affezionata
    Candice”.

    Terence aveva lasciata ricadere la mano che reggeva la lettera, come fosse stata un ramo secco spezzato da un albero; i suoi occhi erano diventati vitrei.
    Si era coperto gli occhi con la mano libera, restituendo la lettera ad Annie; poi aveva domandato “Sapete quando è stato?”,
    “No”.
    Non si erano detti altro; l’uomo l’aveva riaccompagnata alla porta; un momento prima di uscire si era girata verso di lui dicendo “Non potevi aspettarti che sarebbe rimasta a piangere per te per sempre”.
    Poi se ne era andata.

    Aiutami
    non vorrei vergognarmi a chiamarti amore
    Aiutami
    in mezzo agli idioti noi ci ubriachiamo..

    Che il mio cuore così testardo
    non resti a secco a un metro dal traguardo
    non vorrei dirtelo
    ma ho bisogno di te!

    Dimmi quello che devi dirmi
    vai dritto al cuore se vuoi ammazzarmi
    non paralizzarmi qui
    non disfarti di me!
    Aiutami..(1)

    Aveva sorriso.
    “Che ti aspettavi, Terry? Che rinunciasse a rifarsi una vita, immolandosi sull’altare dell’amore perduto e del sacrificio come hai fatto tu? Anche lei ha sofferto, anche più di te se possibile, e ora ha diritto ad essere felice. Se davvero l’hai amata, non puoi volere la sua solitudine, devi lasciarla a chi possa farla felice. E tu ormai sei fuori gioco!”.
    “Terence..”, una debole voce lo aveva raggiunto dal fondo del corridoio,
    “Arrivo, Susanna”, si era incamminato in quella direzione.




    (1)Roby Facchinetti, Aiutami.
     
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    CAPITOLO 9
    MONDO


    Nota: il titolo di questo capitolo è ripreso da quello dell’omonima e splendida canzone di Riccardo Fogli, che vi consiglio di ascoltare.

    Novembre 1918.
    La guerra finiva. Ma un altro flagello si stava diffondendo, in Europa e America: l’influenza Spagnola.
    La gente ne era atterrita. Senza distinzioni.
    Dall’inizio dell’anno, lo strano virus si era diffuso in buona parte dell’Europa, ed ora si iniziava a diffondere anche nel Nuovo Mondo; i sintomi erano violenti sin dal principio: dolori in tutto il corpo, tosse e febbre alta.
    E sembrava non esserci rimedio alcuno.
    Alcune persone guarivano in poco tempo, ma la maggioranza andava incontro a complicanze mortali.
    Terence aveva letto la notizia su un giornale che gli aveva portato Robert, spiegandogli perché la loro tournée fosse stata cancellata.
    “Tu capisci bene, il rischio di contagio è molto alto: nessuno se ne starebbe chiuso in un teatro tranquillamente”,
    “Certo, capisco; hai fatto bene”,
    “Inoltre, l’ho fatto anche per tua moglie: nelle sue condizioni, il contagio sarebbe senza dubbio letale”.
    Terence annuì, mentre gli tornavano alla mente le parole del medico: Susanna era molto debole, anche la più stupida infezione poteva esserle fatale; e lui non poteva permettere questo.
    Se ne era fatto una ragione di vita.
    Lo aveva promesso a sé stesso.
    Ma soprattutto, lo aveva promesso a lei.
    Lei, che ora apparteneva ad un altro uomo.
    Lei, che aveva perduto per sempre.
    Ma nonostante questo, le aveva promesso di non mancare al suo dovere. Mai.
    E il suo dovere era Susanna, sua moglie.
    “Poi, anche noi dobbiamo riguardarci” aggiunse Robert “almeno fino a che il contagio non scemerà o verrà trovato un rimedio”,
    “Finora cosa è stato trovato?”.
    Robert scosse la testa, rassegnato “Assolutamente nulla. Ciò che sembra funzionare su una persona, è del tutto inefficace su un’altra!”,
    “Capisco”, gli rispose Terence alzandosi “Dunque sarà meglio che nessuno entri in questa casa, a parte noi”,
    “Scusa se sono venuto, ma dovevo comunicarti la notizia. E poi, mi sento bene, non credo di essere stato contagiato”,
    “Non preoccuparti; anche io sono uscito questa mattina di buon’ora per comprare le sigarette, e non credo di essere stato contagiato solo per questo”,
    “Tua moglie come sta?”,
    “Come sempre. Sta dormano, adesso, le ho dato la morfina”,
    “I suoi dolori..”,
    “Sempre gli stessi, purtroppo. Sai come me che non possono migliorare”,
    Hathaway abbassò gli occhi “Mi dispiace molto, Terry. Se le cose fossero andate diversamente..”,
    “Ma non sono andate diversamente. Punto e basta”, tagliò il discorso Terence.
    Già, se le cose fossero andate in un altro modo.. ci sarebbe stata un’altra persona lì accanto a lui, ora..
    In quel’istante, Terry provò un moto feroce di odio verso il tecnico delle luci che quel giorno non aveva posizionato a dovere quel maledetto riflettore, distruggendo in questo modo tre vite.
    La sua, quella di Susanna, e quella di Candy.
    Vorrei vederlo morto, pensò, senza sapere che lo sventurato stava in gravi condizioni, infettato dalla nuova influenza.

    “Non si alzi, Signora Grandchester: deve restare sotto le coperte”, intimò il dottore ad una debole Susanna che tossiva.
    “Ma di che si tratta, dottore?” chiese Terry, allarmato,
    “Al momento non saprei dirlo; non sembrerebbe una bronchite, ma quella tosse insistente fa capire che non è neanche una semplice faringite. Dovremo aspettare per potere capire”,
    “Potrebbe essere..”, Terence afferrò il medico per un braccio,
    “Non lo so ancora”, rispose lui scuotendo la testa “Dovremo vedere cosa accade nei prossimi giorni”.
    L’attore si sentì gelare: sua moglie forse aveva contratto l’influenza Spagnola!
    “Dottore..”,
    “Tornerò domani. Adesso mi lasci andare, la prego: ho altri pazienti da visitare!”,
    “Sì, certo, mi scusi”.

    Nei giorni seguenti le cose peggiorarono: la tosse non accennava a diminuire, anzi aumentava; Susanna lamentava dei forti dolori dappertutto; e buona ultima, si presentò anche la febbre.
    Una febbre assai alta, che la faceva delirare, soprattutto di notte.
    Terry non la lasciava un attimo: passava le interminabili notti al capezzale di lei, seduto su uno sgabello accanto al letto, la testa fra le mani, la cravatta slacciata, il collo della camicia aperto e le maniche rivoltate; acquietare i lamenti di sua suocera gli era costato già molti sforzi, e adesso l’anziana si concedeva il riposo notturno, che a lui era proibito.
    Vedi,
    sono un uomo che ha vissuto,
    che ha sbagliato ed ha pagato, credi..
    Sul mio viso un po’ segnato
    leggi che cos’è il mio passato..(1)
    L’uomo sentiva di dover così espiare tutte le sue colpe passate: l’essersi lasciato andare alla perdizione, l’avere abbandonato i suoi doveri, seppure temporaneamente, l’avere fatto tanto soffrire quella povera invalida che era la moglie..
    Un pallido raggio di luna filtrò dalle tende socchiuse, colpendogli il volto, pallido e segnato da profonde occhiaie; lui alzò lo sguardo verso quella luce silenziosa, che gli appariva come una presenza confortante e familiare.
    Un debole rantolo gli giunse dal letto di sofferenza della moglie; si girò ad osservarla.
    “Terry..”,
    “Non ti agitare, Susy; riposa!”,
    “Grazie per quello che fai per me, Terry.. mi sento in colpa, ti ho costretto a stare accanto ad un’invalida.. tu meritavi di più, Terry!”
    Io vivo
    mi basta averti accanto a me, respiro..
    è grande la speranza che mi dài..(1)
    “Shh, non parlare, non sai ciò che dici.. torna a dormire. Devi stare riposata, lo ha detto il dottore”.
    Le rimboccò le coperte, lasciandole una lieve carezza sul mento.
    Quello che la moglie gli aveva detto era vero, purtroppo: lui non meritava ciò che stava succedendo; nessuno di loro lo meritava!

    “Ne è sicuro, dottore?”, la Signora Marlowe spalancava gli occhi, incredula davanti alla terribile verità,
    “Più che sicuro: si tratta di influenza Spagnola, purtroppo!”,
    “Ma come può essere.. non è mai uscita di casa, soprattutto negli ultimi tempi.. chi può averla contagiata..”, diceva Terence,
    “Può essere stato sufficiente un minimo contatto col virus.. magari uno di voi è uscito per fare la spesa, e ha portato con sé il virus.. non si è ammalato, ma ha contagiato la signora, che era già debole di suo”,
    “Sicuramente, è stato quel suo amico, Robert, a portare il contagio in casa! La causa di tutto è la sua leggerezza, Terence!”.
    Lui fece un sorriso sarcastico: era ovvio che la suocera avrebbe fatto ricadere la colpa su di lui, che considerava da sempre come unica fonte dei mali della figlia!
    “Mi rincresce davvero, signora, ma non potevo saperlo; e neanche Robert poteva!”.
    “Ad ogni modo, ora la signora corre un grave pericolo di vita, data la sua condizione di debolezza che si assomma alla malattia: non deve lasciare il letto per nessuna ragione, e dovrà assumere i medicamenti che le prescriverò”,
    “Certo dottore”, lo supplicò la Marlowe “la salvi, la prego!”.
    Mentre la donna affranta accompagnava all’uscita il dottore, Terry rimase vicino al letto di Susanna, fissando con occhi disperati la figura abbandonata tra le coperte.
    Neanche lei meritava questo!

    **********
    Novembre 1918.
    Flanny stringeva con forza a sé le due cose che più di tutte le altre rappresentavano l’ingresso nella sua nuova vita; molto di più, erano la sua nuova vita: i suoi nuovi documenti, ed Albert.
    I primi recavano a chiare lettere le parole “Flanny Edge in Andrew”; il secondo, suo marito.
    E un’onda di ricordi la invase.

    Un giorno grigio e nuvoloso, a Londra: avevano scelto di sposarsi in Inghilterra per evitare la fastosa cerimonia che la zia Elroy avrebbe sicuramente destinato al capo della famiglia Andrew, e le domande invasive sul conto di Flanny, che non sarebbero mancate sempre da parte della zia e dei Legan: cose queste, che avrebbero nuociuto all’anonimato che i due innamorati avevano cercato di costruire per lei. In questo modo, il cupo cielo autunnale Inglese era diventato una trapunta di stelle per Albert e Flanny, nonostante gli abiti nuziali fossero assai differenti da quelli descritti abitualmente nelle fiabe: la semplice divisa da ufficiale per lui, ed un completo grigio composto di giacca e gonna per lei.
    Ma il fasto dei loro cuori compensava quello, mancante, dell’esteriorità.
    Flanny sorrideva, raggiante come mai lo era stata in precedenza; gli occhi azzurrissimi di Albert brillavano come il mare del Sud in estate.
    Inutile dire che il sacerdote, un brav’uomo amico di Albert, era stato ben felice di aiutarli ad esaudire il loro desiderio di unirsi; subito dopo la cerimonia, un altro soldato, pure amico dello sposo, gli aveva fatti scivolare in una mano i “nuovi” documenti per la moglie, che riportavano una falsa identità.
    Flanny era felice: non ricordava di esserlo stata mai nel corso della sua vita; i pesi nell’anima che l’avevano avvelenata erano all’improvviso scomparsi, senza lasciare traccia alcuna: non era più la ragazza che si vergognava di sé stessa e si disprezzava, non era più l’infermiera di ghiaccio che lavorava come un freddo automa, ma era divenuta una donna forte che credeva nei sentimenti e non aveva paura di mostrarli, una donna consapevole del proprio valore, che non avrebbe più permesso ai giudizi distorti degli altri di minare la sua autostima e la sua fame di vivere.
    Flanny Edge in Andrew non era più Flanny Hamilton.
    Quest’ultima era morta sotto un bombardamento che aveva distrutto una trincea sulla Somme; la terribile notizia era stata già recata da un soldato rimpatriato a quella che un tempo era stata la sua famiglia.
    E lei era rinata a nuova vita.
    Per tutto il tempo della cerimonia, aveva stretto il braccio del marito, e lo aveva osservato come si guarda la cosa più bella che possa esserci: quell’uomo meraviglioso era suo, da adesso in avanti.. ma poteva crederci, o era un sogno?
    Albert paziente e premuroso, Albert che l’aveva aiutata a liberarsi dai suoi demoni, Albert che era contento che lei continuasse la sua vita da infermiera nonostante il nome altisonante che da ora in poi lei avrebbe portato..
    Era davvero una favola, una favola reale!
    Nell’altra mano, stringeva convulsamente un mazzolino di fiori di campo messo assieme dalle colleghe, che la guardavano commosse ed incredule.
    Albert, dal canto suo, aveva ritrovata la pace con sé stesso: lasciata quella terribile guerra, tornava alla sua Patria, alla sua famiglia, ai suoi cari.. certamente, avrebbe anche dovuto assumere del tutto il suo ruolo di capofamiglia, e prendere in mano le redini dell’impero degli Andrew, ma era un prezzo necessario da pagare. E poi, non gli sarebbero mancate le occasioni di esprimere il suo vero animo sensibile, il suo amore per la natura, e l’affetto per i poveri: aveva già deciso con la neo-moglie di mettere su una fondazione per i feriti di guerra e le famiglie dei morti al fronte, e per i poveri di Chicago, in cui Flanny avrebbe avuto, ora che le donne avevano finalmente acquistati i loro giusti e sudati diritti, un ruolo di primo piano.
    Solo un’ombra restava nel suo cuore senza risposta..
    Un’ombra di cui non aveva più avuto notizie, ma che nelle notti di veglia tornava spesso a tormentarlo, di nascosto a colei che da ora rappresentava la sua nuova vita.
    Un’ombra di nome Candy.
    Da nessuna parte era riuscito ad avere notizie, e ora che la guerra era finita era il caos più totale; una voce tentatrice continuava a sussurrargli nell’orecchio di rassegnarsi all’idea che non ci fosse più.
    Lui non poteva accettarlo; non poteva credere che la forte Candy, l’immagine stessa della vitalità e forza d’animo, fosse perita in una trincea senza nome, uccisa da qualche bomba Tedesca.. o meglio da un amore malato!
    Ma cosa poteva fare? Lui era vivo, e doveva accettare di vivere. Soprattutto per l’angelo che adesso aveva accanto, e gli stava stringendo il braccio.

    Mondo,
    ho imparato quanto è grande il mondo
    mi son perso tante volte amando..
    eccomi qui..
    se tu mi vuoi, sono così!(1)
    Quella donna ferita, che dietro il muro di ferro nascondeva un’anima da cucciolo ferito, lo aveva spinto a riaprirsi alla vita, per lei e per sé stesso: l’aveva aiutata a lasciare la sua orribile crisalide per tramutasi in una splendida farfalla.. e non poteva abbandonare colei che l’aveva aiutato a superare l’orrore di quella guerra e del tradimento che aveva fatto contro sé stesso prendendovi parte!
    La vita doveva andare avanti, che lui lo volesse o meno!
    Anche con mezzo cuore solamente.

    Vedi
    Sono un uomo che ha vissuto
    ogni giorno, ogni minuto, sempre..
    E se il mondo mi ha piegato,
    nel mio cuore io sono pulito..
    credi..(1)
    Si voltò a guardare quella donna, la sua donna: lei era felice, lo si poteva vedere chiaramente; non aveva più quell’aria umiliata e triste, né quel cipiglio impersonale che le faceva da corazza contro il mondo: sorrideva, e basta.
    Sorrideva alla vita.
    Sorrideva a lui.
    Sorrideva al futuro.

    Io vivo..
    mi basta averti accanto nel respiro..
    È grande la speranza che mi dài..
    Eccomi qui, se tu mi vuoi(1)
    Lei aveva sorretto lui. Lui aveva sorretto lei. Insieme, erano usciti dal baratro.
    Insieme, si erano rassegnati a continuare a vivere, sorridendo.
    Confortandosi.
    Amandosi.
    Tra loro si era creato un legame unico e speciale; tradirlo sarebbe stato un sacrilegio.
    Insieme, ce l’avrebbero fatta a rimettere assieme i frantumi delle loro vite.

    Albert strinse la vita della moglie, mentre un vento freddo sferzava i loro visi e la nave lasciava lentamente ciò che restava del porto di Dover. Era ovviamente una nave militare, sulla quale avevano trovato posto anche civili in fuga da un continente devastato.
    Entrambi erano stati decorati per il valore dimostrato sul campo.
    Flanny sorrise e socchiuse gli occhi, stringendosi al petto del marito “Stanotte dobbiamo dormire separati..”,
    “Purtroppo è la regola: i soldati nel dormitorio maschile, e le infermiere in quello femminile”, scherzò lui,
    “Ma è assurdo: siamo marito e moglie!”,
    “Ehy, vuoi dare scandalo, ragazza?”, le lasciò un buffetto scherzoso su di una guancia.
    Dietro di loro, alcuni soldati passarono sul ponte, parlando e ridendo fragorosamente: la gioia di ritornare a casa era palpabile.

    **********

    “A casa, finalmente!”.
    Candy non condivideva affatto l’entusiasmo del neo-marito sul fatto di essere tornati a casa; tuttavia, cercò di dissimulare il suo fastidio e finse un sorriso mentre accettava la mano di lui per scendere dal treno.
    “Di nuovo a Chicago! Sei contenta, amore?”.
    Di nuovo a Chicago.. no, non era affatto contenta!!
    La guerra era finita, è vero, ma a conti fatti, cosa era cambiato nella sua vita, a parte il matrimonio?
    Il cupo dolore, ora tramutatosi in vuoto, che da tanto tempo ormai era divenuto parte integrante della sua anima, non sarebbe di certo scomparso improvvisamente come per incanto; la sua famiglia.. quanti di loro erano sopravvissuti alla guerra? Qualcuno aveva seguito le orme di Stear? Quali cambiamenti aveva causato la guerra al loro stato, non solo economico? Albert.. dopo il suo rifiuto come aveva accolta la notizia delle sue inaspettate nozze al fronte? L’ospedale: quante delle sue colleghe erano partite per il fronte come aveva fatto lei? Flanny era tornata viva?
    I mille dubbi e perché di un sopravvissuto ad un conflitto, un sopravvissuto che peraltro avrebbe preferito perirvi.
    Aveva conosciuto tanto della vita e della morte in quel conflitto, e per questo aveva scelto di continuare a vivere; ma il fatto che questa scelta fosse dura era tutt’altra storia.
    E il futuro che aveva di fronte appariva quanto mai incerto.
    Si voltò a guardare il marito: Michael appariva più raggiante che mai in quel pomeriggio d’autunno; sembrava l’immagine vivente dell’ottimismo stesso, della fiducia nel domani.. tutto ciò che un tempo era stata lei!
    Gli sorrise di rimando, e stavolta spontaneamente: lui sarebbe stato il suo sostegno, il suo conforto per andare avanti, colui con cui avrebbe costruito un futuro.. anche se con un vuoto nell’anima.
    Io vivo
    Mi basta averti accanto nel respiro
    È grande la speranza che mi dài..(1)
    E mai avrebbe dimenticato l’immagine del marito sorridente in quel grigio giorno di fine Novembre: essa sarebbe rimasta per sempre nel suo cuore.

    Una figura familiare si fece loro incontro: George.
    “Bentornata Signorina Andrew.. Signora Strong; e le mie congratulazioni a tutti e due!”, l’uomo strinse loro la mano,
    “Grazie George”, si volto verso il marito “anche se è superfluo, ti presento mio marito, il Dottor Michael J. Strong”,
    “Molto piacere, Dottore”,
    “Il piacere è mio, George”,
    “Venite, vi porto alla macchina”.
    Il veicolo era parcheggiato davanti alla stazione; il bravo George aprì lo sportello, e i due novelli sposi vi salirono.
    “Tutto bene a casa, George?”,
    “Sì signora; il Signor Albert è rientrato da poco”; Candy rimase interdetta
    “Rientrato? Da dove?”,
    “Dalla guerra, signora. Assieme alla moglie”,
    “Non posso crederci.. Albert in guerra.. lui così pacifista.. ed ora si è sposato anche lui.. come sta?”,
    “Benissimo, signora, non ha riportato nessuna ferita”,
    “Grazie al Cielo.. sa chi è la moglie?”,
    “Non so esattamente, la presentazione ufficiale avverrà alla festa di domani sera: il signore ha voluto aspettare lei quando ha appreso del suo rientro; ha detto solo che si tratta della figlia di una famiglia nobile Inglese, che ha perduto tutti i suoi cari in guerra; pare sia stata infermiera anche lei, al fronte”.

    Rientrare a casa Andrew dopo quel tempo infinito fu una sorta di sogno, di allucinazione: tutto era al solito posto, eppure niente era come prima; niente lo sarebbe stato più.
    La prima a venirle incontro fu Annie, espansiva e affettuosa come sempre.
    “Candy! Finalmente! Dopo tanto tempo.. non speravamo più di rivederti!”.
    L’amica la abbracciò “Ciao, Annie. Ti trovo bene, non sei cambiata affatto”,
    “Anche io ti trovo bene, Candy.. però sei così sciupata! Oh, posso immaginare cosa hai passato! La guerra, che assurdità!”,
    “Annie” Candy si sciolse dall’abbraccio e fece un gesto col braccio “posso presentarti mio marito, il Dottor Strong?”,
    “E’ un vero piacere conoscerla, dottore; sono certa che renderà felice la nostra Candy!”.
    La menzionata capì subito che quelle dell’amica di sempre non erano parole di semplice cortesia.
    “E Archie dov’è? Non lo vedo” la bionda si guardava intorno,
    “Oh, mi scuso. E’ uscito, l’hanno chiamato dall’ufficio; stasera sarà qui, comunque”.
    Una voce alta e forte giunse dal fondo della sala. La zia Elroy.
    “Candy!”, le si fece incontro col suo incedere rigido e il portamento severo; non era cambiata.
    “Zia cara!” lei le sorrise “Sono lieta di rivederti! Come stai?”,
    “Bene, cara, grazie. Sono contenta anche io che tu sia tornata sana a salva da noi”.
    Non si stupì di questa affermazione: ora che la sapeva sposata, la zia credeva che avrebbe messo la testa a partito, non essendo più motivo di rammarico per la famiglia, quindi un po’ di buona creanza era d’obbligo!
    Si diede allora a presentare alla zia la ragione della sua nuova disposizione d’animo.
    Lei ne fu entusiasta “Sono davvero felice di fare la sua conoscenza, Dottor Strong. Lei è il benvenuto nella nostra famiglia. Sono certa che è la persona giusta accanto alla nostra Candy!”.
    Mentre l’anziana donna si accomiatava dopo il baciamano di rito da parte di Michael, e si allontanava lungo il corridoio, Candy disse all’orecchio del marito “Adesso, sei un Andrew anche tu: dovrai sottostare a certe regole, prima fra tutte i salamelecchi con la zia Elroy!”.
    Lui sorrise.
    Ma ora veniva il difficile.
    Albert.
    Il suo giudizio sul proprio marito e sul proprio matrimonio era quello che contava di più, per lei. Lui era la persona che l’aveva sempre sostenuta in ogni momento della sua vita: avrebbe accettato di dividere questo ruolo con un’altra persona, da ora in poi?
    Albert era colui che si era offerto di sposarla, per aiutarla a superare la perdita di Terry.. avrebbe approvato Michael?
    Mentre questi pensieri le martellavano la testa giunsero in fondo al corridoio, dove si trovava lo studio di Albert.
    Bussò.
    “Avanti”.La voce chiara e cristallina di lui da dietro l’uscio non era come la ricordava: aveva un’ombra di dolore.. certamente retaggio della guerra.
    “Albert, sono Candy.. posso entrare?” chiese aprendo il pesante uscio di legno scuro.
    Quello che vide la spiazzò.
    Non Albert, che sebbene apparisse immutato nell’aspetto ora che i capelli erano ricresciuti, aveva un’ombra di malinconia nei suoi zaffiri azzurri; no: a lasciarla a bocca aperta fu la persona che gli stava a fianco.
    Flanny.
    Restò senza parole.
    E incapace di parlare, avanzò di qualche passo verso Albert che le si avvicinava, sorridente come sempre.
    “Candy! Quanto sono felice di vedere che stai bene! Non puoi immaginare quanto sono stato in pena!”,
    “Albert, io.. sono felice anch’io di rivederti sano e salvo: George mi hai detto che ti eri arruolato! Perché, Albert? Tu odiavi la guerra! Perché?”,
    “Non ha più importanza, adesso! La guerra è finita, e siamo qui tutti quanti, sani e salvi!”.
    Quell’abbraccio sembrò durare un’eternità, sotto lo sguardo benevolo dei rispettivi coniugi; quando si staccarono, Candy introdusse suo marito, che strinse la mano di Albert.
    “La tratti bene, mi raccomando: è la mia pupilla!”,
    “Di questo non dubiti mai!”.
    “Candy, anche io debbo presentarti mia moglie: Flanny Edge, ora Signora Andrew”,
    “Molto lieta, Signora Strong; Albert mi ha parlato molto di lei”.
    Signora Strong..? Flanny, siamo noi! La signorina sbadatella e l’infermiera di ghiaccio.. cosa ti succede, Flanny? Cosa è successo ai tuoi occhi, amica mia? Non sono più di ghiaccio come li ricordavo, sembrano più.. felici? Hai conosciuto Albert al fronte? Lo ami? Ma perché questa farsa, io sono felice per voi.. d’accordo, farò come vuoi tu, Flanny.
    Candy decise di non chiedere nulla, vedendo gli occhi dell’amica che esprimevano una muta preghiera.

    La festa della sera successiva fu chiarificatrice.
    Ufficialmente, era l’ingresso in società della moglie del capofamiglia degli Andrew; ma di fatto allacciò o riallacciò diversi rapporti.
    Flanny era raggiante coma Candy non l’aveva mai vista prima: e questo non solo per il magnifico abito rosso che indossava e la parure di orecchini ed anello di zaffiri donatale da Albert, ma soprattutto per quel sorriso spontaneo che lei aveva sempre nascosto dietro ad una maschera di ghiaccio.
    Sedeva su un divanetto in un angolo con Candy; apparentemente, sembrava che le due nuove parenti stessero facendo conoscenza.
    “Devi perdonarmi, Candy” le stava dicendo “è stata un’idea di Albert: quando ho saputo chi era realmente, mi ha messo al corrente dei.. princìpi della zia Elroy, e per far sì che io venissi accettata in famiglia senza troppe storie, mi ha convinto a dire di essere una nobildonna Inglese, spodestata dalla guerra; mi ha detto che la zia non avrebbe mai accettato in famiglia un’altra infermiera, dalle umili origini!”,
    “Ti capisco, Flanny, ed avete fatto benissimo. Ma quello che non capisco è perché hai cambiato il tuo cognome da nubile: forse temevi che i tuoi venissero a smascherarti?”,
    “No, non è solo per quello” abbassò gli occhi “dietro a tutto ciò c’è una storia, la mia storia. Non è una bella storia, sai! Tu che hai conosciuto la mia vera famiglia d’origine lo sai bene. Ma ci sono molte altre cose che non sai: loro avevano tirato fuori la parte peggiore di me, costringendomi dietro a quella maschera di ghiaccio che tutte voi avete conosciuto; Albert ha tirato fuori il meglio: ha compiuto l’impossibile. Grazie a lui, adesso io non sono più l’iceberg che ricordi tu. Ed è per questa ragione che ho voluto cancellare tutto ciò che sono stata prima, compreso il mio cognome!”,
    “Capisco benissimo, Flanny, e se è questo che vuoi io non farò niente che possa nuocerti distruggendo quello che tu ed Albert avete fatto: desidero che siate felici insieme, da adesso in poi!”,
    “Lo amo tantissimo. Lui ha aperto il mio cuore all’amore, alla fiducia, alla tenerezza. Lui mi ha insegnato che la vita non è fatta solo di doveri, che i sentimenti sono la cosa più preziosa che ci venga donata. Lui ha fatto di me una persona migliore”.
    Candy rimase commossa dal sincero sfogo dell’amica. E fu contenta di vederla davvero felice per la prima volta.

    “Che ne pensi, Archie?” stava chiedendo un perplesso Albert al nipote,
    “Non saprei. Mi sembra a posto. Meglio di quell’attore, comunque”,
    “La tua antipatia non si smentisce, eh? Ma pensi che sarà in grado di renderla felice?”,
    “L’intenzione l’ha tutta! Ad ogni modo, è un bene che abbia deciso di continuare a vivere e sposarsi. Per ora, sembra più che altro un diversivo dal dolore.. ma chissà che con il tempo.. non possa innamorarsi davvero!”, bevve un sorso dal suo bicchiere,
    “Lo spero, Archie, lo spero” sospirò Albert; poi si voltò a osservare Michael che discuteva con una triste e sfiorita Patty, riuscendo a strapparle qualche sorriso.
    Eppure, lui non riusciva a guardarlo con simpatia, non ci riusciva proprio.



    (1)Riccardo Fogli, Mondo.
     
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    CAPITOLO 10
    GIORNO PER GIORNO


    Nota: il titolo di questa canzone è ripreso da quello dell’omonima bellissima canzone dei miei cari Pooh.

    Aprile 1919.
    Una fresca brezza primaverile stava annunciando l’inizio della bella stagione.
    Candy amava lasciarsi accarezzare il viso da quel soffio profumato i fiori che sbocciavano. Lo amava, da sempre. Dai tempi in cui la primavera aveva segnato il suo ballo con lui alla Festa di Maggio.
    Eppure, ora avrebbe avuto tutte le ragioni per odiarlo, quel tempo; ma non ci riusciva.
    Non aveva importanza se ora quel tempo era finito, e la realtà gridava con dolore ben altro: il solo ricordo di qui tempi era rimasto come un tesoro prezioso di un tempo perduto, che lei avrebbe per sempre custodito dentro sé.
    Appoggiata alla balaustra del balcone, dava le spalle ad Annie. Non riusciva a guardarla in viso.
    “Lui come l’ha presa?”,
    “Come vuoi che l’abbia presa? Anche lui ha una moglie, non poteva aspettarsi niente di diverso”.
    Candy annuì senza voltarsi.
    Annie avanzò verso di lei e le pose una mano su una spalla.
    “Candy, devi smetterla di pensare a lui! Sei sposata adesso, hai una vita ed un uomo che ti aspetta a casa: lascia andare il passato!”.
    La giovane donna sorrise amaramente: lasciare andare il passato.. come se fosse facile separarsi da un pezzo del proprio cuore, della propria anima! Era piuttosto il passato a non voler lasciare andare lei!!
    “Quando pensate di aprire il vostro studio?” chiese Annie,
    “Michael ha pensato.. il mese prossimo”,
    “E come farai con l’ospedale?”,
    “Ci andrò di mattina; poi, dovrò aiutare mio marito a trovare un locale dove aprire lo studio”,
    “Avrai da fare molto, allora. Abbastanza per non lasciarti andare a pensieri inutili”,
    “Non ho pensieri inutili, Annie”,
    “Pensieri autodistruttivi, intendo”,
    “Non ho nemmeno quelli”,
    “Perché glielo hai detto, Annie?”, Candy si voltò solo a quel punto e improvvisamente, facendo fare un sobbalzo all’amica; la sua espressione era corrucciata,
    “Preferivi che non lo sapesse? Dovevamo tacerglielo? Non è più un bambino, sai!”,
    “Non c’era ragione perché lo sapesse!”,
    “Ti sbagli! Una ragione c’era eccome: doveva comprendere che le vostre vite viaggiano su binari diversi, ormai! Solo così se ne sarebbe fatta una ragione!”,
    “Credi che non se la fosse già fatta? Si è sposato molto prima di me. Ero io a dovermene fare una ragione, non lui!”,
    “Lo hai comunicato a noi con quel telegramma. Abbiamo pensato che avessi deciso di voltare pagina, ce ne siamo rallegrati! Perché non dirglielo? Perché?”,
    “Inutile” Candy si girò di nuovo verso la balaustra “E’ inutile continuare a chiederselo; e quanto al perché, non lo so nemmeno io”;
    Annie le si fece vicina e addolcì la voce “Volevi che continuasse a pensare a te, non è così? Desideravi che in qualche modo continuasse ad amarti, anche soltanto come un ricordo? Ma non sarebbe stato giusto per entrambi, Candy: la vita va avanti, e nessuno resta indietro. Sarebbe stato crudele da parte tua”.
    L’altra annuì; l’amica aveva perfettamente ragione, lei ne era consapevole.
    Non poteva egoisticamente desiderare che Terry continuasse a struggersi nel ricordo di loro, mentre lei cercava di andare avanti, trincerata dietro il paravento della vita artificiale che aveva scelto.
    Si avviò verso la porta, senza guardare in viso l’amica, salvo fermarsi con la mano sulla maniglia, girandosi per dirle “Annie.. quanto a ciò che hai detto prima.. io non ho una vita; ho solo dei frantumi di vita rimessi assieme malamente!”.

    **********

    All’ospedale Santa Johanna tutto sembrava come sempre.
    Adesso che la guerra era finita e non arrivavano più feriti e mutilati dal fronte, il senso di angoscia sembrava essersi placato.
    Sembrava, appunto.
    La realtà era ben diversa.
    L’ombra lunga di un nuovo male oscuro minacciava tutti. Il flagello della Spagnola.
    Iniziava come una comune influenza: sintomi da raffreddamento, febbre, mal di gola; poi, sopraggiungevano i dolori, la tosse e complicanze cardiache di vario genere, che portavano alla morte in breve tempo.
    Nei primi tempi dell’epidemia, la gente sottovalutava la gravità della malattia, preferendo curarsi a casa; ma ora che l’influenza stava degenerando in pandemia e si era rivelata in tutta la sua gravità, si faceva ricorso agli ospedali sempre più spesso; e il Santa Johanna non faceva eccezione.
    Tutto il personale era stato allertato sui rischi del contagio e sulle contromisure preventive da prendere; ognuno cercava di agire con la massima professionalità e senza creare panico né fare isterismi.
    Dal canto suo, Candy era contenta di essere tornata al lavoro: la nuova malattia infettiva non la preoccupava più di tanto, dato che era stata addestrata a fronteggiare ogni evenienza; e poi, se aveva scelto quel mestiere, doveva pur saper destreggiarsi in casi simili!
    La rassicurante monotonìa della routine quotidiana era diventata per lei come una dolce musica, che la cullava nel suo vivere giornaliero, allontanando il dolore.
    Giorno per giorno
    ho imparato ad avere pazienza
    sulla mia coscienza è cresciuta già l’erba
    e ogni giorno mi sveglio che tutto va meglio(1)
    La mattina lavorava in ospedale; il pomeriggio invece raggiungeva il marito, ed insieme lavoravano alla costruzione del loro progetto nato sui campi di battaglia: mettere su un uno studio medico assieme.
    Giorno per giorno
    Seguo il vento aspettando la sera..
    e non faccio paura
    e non faccio domande..(1)
    Nel suo presente, lui non c’era più; allora per quale ragione non riusciva a scacciarlo dal suo cuore? Perché nei momenti più impensati, quando cenava col marito o rideva assieme ad Annie e Flanny, quell’ombra uscita dal passato veniva a tormentarla come la punta di uno stiletto?
    Un minuto di sole mi basta a scaldarmi
    Con quale diritto tu vieni a svegliarmi?(1)
    Eppure, faceva di tutto per impedire a quell’ombra di colpirla a tradimento.. si stava convincendo di avere iniziato una nuova vita, di avere rotto con il passato; passava lunghi dopocena con Annie, intessendo discorsi sul “dovere ricominciare daccapo”, come lei le aveva consigliato di fare, e affabulava più sé stessa che l’amica con la sua retorica, uscendo da casa Andrew sottobraccio al marito, certa di essersi ormai convinta delle sue intenzioni, quando.. era sufficiente un attimo.. un ricordo.. un’immagine.. un battito d’ali.. e tutto andava in frantumi.
    Frantumi. Sempre quei dannati frantumi.
    Passo per passo, riaprendo finestre già chiuse
    precipiti dentro di me
    che cosa ti aspetti..
    Questo io dico sapendo
    che stavo cadendo
    e che l’ultima spiaggia del mondo
    che valga la pena sei tu..(1)
    Quei pezzi di vita mai vissuta non le davano pace. Nemmeno la notte, quando nel buio dell’appartamento che divideva col marito invidiava il suo respiro tranquillo.

    Ma non era uguale per tutti.
    Per Flanny, ad esempio, routine faceva rima con rinascita.
    Per lei e Albert, il ritorno era stato un vero ricominciare.
    Dapprincipio, lei avrebbe voluto riprendere le sue mansioni di infermiera al Santa Johanna; ma poi Albert l’aveva convinta a prendere la direzione di un istituto di accoglienza per malati poveri, che lui non avrebbe potuto condurre personalmente, dato che era occupato da mattina a sera con la sua società; e poi, preferiva che a dirigere un istituto come quello fosse una persona che aveva già una certa pratica di malati e una gran voglia di aiutare gli altri; così, aveva incaricato la moglie.
    Inutili si erano rivelate le proteste della zia Elroy, che continuava a ripetere che “dei signori non possono avere a che fare con quella gente sporca”: Albert l’aveva messa a tacere, mostrandole la poco allettante prospettiva di un trasferimento nella tenuta dei Legan in Florida, e la vecchia, pur ingoiando un rospo grosso quanto un edificio, aveva dovuto cedere, e tenere per sé i suoi brontolii.
    Flanny aveva così inaugurato col marito il sanatorio-foresteria, con una grande cerimonia in una mattina di fine primavera, illuminata da un sole brillante e contornata da quel volo di rondini e vociare di bambini che contraddistinguono i momenti di allegria destinati ad esser ricordati come leggende, nei tempi più tristi.
    Lui era sempre bellissimo, in un completo blu che metteva in risalto il colore dei suoi occhi ed i suoi boccoli color dell’oro tornati a posarsi sulle spalle, mentre lei aveva indossato un elegante abito color amaranto di seta, che le donava la classe degna di una signora del suo rango, quale era diventata dopo il matrimonio con Albert Andrew.
    La parte medica dell’istituto fu affidata al Dottor Martin, un eccentrico medico che Albert aveva conosciuto in Africa, e che utilizzava terapie naturali e fuori dagli schemi che avrebbero fatto inorridire i più conformisti, ma che si rivelavano efficacissime.
    A quell’evento aveva partecipato anche Candy col marito Michael, e in quell’occasione aveva rivisto Suor Maria e Miss Pony, alle quali aveva raccontato la terribile esperienza dei campi di battaglia. Le sue “madri”erano state sollevate nel vederla sposata a quello che sembrava un brav’uomo, dopo avere appreso da Annie la sofferenza lacerante patita dalla ragazza per Terry; ma negli occhi della loro “bambina”, da brave madri, vedevano chiaramente che quella luce che era stata da sempre il suo tratto distintivo si era spenta, e Candy si era adagiata nella pace artificiale di un accordo di comodo, per continuare a vivere.
    L’anziana Miss Pony non smentiva il suo cuore generoso e pieno d’amore, poiché aveva voluto presenziare alla cerimonia per fare piacere a Candy, sebbene manifestasse degli strani sintomi da raffreddamento, che erano andati peggiorando in poche settimane.

    **********
    Gennaio 1920.
    Flanny sorrideva al cucchiaino che stava rigirando nella tazza di tè, con un’espressione da fanciulla che osserva un dolce desiderato e alla fine raggiunto; seduto di fronte a lei, Albert le sorrideva, i grandi occhi turchesi pieni d’amore.
    In un angolo, un grammofono suonava Rhapsody in Blue, il successo planetario di Gershwin(2)
    “Procede bene l’istituto?” le chiese,
    “Mmh-mh” annuì lei, senza smettere di guardare sempre più divertita la tazza,
    “Il Dottor Martin come se la cava?”,
    “Meglio del previsto: i suoi metodi anticonformisti hanno guarito molte persone”,
    “Avevo visto giusto su di lui; negli ambienti medici non si fa che parlare dei suoi successi!”,
    “E’ vero: anche il Times è venuto ad intervistarlo, un paio di settimane fa”,
    “Non mi hai detto niente. Quando è successo?”,
    “Quando hanno fatto l’articolo sugli istituti di beneficenza della città, ed il nostro è risultato essere il migliore”,
    “Non ho ancora visto questo articolo.. eppure ricevo il Times in ufficio tutti i giorni”,
    “Perché non è ancora uscito. Uscirà a breve”.
    Flanny non immaginava quanto a breve!

    “La casa dovrebbe essere questa!”,
    “Allora siamo arrivati!”,
    “Chiamala casa, questo è un palazzo!”,
    “Ha saputo giocare bene le sue carte, quella sgualdrinella!”.
    Un curioso quartetto si stava avvicinando a Palazzo Andrew: una donna e tre uomini, che per la giovane età si potevano benissimo definire ancora ragazzi; erano vestiti con abiti nelle loro intenzioni eleganti al limite del sontuoso, ma consunti e resi grotteschi dall’usura e dal tempo: la donna portava un ampio cappello secondo la moda di venti anni prima.
    Raggiunsero il cancello, e la donna bussò.
    Un servitore venne subito.
    “In che posso aiutarla?”,
    “Voglio parlare con la.. Signora Andrew, subito!”, gridò con aria tronfia,
    “Chi la desidera?” il maggiordomo era sospettoso,
    “Sono sua madre! Non credo si sia dimenticata di me così presto soltanto perché ha sposato un ricco!”,
    “Attenda qui, prego”, il maggiordomo si diresse verso il palazzo senza aprire il cancello,
    “Ma che fate? Ci lasciate qui fuori?!” urlò esasperata la donna, mentre i tre ragazzi lanciavano occhiatacce nella direzione in cui si era allontanato il maggiordomo.
    Questi salì immediatamente nel salottino privato in cui si trovavano Albert e Flanny, che ignari di tutto stavano sorbendo il tè.
    “Voglia scusarmi, signore..”,
    “Che succede, James?”,
    “’C’è una visita, signore”,
    “Una visita? Di chi si tratta?”,
    “Ecco.. è una signora che dice di essere la madre della Signora Andrew!”.
    All’udire quelle parole, Flanny balzò in piedi rovesciando la tazzina: dopo essere riuscita a cambiare vita e a scacciare i suoi demoni personali, quello era il momento che tanto aveva paventato, e che sperava non sarebbe mai arrivato; invece era arrivato: alla fine, l’avevano trovata.
    Giorno per giorno
    ho imparato la vita a memoria..

    Giorno per giorno
    ho imparato il mio bene, il mio male..(1)
    Si accasciò perdendo i sensi, mentre la tazza cadeva a terra e andava in frantumi.
    Frantumi. Sempre frantumi.
    Albert giunse tempestivo per prenderla fra le proprie braccia, prima che potesse accasciarsi sul pavimento.
    “James mi aiuti, presto! Sistemi i cuscini sul divanetto laggiù”,
    “Subito signore”.
    La donna esanime venne trasportata fino ad un divano di raso color cipria e lì deposta; il marito le passò una mano sulla fronte, e vide che era divenuta pallida come un cencio.
    Il solerte James aveva portato un cestello con del ghiaccio ed una tovaglietta. Albert ne prese un paio di cubetti, li avvolse nella tovaglietta e li passò sul viso della moglie, che riaprì a fatica gli occhi.
    Giorno per giorno
    stai riuscendo a toccarmi nel cuore
    a toccarmi nel corpo e ad avere risposta
    Inventiamo altre ore, se il tempo non basta(1)
    “Come ti senti?”,
    “Doveva.. succedere..?”;
    Albert annuì; “Ma non preoccuparti, non permetterò che distruggano tutto quello che abbiamo costruito!”.
    Si alzò, passò accanto al maggiordomo, il quale stava raccogliendo i pezzi della tazzina rovesciata e asciugando il tè “James si occupi della signora, per favore”,
    quindi si diresse alla porta della camera, uscendo in corridoio.
    Prese le scale, e in un attimo raggiunse il cancello.
    Il gruppetto era ancora lì, tutti più contrariati di prima.
    “Cosa posso fare per voi, signori?”, disse aprendo il cancello; quelli entrarono nel giardino con aria prepotente da padroni di casa.
    “Siamo qui per vedere mia figlia Flanny: io sono la madre, e questi sono i suoi tre fratelli”,
    “Credo che abbiate sbagliato casa”, rispose loro Albert con uno sguardo gelido,
    “Ma che sbagliato! Mia figlia Flanny! Vuole chiamarmela o no? Se non la chiama subito, vado a cercarla io!”,
    “Non le permetto di parlare così in casa mia!”.
    L’espressione battagliera della donna si tramutò in un sorriso viscido.
    “Dunque, lei è il padrone, il marito di mia figlia! Vada a chiamarla immediatamente!”,
    “Le ho già detto che nessuno può permettersi di darmi degli ordini in casa mia! Poi non so di cosa parla, se ne vada!”,
    “Non lo sa, eh? Mia figlia ora è sua moglie! Quella sciagurata ci ha fatto credere di esser morta per abbandonarci tutti nella melma, e andare a fare la bella vita! Ma io non sono un’ingenua, l’ho vista sui giornali e l’ho riconosciuta! Quindi adesso deve darci quello che ci spetta, se pensa di tenersi tutto per sé si sbaglia di grosso: siamo la sua famiglia!!”.
    I giornali! Perché non ci aveva pensato? Dannazione!! “Signora” Albert cercava di mantenersi freddo e lucido “non so di cosa stia parlando, ma mia moglie non è affatto sua figlia! E’ una povera donna Inglese che ha perduto tutti i suoi cari sotto le bombe! E’ molto provata e non le permetto di importunarla. Quindi adesso, se ne vada di qui, lei e i suoi figli!”,
    “Cheee? Andarmene? Non ci penso nemmeno! Quella sciagurata si è procurata tutto questo” indicò il palazzo e il giardino “ e ora non vuole dividerlo con la sua famiglia! Sciagurata ed egoista! Noi siamo in mezzo al fango mentre lei naviga nell’oro, si dovrebbe vergognare! Un anno fa mio marito è morto, e anche il mio figlio più giovane; un altro dei bambini è a casa ammalato, e quella disgraziata non può abbandonarci in questo modo! Io pretendo di vederla!”.
    Albert stava perdendo la pazienza: i modi arroganti di quella donna iniziavano a dargli sui nervi; adesso capiva cosa doveva aver sopportato Flanny.
    “Cara signora, credo che lei abbia scambiato mia moglie con qualche altra persona; ma da ciò che dice capisco che lei non ha fatto molto per meritarsi l’affetto della sua povera defunta figlia: si crede in diritto di dare ordini in casa d’altri, e va a cercare una persona che crede essere sua figlia, pur disprezzandola, solo per avere denaro da lei. Non era degna affatto di avere sua figlia vicino, e certamente non le permetterò di infastidire mia moglie; tuttavia, sono dispiaciuto per la sua situazione; quindi adesso le darò duecento dollari, e lei e i suoi figli lascerete questa casa, per non farvi più ritorno; sono stato sufficientemente chiaro, signora?”;
    la donna sogghignò “Voi altri ricchi siete tutti uguali: credete di poter comprare il mondo col denaro, e di trattare coi piedi la gente povera. Ma con me non la spunterà: io voglio vedere mia figlia, e non sarà lei a fermarmi!”.
    Così dicendo, scansò Albert e si avviò verso il portone d’ingresso con aria trionfale, seguìta dai ragazzini, che si divertivano a calpestare le aiole con la stessa espressione sul viso.
    Albert riuscì fortunatamente a precederli sul portone “George! Chiami la polizia, presto! Questa gente sta violando il mio domicilio!”.
    Il segretario fedele come sempre accorse subito “Sì, signor William. Provvedo immediatamente”.
    La donna ora gli puntava in faccia due occhi pieni d’astio “Siete tutti uguali voi ricchi: dei prepotenti e nient’altro!”,
    “Forse è vero, ma lei è senza dubbio peggiore: tratta chiunque con aggressività, vorrebbe piegare chiunque al suo volere! Vuole che gli altri si sentano in colpa, non fa che comandare e rimproverare, senza alcuna ragione! Così si può distruggere una persona, e non mi è difficile credere che abbia fatto lo stesso con sua figlia! E’ una persona egoista e prepotente, e vedo che suoi figli sono sulla sua stessa strada. Mi fa male pensare che al mondo esistano persone come lei, che non sanno cosa è il vero amore, e l’affetto verso il prossimo. Sono certo che sua figlia adesso starà senza dubbio meglio, ovunque si trovi! Addio, signora”.
    L’agente del quartiere, giunto in quel momento, accompagnò fuori il gruppo, mentre Albert li seguì con lo sguardo fino a quando non li vide sparire; poi tirò un sospiro di sollievo, e rientrò in casa per tornare dalla moglie.
    La trovò dietro la finestra del salottino, da cui aveva assistito a tutta la scena. Le si avvicinò, e le mise una mano su una spalla.
    “Ora è finita”, le disse.
    Lei annuì in silenzio.

    Il giorno successivo, il Dottor Martin dell’Istituto Andrew si presentò a casa Hamilton, con l’incarico di visitare il bambino malato; lo visitò e gli fornì gratuitamente alcune medicine. Ma contro la Spagnola si poteva fare davvero poco.

    **********

    Un’altra notte insonne..
    Terry si alzò dalla poltrona che aveva visto i suoi grotteschi contorcimenti durante quella interminabile notte di veglia, con le ossa rotte; decise che le molle non erano un toccasana per la schiena!
    Osservò il viso pallido della moglie, che appariva ormai sempre più simile ad una maschera di cera, di quelle che ritraggono i lineamenti dei defunti; crollò la fronte sulla propria mano, trovandosi madido di sudore: cosa che non stupiva, dato che erano quasi all’inizio dell’estate.
    Erano mesi che Susanna soffriva, ormai; e con grande stupore del medico stesso, rimaneva attaccata alla vita con un’ostinazione sorprendente.
    Per puro miracolo, era guarita dalla Spagnola, dopo mesi e mesi di sofferenze e cure di ogni tipo; ma anche dopo avere abbandonato il suo corpo torturato, la terribile influenza le aveva lasciato addosso strascichi e conseguenze di ogni tipo: febbri di vario genere, polmoniti, infezioni.. era stato un continuo Calvario per lei.. e di riflesso anche per lui.
    Giorno per giorno
    ho imparato ad avere pazienza
    sulla mia coscienza è cresciuta già l’erba
    e ogni giorno mi sveglio che tutto va meglio

    Giorno per giorno
    Seguo il vento aspettando la sera..
    e non faccio paura
    e non faccio domande..(1)

    Ma davanti alla propria coscienza non aveva nulla da rimproverarsi: le era rimasto sempre accanto, non l’aveva abbandonata un solo attimo, rinunciando perfino alla tournée con la sua compagnia, che lo avrebbe tenuto lontano da casa per mesi; Robert aveva dovuto sostituirlo.
    Ma non era venuto meno al suo dovere.
    Candy ne sarebbe fiera..
    Un sorriso sarcastico gli attraversò le labbra, facendogli socchiudere gli occhi: perché la sua stupida testa si ostinava a pensare a lei? Perché continuava ad andare nella sola direzione che non avrebbe portato mai da nessuna parte?
    Un minuto di sole mi basta a scaldarmi
    Con quale diritto tu vieni a svegliarmi?(1)

    Forse mi piace farmi male..
    Aveva ricevuto regolari notizie da Annie, in quei mesi: aveva saputo che Candy, dopo avere ripreso la sua regolare attività al Santa Johanna, ora aveva messo su col marito un piccolo studio medico privato; ma c’era dell’altro: lei stessa stava studiando per diventare medico.
    Terence non se ne stupì: durante quella lunga guerra, le donne rimaste in Patria avevano avuto non poche occasioni per mettersi in luce al posto dei mariti al fronte, e per mostrare le proprie capacità; questo aveva finalmente aperto loro la via a tutti quei diritti che prima erano stati loro ingiustamente negati, primo fra tutti il diritto di voto. Terry ne era soddisfatto: non aveva mai capito il perché di quegli assurdi limiti imposti ad una persona, solo perché era di un sesso a torto definito “debole”; da quello che aveva potuto osservare di persona, le donne erano tutt’altro che deboli: prima fra tutte, la sua “Tarzan-tutte-lentiggini”, di cui aveva ammirato in più occasioni la forza e la determinazione; poi, sua madre, che se aveva commesso dei gravi errori contro di lui, era stato -adesso lo sapeva- a causa di un sistema che relegava le donne a scegliere tra due ruoli: o schiave o meretrici: Eleonor era stata lei stessa vittima, come lo era stato lui, di uno schema contorto e falso, che aveva distrutto la vita di entrambi per troppo tempo; infine, la stessa Susanna stava dimostrando una forza insospettata, riuscendo a tenersi quel brandello di vita che le era rimasto addosso, a dispetto di tutte le sofferenze della sua stessa volontà.
    Sì, era davvero ora che le cose cambiassero per entrambi i sessi.
    Ed anche l’affermazione professionale ne faceva parte: se si aveva diritto di votare, perché non impegnare la propria vita anche nella fatica nobilitante del lavoro quotidiano? Era un diritto ed un dovere insieme. E quello di dottore era un mestiere che in quegli anni stava vedendo tra le proprie fila molte donne.
    Ed era perfetto per lei.
    Lei, che adorava aiutare il prossimo.
    Lei, che aveva scelto la medicina per la vita.
    Sì, sarebbe stata un ottimo medico.
    Medico, moglie e infermiera.
    Ecco cos’era lei ora.
    In una parola, aveva una vita, una vita che non lo comprendeva più.
    E d'altronde, anche lui aveva una vita, di cui lei non faceva più parte.
    Vivevano in due città lontane tra loro, ma non era solo la distanza a separarli: era la separazione delle loro vite.
    Ora lui ne era consapevole.
    Allora, perché ogni tanto quel pensiero veniva a visitarlo?
    Passo per passo, riaprendo finestre già chiuse
    precipiti dentro di me
    che cosa ti aspetti..
    Questo io dico sapendo
    che stavo cadendo
    e che l’ultima spiaggia del mondo
    che valga la pena sei tu..(1)

    Terry si accese una sigaretta, pensando che le vecchie abitudini sono dure a morire.
    Non aveva senso pensare a lei; né aveva senso fare ciò che faceva per lei.
    Eppure, troppo spesso lo faceva.
    Non riusciva a farne a meno.
    Il suo segreto inconfessabile.
    Giorno per giorno
    ogni prossimo giorno..(1)
    L’importante era che facesse il suo dovere in modo impeccabile, cosa che non mancava; di questo, se ne era accorta per prima la Marlowe, che adesso lo stimava un po’ di più come genero; o quanto meno, aveva smesso di tenere astio contro di lui.
    Qualcosa, alla fine, l’aveva ottenuta! E non era da poco!



    (1)Pooh, Giorno per giorno.
    (2)Chiedo scusa per l’errore temporale voluto, so che il pezzo è del 1924 e non del 1920, ma lo vedevo adatto a questa scena ambientata nell’atmosfera dei primi Anni ’20.
     
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    CAPITOLO 11
    THE WINNER TAKES IT ALL


    Nota: il titolo del capitolo è ripreso da quello della omonima canzone degli Abba.

    Gennaio 1921.
    Candy sollevò lo sguardo dal libro di anatomia che aveva quasi finito di leggere. Poche settimane ancora, e avrebbe dovuto sostenere l’esame.
    I suoi studi da infermiera le erano venuti in aiuto, certamente, ma studiare da medico era tutt’altra cosa, soprattutto dato che la mattina era di turno all’ospedale come infermiera.
    Non aveva ancora lasciato la sua professione precedente, non l’avrebbe fatto, finché non fosse diventata un medico a tutti gli effetti.
    E all’ospedale aveva avuto modo di accorgersi di diverse cose che l’avevano non poco incoraggiata nei suoi propositi.
    Segni inequivocabili di cambiamento dei tempi, in meglio.
    I liberi e leggeri Anni Venti stavano riempiendo gli ospedali, non solo il Santa Johanna, di dottori di sesso femminile, molto bravi e preparati, che avevano salvato molte vite e si stavano pure guadagnando la fiducia di un numero crescente di pazienti.
    Era vero che la strada per intraprendere quel tipo di professione era tutta in salita per una donna, che nelle Università si ridacchiava di nascosto tra gli studenti, osservando l’unico studente con la gonna che sedeva isolata dagli altri e intenta solo a studiare un libro, che i docenti erano più severi con loro che con gli studenti maschi; ma una volta raggiunto l’obiettivo, il più era fatto: bastava solo mostrare la propria professionalità e competenza, senza più risolini alle spalle, o esami-trabocchetto, ed una donna che non mancasse di queste due doti, unite a senso del dovere, avrebbe avuto successo.
    The winner takes it all
    the loser’s standing small
    beside the victory(1)
    Soprattutto se proveniva da una famiglia nota come la sua.
    Albert, neanche a dirlo, era stato felicissimo della sua scelta, seguìto da Archie, Annie e Patty; Flanny si era addirittura premurata di farle avere una convenzione affinché potesse esercitare presso il loro istituto, ma a quest’ultima offerta Candy aveva rifiutato, dicendo che preferiva lavorare nello studio del marito, che era stato il primo ad avere creduto nelle sue capacità come medico.
    Glielo doveva, dopotutto.
    Almeno come offerta di scuse. Per quel matrimonio senza amore. Per quell’ombra che, silenziosa ed invadente, continuava ad infilarsi tra loro, perfino nei momenti più intimi, che Candy aveva dovuto condividere con il marito.
    Quell’ombra. Quell’ombra di nome Terence.
    La stessa ombra che adesso stava attraversando le pagine del suo libro, sebbene lei tentasse invano di allontanarla.
    I don’t wanna talk
    about things we have gone through
    though it’s hurting me
    now, it’s history…(1)
    Sorrise al pensiero: allontanarla! Sapeva benissimo di non potervi riuscire in alcun modo, nemmeno immergendosi nello studio per diverse ore, al punto da coricarsi accanto a Michael che dormiva della grossa, poco prima dell’alba.
    Studiare e lavorare. Lavorare e studiare.
    Mai un attimo libero; mai un momento di vuoto.
    E nei momenti di “stacco” dalle sue attività, visite ad Annie e Albert, passeggiare con colleghe e visite di beneficenza all’Istituto Andrew.
    E momenti di amore imposto.
    Non spontaneo, albergante da sempre dentro di lei; ma vissuto come un dovere, che doveva al coniuge per ringraziarlo di tutto ciò che stava facendo per darle una nuova esistenza.
    Michael era molto gentile con lei: non le imponeva mai nulla; ma nonostante il suo silenzio, attraverso esso Candy vedeva molto bene quali fossero i suoi doveri coniugali, dovuti inoltre ad un moto della propria coscienza, che la spingeva a ricambiare la dolcezza di lui, così pronto a fare qualunque cosa per farla felice, così innamorato e sempre pronto a sostenerla.
    Sì, glielo doveva in qualche modo.
    Riconoscenza, di tutto cuore.
    Ma niente di più.
    I was in your arms
    thinking I belonged there
    I figured it made sense
    building me a fence
    building me a home(1)

    **********
    Una serata gelida come tante, fuori del locale: le luci appena appannate dal fumo filtravano attraverso le porte di vetro opaco del retro.
    Le note di Montmartre Rag(2) giungevano, forti e chiare, fin là.
    L’uomo tirò un’altra boccata dalla sigaretta, occhieggiando da sotto la tesa del suo cappello, quindi si sistemò meglio il bavero per occultarsi il viso; un altro uomo lo raggiunse, ugualmente imbacuccato nel tentativo di non farsi vedere troppo in giro.
    L’importante era che tra loro si conoscessero benissimo.
    “Ecco la cifra”, l’ultimo arrivato allungò all’altro una busta; quello la prese e l’aprì.
    “Avevamo detto mille; questi sono solo ottocento!”, disse duramente, guardando dentro la busta,
    “Duecento sono di commissione per il lavoro svolto dai ragazzi”,
    “Non dire idiozie: eravamo d’accordo su mille!”,
    “Senti amico, io non discuto le decisioni del capo. Se vuoi, vai dentro tu a parlarci!”,
    “Con tutta quella gente presente? Tu sei fuso!”,
    “Allora non lamentarti! Prendi la grana e sparisci!”,
    “Con chi credete di avere a che fare? Non sono un piffero, io! Se ci si mette d’accordo su una cifra, pretendo di averla! Diversamente, trovatevi qualcun altro per i vostri affari!”.
    L’uomo era furioso: non aveva affrontato tanti rischi per vedersi soffiare duecento dollari da sotto il naso! Quello era un affare d’oro, l’aveva fiutato subito, e ci si era buttato dentro a capofitto: era quello che ci voleva per rimpinguarsi un po’ il portafogli.
    Ma soprattutto per garantirsi benessere e una posizione invidiabile, cose a cui, nella sua condizione coniugale non poteva rinunciare.
    Ma erano anche cose che richiedevano una bella dose di coraggio: la posta aumenta, il rischio aumenta.
    Ma doveva farlo.
    Per sé stesso; ma soprattutto per lei. Per loro.
    Perché le aveva promesso di darle il meglio; glielo aveva promesso, sì.
    Glielo doveva, dopo che lei gli aveva dato la propria vita; doveva farla felice.
    I’ve played all my cards
    and that’s what you’ve done too
    nothing more to say
    no more ace to play(1)
    Così che lei non rimpiangesse l’altro.
    The winner takes it all
    the losers has to fall
    it’s simple and it’s plain
    why should I complain?(1)
    Perché la sua ombra era sempre tra loro. Nei silenzi. Nei loro momenti assieme.
    Quando cenavano. Quando lavoravano. Quando andavano in visita ai parenti di lei.
    In una parola, sempre.
    But tell me did he kiss
    like I use to kiss you?(1)
    E lui non poteva tollerarlo.
    Non poteva permettere che quell’ombra fosse migliore di lui; avrebbe fatto qualsiasi cosa, per offuscarla.
    Qualsiasi!
    Quel traffico di alcolici era un buon inizio. Redditizio, e in breve tempo.
    E quel Capone sapeva il fatto suo.
    Era stato un gran colpo di fortuna conoscere uno dei suoi soci: si era affiliato facilmente anche lui.
    In tutta Chicago, gli speak-easy fiorivano come erba(3), e avevano sete.
    Lui aiutava a dissetare.
    E ora non tollerava di vedersi depauperato!
    “Non pensiate di fare i furbi! Vallo ad dire al tuo capo”,
    “Va bene. Per stavolta hai ragione; eccoti altri cento, dopo tutto l’hai fatta in barba agli sbirri con quella camionetta. Però vedi di non chiedere troppo. Il capo potrebbe spazientirsi”,
    “E voi vedete di non pugnalarmi alla schiena: potreste pentirvene”,
    “Okay, non azzuffiamoci tra di noi: non è il caso, dato che siamo colleghi. Ci si vede Martedì, sempre qui. Buonanotte Strong!”.
    L’uomo si allontanò, tirandosi più su il bavero del cappotto; aprì la porta del locale, e subito una folata di aria calda e putrida di liquori scadenti investì Michael, seguita dalle note di Rainy Nights; poi la porta si richiuse dietro lui.
    Il dottore rimase solo. Quindi se e andò per ritornare dalla moglie, che studiava ancora a quell’ora assurda della notte.

    **********

    Marzo 1921.
    La zia Elroy era oltremodo soddisfatta. Quel pezzo di tradizione la ripagava ampiamente di tutte le strambe novità che aveva dovuto accettare, come ad esempio il fatto che un membro della famiglia Andrew (Candy) studiasse per diventare medico; ma era stato un preciso desiderio di Albert, e lei non aveva potuto fare altro che calare la testa, pena un esilio forzato in Florida!!
    E dopotutto, nei tempi nuovi che erano iniziati, doveva ammettere con sé stessa che quell’orfana era davvero in gamba, e avrebbe portato lustro alla famiglia con gli apprezzamenti che riceveva; ma prima di dirlo apertamente, sarebbe morta!!
    E poi, ora c’era comunque quel pezzo di tradizione e rincuorarla. Perché un matrimonio è sempre un pezzo di tradizione molto importante.
    La casa si stava già riempiendo di quell’eccitazione e dei preparativi tipici di un grande evento, sebbene al grande momento mancasse ancora circa un anno.
    Archie ed Annie erano al settimo cielo.
    Ogni cosa avrebbe dovuto essere perfetta, senza sbavature. Così, anche la vecchia zia Elroy sarebbe stata contenta.
    A questo proposito, Annie l’aveva coinvolta nella scelta dell’abito da sposa e del corredo; naturalmente, anche Patty, Candy e Flanny facevano parte della “squadra di consultazione”!
    Dal canto suo, Archie aveva coinvolto suo zio Albert e il nuovo arrivato, Michael, anche per farlo sentire parte della famiglia.
    “Sarà una grande festa!” esclamava Annie con occhi sognanti,
    “Puoi giurarci, mia cara ragazza!” faceva eco la zia Elroy con aria soddisfatta,
    “Che te ne sembra di questo vestito?”, Patty indicò un’immagine sul catalogo che stava sfogliando,
    “La forma del velo non mi sembra appropriata, cara” rispose la zia,
    “Ma è bello, zia: è alla moda!”, fece eco Flanny,
    “Sarà alla moda, ma quel velo acconciato come i cappelli che si vedono adesso in giro non mi conquista proprio!”,
    “Zia, dove pensi sia meglio organizzare il pranzo di nozze?”, chiese Annie,
    “Ma in giardino, naturalmente! Sarà Giugno, no?”,
    “Giusto! E’ un’idea stupenda! Candy, ci darai una mano con le decorazioni?”,
    “Ma certo!” rispose l’interpellata,
    “Le decorazioni dovranno essere rigorosamente in bianco e rosa! Roselline del nostro giardino di Lakewood! Voglio ghirlande sul gazebo e sui tavoli”,
    “Oh sì! Ad Albert piacerà molto” aggiunse la futura sposa.
    Candy e Flanny sorrisero, nostalgicamente: a loro non era stato dato scegliere tutte quelle cose per il loro matrimonio, essendo state costrette dagli eventi a sposarsi su un campo di guerra, in fretta e furia, in divisa e circondate da feriti e militari anziché da parenti ed amici, sotto un cielo plumbeo invece delle ghirlande di fiori colorati, e.. magari tra un funerale e l’altro!
    Ma Flanny in questo era stata più fortunata di Candy. Si era sposata per amore.
    Il suo matrimonio era felice, molto. Albert era suo marito, il suo migliore amico, il suo amante, il suo confidente.
    E Candy?
    Michael era premuroso, gentile, continuava a ripetere che “presto avrebbero fatto grandi cose”, che “tutto andava per il meglio”; faceva di tutto per farla felice, a casa e al lavoro.. ma non lo amava. Era inutile mentire a sé stessa.
    E poi, dove andava quando usciva a tarda sera, dopo che qualcuno era venuto a cercarlo all’ora di cena? Lui parlava di visite urgenti..
    Candy abbassò lo sguardo: non era quello il momento di pensare ai propri problemi; adesso doveva solo occuparsi di Annie, e del suo giorno più bello!

    **********

    Arrivò che era pomeriggio inoltrato, e scese subito dalla macchina. Le ci volle un istante per rendersi conto che niente era come un tempo, alla sua amata Casa di Pony.
    L’atmosfera un tempo giocosa e risuonante delle strida e delle risate dei bambini era adesso cupa e silenziosa; il prato era incolto, abbandonato chissà da quanto; le imposte chiuse.
    Avanzando sul sentiero, le venne in mente che niente dura per sempre, sia in bene che in male.
    Sull’uscio trovò ad attenderla una mesta Suor Maria.
    Le due donne non dissero nulla: si scambiarono solo una lunghissima ed eloquente occhiata.
    La suora fece strada a Candy all’interno dell’edificio, lungo il buio corridoio, circondato da porte chiuse.
    “I bambini?” chiese Candy,
    “Non c’è più nessuno dallo scorso inverno”.
    Candy annuì: ora che tutto stava cambiando, anche gli orfani venivano affidati agli istituti di Stato.
    “E qui dentro” Suor Maria fece un cenno con la mano, indicando una porta socchiusa che immetteva in una stanza semibuia.
    A passi incerti, la donna entrò nella camera.
    Era arredata in modo semplice, con un cassettone, un armadio e un vecchio letto in fondo, con un piccolo comodino, sopra il quale ardeva un piccolo lume a petrolio, unica fonte di fioca luce.
    Distesa nel letto stava una figura quasi immobile.
    Candy allungò una mano.
    “Miss Pony..”.
    L’anziana donna mosse la testa e la guardò.
    “Candy..”,
    “Non si stanchi. Stia tranquilla”, le disse sistemandole il cuscino,
    “Grazie piccola mia”,
    “Come si sente?”,
    l’anziana sospirò “Meglio, mia cara bambina: ormai sono vicina a raggiungere il Nostro Signore, e ho trovato la pace. Sono solo triste di dover lasciare tutti voi”,
    “Non dica così, Miss Pony” gli occhi di Candy divennero lucidi “deve rimettersi e guarire. Tanti bambini hanno bisogno di lei!”.
    Miss Pony scosse il capo “E’ inutile mentire, mia cara. So che il mio percorso terreno è finito, sto per andarmene, ed è bene lo faccia in pace. Però mi spiace lasciarvi.. ma so che vi lascio in buone mani: tutti voi siete cresciuti, avete accanto l’amore e avete trovato la vostra strada: tu stai per diventare un dottore, Annie sta per sposarsi, Tom è il padrone di un grande ranch.. vi ho messo nelle mani del Signore, Lui vi ha guidati”,
    “Oh, Miss Pony.. Miss Pony..”,
    “Non devi piangere, bambina”, le fece una carezza “anche se sei triste devi essere felice per me, che vi benedirò dall’alto. Ho lavorato per voi per tutta la vita, ora è giusto che mi riposi”.
    A quel punto, la donna non trattenne più le lacrime.
    “La voglio bene, Miss Pony; tutti noi gliene vogliamo, lei è stata la nostra fata buona!”,
    “Vi affido al Signore!”, disse l’anziana in un sospiro,
    “Addio, Miss Pony”.
    Candy non ebbe il coraggio di rimanere oltre: si alzò e uscì dalla stanza, non voleva assistere alla morte della donna che l’aveva cresciuta da quando l’aveva trovata nella neve.
    Davanti alla porta trovò Suor Maria, commossa pure lei. Le due donne avanzarono per il corridoio.
    “E’ stato fatto tutto il possibile” disse la suora,
    “Non è colpa sua, Suor Maria: la Spagnola non perdona!”,
    “Non sarà più la stessa cosa, senza di lei!”,
    “Venga a Chicago da noi! Perché restare qui, sola?”,
    “Perché questa è la mia casa, ormai. E forse, un giorno torneranno anche i bambini. Un istituto in città è un posto molto triste!”,
    “Che Dio la benedica, Suor Maria!”,
    “Che Dio benedica te, Candy!”.
    La ragazza salì in macchina ed accese il motore.



    (1)Abba, The winner takes it all:
    Il vincitore prende tutto
    il perdente sta rimanendo in un angolo
    accanto alla vittoria

    Non voglio parlare
    delle cose che abbiamo sopportato
    sebbene mi faccia male
    ora è storia

    Ero tra le tue braccia
    pensando di appartenere a laggiù
    mi convincevo avesse senso
    costruirmi un confine
    costruirmi una casa

    Ho giocato tutte le mie carte
    ed è ciò che hai fatto anche tu
    niente altro da dire
    nessun altro asso da giocare

    Il vincitore prende tutto
    il perdente deve cadere
    è semplice ed è chiaro
    perché dovrei compiangermi?

    Ma dimmi lui ti baciava
    come sono solito fare io?
    Ho dovuto modificare alcuni versi del bellissimo pezzo degli Abba per esigenze di storia; ad esempio, gli ultimi due versi sono nell’originale: But tell me does she kiss, like I used to kiss you?


    (2)Il pezzo è del 1922, non del ’21, ma passatemela, vi prego!:-)
    (3)Gli speak-easy erano locali al limite della legalità, nei quali, durante il proibizionismo, si poteva entrare tramite una parola d’ordine e bere alcol a volontà. Avevo pensato qui anche ad un cross-over con il film “Gli intoccabili” di Bryan De Palma, ma ho preferito di no, per non rendere questa storia più incasinata di quanto già non sia!
     
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    CAPITOLO 12
    KILL EVERYTHING


    Nota: il titolo del capitolo è ripreso da quello della canzone di Skin, colonna sonora del film “L’impero dei lupi”.

    Gennaio 1922.
    Gli invitati erano tutti riuniti nella grande sala, chi in piedi, che seduto sui divani di sontuoso velluto: una moltitudine di uomini in giacca e panciotto di raso scuro e donne in leggeri abiti corti e coloratissimi, con piume e lustrini tra i capelli tagliati in corti caschetti. Al centro di quella moltitudine stava l’anfitrione di quella strana farsa, Al Capone.
    “.. E quindi, miei cari ospiti, desidero darvi ancora una volta il benvenuto nella mia modesta dimora! Grazie di avere accettato il mio invito qui, stasera!”.
    Un unico applauso si levò dai presenti, in risposta.
    Il padrone di casa tacitò tutti con un gesto della mano e riprese a parlare “Adesso facciamo un brindisi al nostro sodalizio, perché possa durare a lungo, ed essere il più proficuo possibile.. per tutti!”.
    Partì un secondo applauso, subito seguito da un tintinnare continuo di cristalli. Poi, i calici andarono alla labbra.
    Quell’uomo era una vera potenza: era meglio tenerselo amico.
    Stare dalla sua parte equivaleva ad divenire dei piccoli re; al contrario, entrare nel novero dei suoi nemici significava autocondannarsi a morte.
    Perché Al Capone aveva una sola, grande particolarità: distruggeva tutto ciò che non gli andava a genio. Anche se gli era stato utile, in passato.
    There’s no point in being careful
    I’ll burn bridges anyway..(1)
    Bastava guardarlo negli occhi un istante per capirlo.
    If I look you in the eye
    I swear I die
    ‘cause you kill everything you love!(1)
    Lui si curava solo del suo tornaconto personale.
    I’ve achieved my own survival
    I’ve refined my own sweet hell(1)
    Tutti I presenti lo sapevano bene.
    O quasi.
    Un uomo un po’ brillo si avvicinò ad una donna vestita di un appariscente abito viola, un corto caschetto di capelli rossi con frangetta ad incorniciare due occhi sprezzanti e freddi, che fumava da un lungo bocchino d’avorio.
    “Ehy, pupa! Ti andrebbe di farmi compagnia, stanotte?”,
    quella lo squadrò senza cambiare espressione, quindi rispose “Per chi mi ha preso?”,
    l’uomo le afferrò un braccio “Non fare la difficile, dài!”,
    “Mi lasci subito!!”.
    Il chiasso attirò l’attenzione del padrone di casa “Che succede, qui?”,
    “Nulla di importante, signore; volevo solo chiedere a questa puttanella di farmela spassare un po’”,
    “Metti giù le mani subito, deficiente: la signorina non è una di quelle; è una dei nostri soci!”,
    “Cos..? Scusa capo, avevo creduto che..”,
    “Tu dovresti pensare prima di agire.. e di credere! Una bella ripassata ti insegnerà ad agire meglio! Ragazzi! Portate il nostro amico a prendere una boccata d’aria in giardino!”.
    Immediatamente tre energumeni usciti dal nulla afferrarono il malcapitato e lo condussero fuori, da dove, poco dopo, si udì chiaramente il rumore di ossa spezzate accompagnate da grida.
    Il gangster si rivolse alla donna “Sono veramente spiacente, Iriza; c’è qualcosa che posso fare per te?”,
    “Non fa nulla, Al. Non me la sono presa”,
    “Ti regalerò un bel paio di orecchini: è il minimo, per scusarmi della maleducazione dei miei uomini; che dici dei diamanti?”. Iriza sussultò, poi fissò lo sguardo nel vuoto
    “Preferirei di zaffiri, se a te va bene”.
    Zaffiri. Blu. Come il colore di quegli occhi mai dimenticati.
    Terence. Il suo amore fatto di rabbia e passione, invidia e possesso. Quell’amore mai dimenticato.
    Se pensava che adesso apparteneva ad un’ex attricetta storpia!
    Ma una cosa sola la consolava: nemmeno lei aveva potuto averlo!
    I’ve no means to look resentful..(1)
    Più che amore, il suo era un contorto desiderio di possesso. Da sempre.
    Aveva sempre avuto la vita facile, lei; sempre ammirata, osannata, viziata da tutti; nessuno l’aveva mai respinta.
    E non poteva tollerare che l’avesse respinta proprio lui.
    Quello sputo in peno viso in pubblico bruciava ancora, dopo quasi dieci anni.
    Quell’uomo che l’aveva rifiutata per una volgare orfana.. come aveva osato? Nei suoi sogni più perversi mille volte aveva sognato di legarlo e farlo suo, sentendolo venire tra le sue mani vogliose, polverizzando in un istante quella superbia che si portava addosso da uomo vissuto, leccandolo, mordendolo, possedendolo a cavalcioni anche per una volta soltanto, per poi lasciarlo distrutto, per sempre. Come lui aveva fatto a lei.
    Amarlo, no. Possederlo e distruggerlo.
    Era solo questo che voleva.
    If I look you in the eye
    I swear I die
    ‘cause you kill everything you love(1)
    Ecco perché quegli occhi blu ancora bruciavano, avrebbero sempre bruciato.
    Non sarebbe mai riuscita a cancellarli; erano divenuti la sua ossessione.
    E quel ritiro forzato in Florida, dopo l’ennesima umiliazione subìta a causa di quell’orfana, seguita dalla morte del padre e dalla demenza della madre, era stato compensato soltanto in parte dalla fortuna di avere conosciuto uno dei più cari amici del boss dello spaccio di alcol Al Capone.
    Il fidanzamento, il ritorno a Chicago.
    L’affiliazione al clan, insieme ad un inacidito Neal.
    Poco importava se il fidanzato era morto in un misterioso incidente stradale poco tempo dopo. Capone l’aveva presa in simpatia, facendone uno dei suoi soci, soprattutto dopo che lei aveva messo a sua disposizione ciò che restava del patrimonio di famiglia dei Legan.
    Si era leccata le ferite e si era rialzata.

    **********

    Giugno 1922.
    Nel grande giardino di Palazzo Andrew era stato allestito un sontuoso banchetto, per celebrare le nozze dell’ultimo rampollo rimasto dell’ultima generazione di Andrew con Annie Brighton.
    La cerimonia in chiesa era stata pure sfarzosa, degna di un matrimonio tra aristocratici d’altri tempi; e adesso il banchetto non avrebbe potuto essere da meno. Il tutto con grande soddisfazione della vecchia zia Elroy.
    Candy e Albert erano stati i due testimoni, lei della sposa e lui dello sposo: li avevano osservati raggianti di felicità durante la celebrazione, Candy aveva visto gli occhi lucidi della sua amica d’infanzia brillare come il diadema di brillanti che la madre le aveva donato; Albert era stato felice nel constatare suo nipote finalmente sereno ed appagato, dopo troppi anni di inquietudine.
    Gli invitai stavano già sorbendo il cocktail in giardino, quando gli sposi fecero il loro ingresso accompagnati dai testimoni: lei indossava un bellissimo abito di raso bianco, con la gonna che arrivava a metà del polpaccio coperta da un velo di pizzo, e una rosa sempre di raso appuntata alla vita; in testa portava un velo acconciato “a cloche”, secondo la nuova moda dei cappelli.
    Per l’occasione, Candy aveva deciso di tagliarsi e stirarsi i lunghi capelli biondi, che ormai da molto tempo non portava più legati nelle due code laterali ma sciolti o tutt’al più legati in una coda bassa, in un liscio caschetto biondo che sfiorava la mandibola, anche lei secondo la nuova moda imperante; come tutte le signore presenti, ad eccezione della tradizionalista zia, indossava un abito corto a metà polpaccio.
    Archie stava sfoggiando tutta la sua eleganza, in un completo di color amaranto con camicia di batista e cravattino scuro, il tutto completato da una rosa bianca nell’occhiello della giacca, mentre Albert era occhieggiato da tutte le donne presenti, in quel suo completo blu come i suoi occhi, con bianco fazzoletto nel taschino, e i lunghissimi capelli biondi sciolti sulla schiena.
    Appena arrivarono nel giardino, i testimoni furono raggiunti dai rispettivi consorti, Michael e Flanny, pure loro seguaci delle nuove mode nel vestire, ma non nell’acconciatura.
    Michael prese sotto braccio Candy, mentre Flanny faceva lo stesso con Albert; i due protagonisti di quella giornata memorabile furono lasciati soli al centro di quello che sembrava un palcoscenico, mentre venivano circondati da tutti gli ospiti.
    La zia Elroy non lasciò da parte il suo cipiglio altezzoso nemmeno per un attimo, sorridendo in modo maestoso e composto sotto al suo cappello dei primi del Novecento; quel matrimonio segnava per lei il coronamento di una sorta di celebrazione familiare, quella signorina di buona famiglia avrebbe riscattato le due mediocri donne che ne facevano parte secondo lei forzatamente: la moglie di suo nipote Albert, e Candy.
    Annie era raggiante di felicità, in quello che in seguito ricordò essere stato il giorno più bello della sua vita, un prezioso tesoro da serbare nei momenti di rovina e disperazione che seguirono poi; Candy la osservava con gioia mista a malinconia: a lei non era toccata la fortuna inestimabile di unirsi a colui che amava per la vita; e sebbene fosse adesso un medico molto stimato che teneva col marito un importante studio, sentiva che la sua vita, dal lato dei sentimenti, era e sempre sarebbe stata a metà.
    “Sono belli, vero?”, le sussurrò Michael all’orecchio stringendole il braccio,
    “Sono bellissimi”gli fece eco lei con gli occhi lucidi, non capendo se era per la gioia che sentiva per l’amica di sempre, o per la malinconia per la propria sorte.
    Anche Albert stringeva la mano della moglie “Mi dispiace di non aver potuto offrirti qualcosa come questa”, le sta dicendo,
    “Tutto quello che volevo sei tu”, rispondeva Flanny intenerita.
    Tra gli auguri e l’allegria generale, gli sposi andarono a prendere posto a tavola, seguìti da tutti gli altri invitati.
    Il pranzo era luculliano, secondo il volere della zia: due antipasti, cinque diverse portate principali e tre dolci differenti, prima della torta nuziale a otto strati di panna e vaniglia.
    Dai tavoli non smise di alzarsi nemmeno per un momento un continuo cicaleccio, inframmezzato qua e là da qualche risata; Candy e il marito sedevano in uno dei tavoli d’angolo, da cui si riusciva a vedere il passeggio dei passanti sulla strada fuori.
    Michael rispondeva svogliatamente alle battute dell’ospite che gli sedeva di fonte, rivolgendo di tanto in tanto un sorriso alla moglie: sapeva perfettamente quali pensieri si agitassero nell’animo di lei, e avrebbe fatto qualsiasi cosa, pur di poter cancellare quell’ombra intrigante che si insinuava costantemente tra loro.
    Terence.. non poteva permettere che quell’invadente fantasma portasse la mente di sua moglie lontano da lui, da loro: doveva essere migliore di lui, a qualunque costo!
    Le avrebbe offerto una vita migliore, ricca ed agiata, più di quanto avrebbe potuto fare quello scalcagnato attore.
    Buttò svogliatamente uno sguardo alla strada, vedendosi di fronte, poco oltre l’inferriata che delimitava il giardino, un volto familiare.
    L’uomo in completo scuro lo fissava dai suoi asettici occhi grigi; gli rivolse un cenno col capo, senza staccargli gli occhi di dosso; lui rispose con un muto sguardo, e annuì impercettibilmente.
    L’altro si allontanò, mettendosi il cappello sulla testa; l’accordo era stato suggellato: era per quella sera, al solito posto.
    There’s no point in sitting silent
    there’s no reason to stay calm(1)
    Candy gli si rivolse, mentre discuteva con gli altri commensali; lui in risposta le strinse la mano, e le sorrise.
    ..’Cause you kill everything you love!(1)
    Non si rendeva conto di stare giocando ad un gioco molto pericoloso.

    **********

    “Deve ringraziare Dio, Signor Grandchester”.
    Terry non capiva per quale ragione le parole del medico gli suonassero più come un rimprovero che come una sentenza di liberazione.
    “Sua moglie è del tutto guarita dall’influenza Spagnola, una fortuna che molti non hanno potuto avere; ma tutte le cure e le attenzioni che le abbiamo portato non sono state in grado di evitare talune conseguenze”,
    “Quali?”, fece l’uomo accendendosi una sigaretta,
    “I polmoni. Sono rimasti gravemente lesionati. Questo farà sì che la signora soffra di fragilità polmonare a vita, e sia esposta a numerose infezioni polmonari”,
    “Ad esempio?”,
    “Tisi. Polmomite. Bronchite. Broncospasmo”.
    Terence annuì, lo sguardo perso nel vuoto e la testa appoggiata al polso, mentre il filo di fumo saliva verso il soffitto: che Susanna fosse fragile non era una grande novità, lo era ormai da anni, dal giorno dell’incidente. Però adesso era coinvolto un organo importante, la cosa iniziava a farsi rischiosa.
    “E’ mio dovere avvertirla, Signor Grandchester, che se contraesse una di queste infezioni non avrebbe molte possibilità di sopravvivenza”.
    Me lo aspettavo, pensò mentre un sorriso amaro gli si disegnava sul viso, ma quasi invisibile.
    If I look you in the eye
    I swear I die
    ‘cause you kill everything you love!(1)
    Nessun amore resiste integro nelle mie mani: neanche uno forzato!
    Niente che la sua passione toccasse rimaneva intatto.. già in passato aveva distrutto l’amore!
    Ma proprio per quell’amore distrutto e mai archiviato, non poteva permettere che ora quella fragile unione di cristallo andasse in mille pezzi.
    Doveva vegliarla, proteggerla come si fa con il vero cristallo dentro a una teca, curarne le crepature e prevenirle, quando possibile. Tornare indietro non avrebbe avuto senso.
    Peggio, sarebbe stato disdicevole.
    E così non gli restava altro che il riprendere il suo ruolo.
    There’s no point in talking vicious(1)
    Se anche avesse voluto abbandonare tutto, per affogarsi nei piaceri effimeri, lei glielo avrebbe rimproverato: ed allora anche il piacere avrebbe perduto il suo sapore.
    There’s no point in carving beauty
    when you’ll tear me anyhow(1)
    Sarebbe andato avanti, diritto per la strada che il destino gli aveva imposto, come aveva promesso un tempo.
    Diritto fino alla fine.




    (1)Skin, Kill everything:
    Non si guadagna alcun punto nello stare attenti
    brucerò i ponti comunque..

    Se guardo nel (tuo) occhio
    giuro che morirò
    perché tu uccidi tutto quello che ami..

    Mi sono conquistato la mia sopravvivenza
    ho raffinato il mio dolce inferno..

    Non ho modi per apparire risentita..

    Non si prende un punto stando seduti in silenzio
    non c’è ragione di restare tranquilli..

    Non si guadagna un punto a parlare nel vizio..

    Non si guadagna un punto a bramare la bellezza
    quando tu mi piangi in qualche modo..
     
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    CAPITOLO 13
    CREEP


    Nota: il titolo di questo capitolo è ripreso da quello dell’omonima canzone dei Radiohead.

    Gennaio 1923.
    Una sera come tante.
    Tre uomini stavano in piedi a lato di una strada male illuminata, tutti con lo sguardo puntato verso il lontano e buio fondo della via deserta.
    Tutti e tre rigirandosi tra le labbra sigarette quasi ridotte a mozziconi, gli sguardi penetranti come quelli di falchi sotto le larghe tese dei cappelli.
    “Ma quanto ci mettono?”, biascicò uno, la sigaretta che molleggiava tra le sue labbra,
    “Porta pazienza, Jim” gli rispose uno dei compari, le mani in tasca “probabilmente hanno trovato quei maiali delle guardie canadesi al confine!”,
    “Hey Frank, ti trovi per caso un’altra sigaretta?”, si avvicinò il terzo,
    “Buono Michael! Prima finisci quella che hai in bocca!”,
    “Fa freddo stanotte, amico! Tenere in bocca un po’ di fuoco mi riscalda!”, Michael alzò gli occhi verso la luce giallastra di un lampione della strada, che illuminava un pezzo della facciata dell’edificio abbandonato dietro di loro, dai mattoni di un rosso consunto.
    And I wish I was special
    you’re so fuckin’ special..
    But I’m a creep, I’m a weirdo
    what the hell I am doing here?
    I don’t belong here..(1)
    “Eccoli! Arrivano!”, Jim indicò un punto in fondo alla strada, in cui si poteva vedere avanzare due luci in lontananza.
    Tutti e tre si raggrupparono a lato del marciapiede.
    L’automobile si fermò cigolando; i tre si avvicinarono.
    Lo sportello si aprì, e una lunga gamba di donna assai poco coperta ne uscì fuori.
    “Salve ragazzi! Scusate per l’attesa, ma erano passati a prendermi”.
    Iriza scese dalla macchina, circondata dalla solita aria di strafottenza; i tre la guardarono indispettiti.
    Altri due uomini scesero dall’automobile “Allora, voialtri! Volete aiutarci o no?”,
    “Certo, arriviamo! Non vi scaldate, eh?”.
    I cinque si diedero immediatamente a scaricare alcuni barilotti stivati nel baule posteriore del veicolo, sotto lo sguardo inquisitore della donna.
    “Attenti a non rovesciarli: il coperchio potrebbe avere delle perdite!” gracchiò Iriza, lisciandosi con una mano il corto caschetto di capelli rossi,
    “Ne ho piene le scatole di quella là” sibilò Jim all’orecchio di Michael “se ne sta sempre a dare ordini, e non muove un dito! Non li sopporto più, né lei, né suo fratello.. e tutto perché stanno simpatici al capo!”.
    Michael annuì, senza dire nulla.
    “Sono stufo marcio!” aggiunse Jim.
    Iriza lo vide bisbigliare, attese che si fosse allontanato in direzione della loro camionetta, poi si avvicinò a Michael.
    “Nervosetto, il tuo amico!”, fece,
    “E’ stanco. E’ tutta la sera che ce ne stiamo qui a gelare”,
    “So di non stargli granché simpatica. Né a lui, né ad altri. Ma non mi importa nulla. Al mi vuole qui, ed io non intendo scontentarlo. E poi” rise “c’è parecchia gente a cui non sto simpatica, ma non mi importa nulla!”.
    I don’t care if it hurts
    I want to have control
    I want a perfect body
    I want a perfect soul
    I want you to notice
    when I’m not around(1)
    Michael aveva continuato a scaricale, non degnandola di nulla di più di uno sguardo fuggevole; ma Iriza non si arrese, e gli si avvicinò, con fare da gatta che fa le fusa.
    “E tu, mio bel cavaliere? Stai ancora gelando pure tu?”.
    Gli sfiorò il collo in una lieve e languida carezza; Michael rabbrividì, sforzandosi di rimanere indifferente.
    La donna riprese “Perché sai, in quel caso potremmo riscaldarci un po’ assieme..”.
    “Ho mia moglie che mi aspetta a casa”, rispose, secco, lui “debbo tornare da lei: sarà preoccupata per me, a quest’ora!”,
    “Peccato.. avremmo potuto passare un paio d’ore piacevoli..”, rispose Iriza delusa, mentre l’immagine di una slavata donna dal caschetto castano e dagli occhi color nocciola pallido si affacciava nella sua fantasia.
    But I’m a creep, I’m a weirdo..(1).

    **********

    Aprile 1923.
    Candy lanciò un ultimo sguardo colmo d’affetto al figlio nato da un paio di settimane, che dormiva tranquillamente nella sua culla, prima di lasciare la stanza; quindi chiuse la porta e si diresse verso la cucina, dove il marito l’attendeva.
    Il piccolo Alistair, che portava il nome dello zio scomparso, era del tutto ignaro della tempesta di sentimenti che si agitava nel petto della madre, e che l’aveva spinta a desiderarlo ed a cercarlo con tanta ostinazione: Candy voleva illudersi che la sua vita fosse ormai “completa”, e che si trovasse istradata per un altro sentiero, del tutto diverso dal precedente.
    Tutto questo per staccarsi dal passato. Da Terry. Dal dolore.
    Adesso aveva un marito, un lavoro con lui, ed un figlio. Aveva una famiglia, gli Andrew, che la amava, e che lei riamava. Il suo posto era con tutti loro, e accanto a Michael.
    Non c’era posto per niente altro.
    Per nessun altro.
    Il passato era finito. Ed i frantumi con esso.
    Anche se erano stati rimessi malamente assieme.
    Ma era poi vero?
    Si può davvero non ferirsi più con i cocci di un’esistenza, quando questi sono riappiccicati con la forza?
    Oppure c’è sempre qualche spuntone affilato che spunta dai bordi sbeccati, e ferisce a tradimento?
    Candy preferiva non chiederselo, forse perché conosceva già la risposta.
    Lei non amava Michael, ora come il giorno del matrimonio: lui era stato il suo porto d’approdo sicuro, il suo conforto, il suo sostegno, il suo futuro. Ma nulla più.
    Niente avrebbe mai potuto tramutarlo in amore.
    L’amore, purtroppo, rimaneva sempre confinato a quel passato distrutto.
    A lui.
    A Terence.
    Ma la sua vita era altrove, adesso; e la sua famiglia e i suoi doveri sul lavoro erano lì per ricordarglielo istante per istante: era per questo che le aveva volute infondo, no?
    Che le aveva cercate, bramate, inseguite.
    Perché la salvassero dal passato e dal dolore, allontanandola da essi.
    Eppure, a ben vedere, uno scampolo di passato nel suo presente e nel suo futuro continuava a esserci, eternato nel nome del suo bambino: Alistair.
    Quello era un nome che le riportava ricordi lontani e dolceamari, due occhi dolci e spiritosi che celavano un animo eroico; tanti momenti di allegria che restavano ormai solo come preziosi ricordi di un tempo finito per sempre, tanto lontano da chiedersi se fosse mai esistito per davvero.
    Patty avrebbe risposto con un sorriso amaro e sghembo dal suo lutto perenne: venticinque anni, e vedova da sette.
    L’aveva amato subito, quel bambino; quando era andata all’ospedale dove Candy era stata accolta con grandi manifestazioni di affetto dai suoi ex-colleghi per partorire, e lo aveva visto, si era immediatamente commossa apprendendo quale fosse il suo nome, lo aveva preso in braccio, e aveva chiesto a Candy se poteva occuparsene mentre lei era al lavoro nello studio del marito; e la sua vecchia e cara amica non aveva potuto dirle di no.
    Ma erano altri ricordi; era un altro passato.
    Non il suo passato.
    Quel passato non avrebbe mai potuto abbandonarla, per quanti sforzi lei potesse fare per allontanarlo da sé.
    E non bastava che la ragione continuasse ad urlarle che la sua vita, adesso, era accanto a Michael, il padre di suo figlio.
    Il cuore seguiva una logica tutta propria, una logica di nome Terry.
    Il pezzo del suo cuore perduto, quello che aveva mandato in frantumi la parte rimanente.
    Lei ne era perfettamente consapevole; anche per questo aveva voluto ad ogni costo quel bambino: per trovare un affetto forte, che potesse gradualmente prendere il posto di lui. Quell’affetto che Michael non sarebbe mai potuto essere.
    Avrebbe colmato di amore quel bambino, anche soltanto per un suo desiderio egoistico di deviare quell’immenso amore orfano, prigioniero del suo cuore.
    But I’m a creep, I’m a weirdo
    what the hell I am doing here?
    I don’t belong here..(1)


    Entrò in cucina, dove trovò Michael seduto al tavolo che la attendeva per cenare.
    “Si è addormentato?”, le domandò; Candy annuì.
    “Possiamo sederci a mangiare, allora; sei stanca?”,
    “Un po’.. badare ad un bambino nato da appena poco più di tre settimane e riprendere a lavorare al contempo non è cosa semplice”,
    “Sei stata tu che hai voluto tornare subito: perché non hai preso il congedo di un mese?”,
    “Non posso abbandonare i nostri pazienti, soprattutto adesso che sono un medico; loro hanno bisogno di me esattamente come lui”,
    “La mia instancabile mogliettina!” Michael la abbracciò alle spalle “mi chiedo come abbia fatto!”,
    “A fare cosa?”,
    “A non mettere su nemmeno un etto nonostante la gravidanza!”,
    “Forse perché mangio poco”,
    “Questo non va bene, signora paziente: come suo dottore, le dico che lei dovrebbe mangiare un po’ di più, e strapazzarsi di meno”,
    “Spiacente, ma non posso: ho troppi impegni!”.
    Il marito iniziò a tempestarle il collo di baci, tentando un approccio più ravvicinato; ma lei lo respinse con dolcezza.
    “Michael.. dovremmo cenare.. hai appena detto che mangio troppo poco”,
    “Sì, certo, hai ragione; scusami”, l’uomo si allontanò, mortificato.
    Ma accettava di aver perso solo una battaglia, non la guerra.
    Lui sapeva bene che la moglie aveva voluto a tutti i costi quel figlio per sostituire nel proprio cuore lui, per dargli quell’amore che urlava dentro di lei, incatenato, e che non avrebbe mai potuto dare a lui, suo marito.
    You’re just like an angel
    your skin makes me cry
    you float like a feather
    in a beautiful world(1)
    Ma non avrebbe permesso che, ora che il suo compito di fattore era stato espletato, lei lo allontanasse come un oggetto inutile: avrebbe fatto qualunque cosa per starle vicino, per stare vicino al bambino, per farle capire che loro erano una famiglia. La sua famiglia.
    I wish I was special
    you’re so fuckin’ special..(1)

    E l’avrebbe resa fiera di lui; sì, l’avrebbe resa fiera!
    Non poteva permettersi di soccombere davanti ad un ricordo, ad un fantasma!
    Avrebbe fatto di tutto perché loro diventassero ricchi, e allora la moglie avrebbe riservato a lui quegli sguardi carichi d’ammirazione e orgoglio che ora rivolgeva solo ad un’ombra!
    She’s running out again,
    she’s running out,
    she’s run- run- run- running out..(1)

    Gli.. affari andavano molto bene: di cosa doveva preoccuparsi?
    Ripensò all’appuntamento che aveva con Jim egli altri per quella sera, e un sorriso gli si affacciò sul viso.

    **********

    Novembre 1923.
    Anche Annie e Archie erano diventati genitori, con grande apprezzamento da parte della zia Elroy, che vedeva arrivare il primo erede per la dinastia degli Andrew.
    Era una bella bambina, a cui era stato imposto il nome di Estella.
    Patty era entusiasta di avere guadagnato, in così poco tempo, ben due nipotini, di cui si sarebbe occupata ben volentieri, dato che svolgeva la tranquilla professione di insegnante di ripetizione, a casa.
    L’anziana zia Elroy aveva dovuto abituarsi a molte cose, in quegli anni: vedere molti membri della prestigiosa famiglia cui apparteneva (tra cui molte donne) lavorare; avere due donne di oscure origini che erano entrate a far parte della famiglia; accettare che il successore di Albert alla guida della famiglia sarebbe stato una donna, dato che Candy risultava solo adottata come protetta, e non come figlia, e dato che Albert e Flanny non potevano avere figli. Ma le decisioni del fin troppo avanzato Albert non si discutevano.
    Ed era stato proprio Albert che aveva accettato, giustificato e coperto il desiderio della moglie di non avere figli, facendo credere che non potesse farlo per motivi di salute; Flanny, infatti, serbava ancora a tinte indelebili nel cuore il ricordo della propria infanzia dilaniata, per poter sopportare l’idea di dovere crescere un figlio, e Albert, da compagno innamorato quale era, le aveva detto che preferiva che lei stesse bene, piuttosto che vederla patire per essersi sobbarcata un impegno superiore alle sue forze e alla sua resistenza; dopo tutto, lei aveva patito anche troppo dolore, per sopportarne altro, e gli Andrew avrebbero comunque avuto un erede da Archie. Pertanto, trovarono insieme la scusa più plausibile da porgere alla zia Elroy, che si mise l’anima in pace.
    Whatever makes you happy,
    whatever you want..(1)
    Albert e Flanny erano una coppia felice ed innamorata. Per Flanny, con tutto il suo cuore.
    Per Albert, con metà soltanto.
    L’altra metà era rimasta votata ad un sogno.

    **********

    Autunno 1923.
    “Datevi una mossa, voialtri! Non possiamo mica stare qui per tutta la notte!”,
    “E muoviti, Reddie! Non posso fare tutto da solo!”,
    “E chi dice che stai facendo tutto da solo? Ti sto dando una buona mano, mi sembra!”.
    Un gruppo di uomini si affaccendava attorno ad un camion pieno zeppo di barili di whisky illegale: tutti facevano del loro meglio per scaricare e fare sparire quella merce compromettente dalla strada.
    “Neil! Neil! Vai ad aprire la porta del magazzino, che portiamo dentro questi primi cinque!”.
    L’ex-rampollo dei Legan corse ad eseguire l’ordine del compare calcandosi il cappello a larga tesa sulla testa.
    But I’m a creep, I’m a weirdo
    what the hell I am doing here?(1)

    “Ecco, è tutto pronto! Avanti con quei barili, ragazzi!”, si diede a scaricare anche lui.
    “La polizia! Presto, via!”, gridò una voce che era di vedetta.
    Gli uomini si dispersero, mentre le auto con gli agenti giungevano sgommando sul posto.
    Un mucchio di uomini in divisa scese dalle macchine, armi alla mano.
    “Fermi! Siete circondati! Arrendetevi! Tanto non avete scampo!”,
    “Brutti bastardi! Non ci avrete!”, uno dei banditi iniziò a sparare; immediatamente gli agenti risposero al fuoco.
    Corpi senza vita iniziarono a cadere a terra da ambo le parti; i banditi erano asserragliati dentro il magazzino improvvisato, i poliziotti si riparavano dietro le automobili.
    Pallottole che piovevano. Rumori di mitra. Il tutto andò avanti per alcuni interminabili minuti. Poi, un gruppo sparuto di banditi, senza più munizioni, uscì fuori dal nascondiglio, le mani alzate dietro la testa.
    Subito gli agenti furono loro addosso, e li ammanettarono, caricandoli poi sulle macchine senza tanti complimenti.
    La maggioranza però era rimasta sul pavimento del covo priva di vita.
    Tra questi, c’era Neil.

    “Come accidenti è potuto succedere, eh? Dimmelo!”,
    “Calmati, Iriza. Non serve a nulla fare così! Neil non tornerà indietro”,
    “Calmarmi? No, che non mi calmo! Mio fratello è stato ucciso come un cane da quei porci!”.
    Jerry riempì un bicchiere di whisky e lo porse alla donna: aveva avuto diverse occasioni di pentirsi di averla presa come amante, in quei mesi!
    “Adesso bevi, ti farà bene. Siediti, coraggio!”.
    La donna, scarmigliata e in disordine totale, tracannò tutto d’un fiato il liquido ambrato contenuto nel bicchiere, si pulì con una manica una goccia che le era colata giù per la guancia, poi si sedette con fare rabbioso.
    “La pagheranno” fu la sola cosa che le riuscì di sibilare a denti stretti.



    (1)Radiohead, Creep:
    E desidero essere speciale,
    tu sei così dannatamente speciale..
    Ma sono uno sgradevole, sono uno strano
    cosa diavolo sto facendo qui?
    Non appartengo a questo posto..

    Non mi importa se fa male
    voglio avere il controllo
    voglio un corpo perfetto
    voglio un’anima perfetta
    voglio che tu ti accorga
    di quando non sono in giro..

    Sei proprio un angelo
    la tua pelle mi fa piangere
    tu fluttui come una piuma
    in un meraviglioso mondo..

    Lei sta correndo fuori di nuovo
    sta correndo fuori,
    sta corr- corr- corr- correndo fuori..

    Qualunque cosa ti faccia felice,
    qualunque cosa tu voglia..
     
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    CAPITOLO 14
    GOODBYE



    Nota: il titolo di questo capitolo è ripreso da quello di una canzone dei miei amati Pooh, una delle meno note, ma non per questo meno bella!

    Febbraio 1924.
    Non c’erano più dubbi, ormai.
    Tisi. Era tisi.
    La diagnosi non dava possibilità di errore.
    E non dava molte speranze.
    “Lo avevo detto, Signor Grandchester: un qualunque problema ai polmoni sarebbe stato letale alla signora. Figuriamoci una malattia così!”,
    “Ma come può averla contratta? L’abbiamo riempita di premure ed attenzioni!”, gemeva la Marlowe nel suo fazzoletto,
    “Non ne ho idea, signora: probabilmente si sarà trattato di un contatto occasionale con un portatore sano”,
    “La domestica..”,
    “Sì, quella potrebbe essere stata un buon veicolo. Esercita i suoi servizi presso altre famiglie, oltre alla vostra?”,
    “Sì, che io sappia”,
    “Allora è chiaro: può essersi caricata il germe presso uno degli altri clienti, senza manifestarlo magari grazie a un forte sistema immunitario, ma con abbastanza forza da poterlo trasmettere; e alla prima volta che è tornata qui, ha infettato la signora Susanna”,
    “Oh, mio Dio! Perché, mio Dio?”, piangeva la Marlowe.
    Terry se ne era rimasto tutto il tempo ad ascoltare il dottore in silenzio, senza dire una parola, solo senza smettere di fissare la moglie, che ora dormiva un sonno agitato nel suo letto.
    Ho fallito! Perdonami Candy!

    Il tempo è una marea
    ci trascina via
    sommerge i desideri
    spazza via gli amori..(1)

    Presto, sua moglie Susanna sarebbe morta: non era riuscito a salvarla, a mantenere la promessa fatta a Candy.
    Non era degno di lei. Non meritava il suo amore.
    Era un uomo inutile.
    Perché alla fine, aveva permesso che fosse il destino a decidere per lui.
    .. E ancora una volta
    è tempo di confonderci
    di lasciarci andare..(1)

    Guardò la donna che giaceva nel letto: dopo tutto quel tempo trascorso assieme nella sofferenza, non poteva dire di non esservisi affezionato; in fondo, lei gli aveva sacrificato la sua intera vita, la sua incolumità, la sua carriera di attrice; occuparsi di lei era stato un giusto dovere morale, soltanto adesso se ne rendeva conto veramente.
    Gli ispirava tenerezza, da quel suo letto di dolore, che mai si era trasformato in un talamo d’amore vero: la prima notte di nozze era stata affrettata e quasi meccanica, più per ottemperare ad un dovere, che per un reale trasporto, da parte di entrambi: per lui, che aveva accettato quel matrimonio come un’espiazione a vita per i suoi sbagli, per lei che odiava quel suo corpo mutilato.
    E tra non molto l’avrebbe persa.
    Se ne sarebbe andata.
    Sentiva il dottore rispondere alla domanda della madre “Quanto le rimane da vivere?”, con una frase altrettanto sibillina “Non so dirglielo, signora. Nessuno potrebbe. L’organismo è provato, ma non abbastanza da permettere un rapido esaurirsi delle forze vitali; dopo tutto, è stata tenuta in condizioni di cautela pressoché totale”.
    Non sapeva quando, ma sarebbe successo.
    ..di dirci appena ricordati di me!(1)
    E lui sarebbe rimasto solo.
    Un’altra volta.
    Solo.
    E forse.. libero?
    Il tempo è una scommessa
    Se lo perdi passa
    Ma noi che abbiamo vinto
    Ce ne resta tanto
    Per giocarci un altro amore e ancora crederci(1)
    Se solo lei non fosse stata persa per sempre..
    E non soltanto perché si era sposata.
    Ma perché lo aveva deluso, ora più che mai.
    Un amore lontano, nello spazio e nell’anima.
    Per partire verso incontri lontanissimi(1).
    Volse lo sguardo alla moglie ancora una volta, e vide che gli stava sorridendo.
    ..Comunque sia, ricordati di me!(1)
    Per la prima volta nella sua vita, provò un sincero dolore verso di lei.
    Goodbye, goodbye!(1)

    “Debbo andare, signora, ho altre visite purtroppo”,
    “La ringrazio di tutto, dottore!”, la povera donna piangeva,
    “La accompagno all’uscita, dottore” disse Terry senza guardarlo in viso.
    Lo sbattere secco della porta dietro il medico segnò l’inizio di un’agonia: tutti e tre ne erano consapevoli.

    **********
    Aprile 1924.
    “E’ tutto pronto. Sei sicura di volerlo?”.
    La donna soffiò fuori un ricciolo di fumo, puntando lo sguardo verso un punto indefinito della stanza “E me lo chiedi?”,
    “Se te lo chiedo, Iriza” l’uomo si passò una mano sulla fronte “è perché azioni di questo tipo non sono usuali: non sono i soliti incontri nottetempo al magazzino. Significa infilarsi nella tana del leone; e il leone potrebbe farci tutti a brandelli”,
    “Non mi importa nulla. Mio fratello deve essere vendicato! Nostra madre ha pianto per tutta la notte, lamentandosi. Nemmeno il suo stato mentale alterato ha potuto proteggerla dal dolore! Quegli animali debbono pagare per ciò che hanno fatto!”,
    “Sai che ti sono e ti sarò sempre accanto, qualunque cosa tu voglia fare; ma in tutta onestà questa mi sembra un’assurda follìa”,
    “Sei un vigliacco, Jerry! Ed io che pensavo di avere accanto un uomo vero! Non puoi abbandonarmi in questo momento!”,
    “Non lo farò, infatti. Ma ricordati che se affonderemo, affonderemo insieme. Tutti”.

    **********

    Notti, ancora notti. Sempre notti. Di dolore.
    Susanna tossiva sangue continuamente, a tratti sembrava stesse per soffocare; Terence non si staccava mai dal suo capezzale, se non per mettere a letto un’annientata Signora Marlowe, che oramai era capace solo di piagnucolare e gemere: seguitava a immergere il panno nella bacinella, per pulirle la fronte e le labbra bagnate dal sangue, darle i sedativi prescritti come un palliativo dal dottore, e misurarle la febbre, per poi tornare a immergere il panno in acqua, in una spirale senza fine.
    Erano oramai tre mesi che la tisi era stata diagnosticata; le cose erano andate di male in peggio.
    Non c’era modo di alleviare le sofferenze della povera Susanna, se non per poche ore, nonostante tutti gli sforzi e la buona volontà di Terence.
    Ogni momento poteva essere l’ultimo.
    Questa notte forse è l’ultima
    teniamola per noi(1)
    La sofferenza era tale, da desiderare che avesse termine presto, in qualunque modo: la prima a volerlo era proprio Susanna.
    Finalmente, via da quel dolore!
    Via da quel soffrire infinito!
    Via da quel dannato corpo storpio!!
    In un luogo migliore.
    E forse, in un tempo senza tempo, avrebbe anche ritrovato lui.
    Se c’è un fuoco non lo spegnere
    io ti ritroverò(1)
    “Tra poco sarai libero..” riuscì a sputar fuori la donna, dopo uno sbocco di sangue,
    “Zitta! Non ti affaticare, Susie!”, le asciugò la fronte,
    “Sarai libero di tornare da lei..”,
    “Ma che vai dicendo? E’ la febbre a farti straparlare: non sai quello che dici”.
    Un altro sbocco di sangue.
    “E’ la verità, Terence: io ti ho succhiato via troppo della tua vita; adesso è ora che tu ti riprenda ciò che era tuo, e che ti è stato tolto: torna da lei, hai la mia benedizione. Siate felici!”,
    “Susie, Susie.. ti prego, calmati.. cerca di riposare..”,
    “Noi non sapevamo risolverci a venirne fuori.. ha deciso Dio per tutti e tre! E’ giusto così!”,
    “Oh, Susie, ti prego, stà zitta.. non sai quello che stai dicendo..”, la voce dell’uomo tradiva lacrime soffocate a stento,
    “Sei troppo bello e affascinante per restartene da solo a piangere, Terry.. lo so bene”.
    Il tempo è un marinaio
    giura di restare
    ma appena s’alza il vento
    vuole un altro mare(1)
    “Ti prego solo.. di non dimenticarmi, Terry!”
    ..Comunque sia, ricordati di me!(1)
    “Cosa stai dicendo, Susanna.. tu devi guarire..”,
    “Non posso guarire; sto morendo, ho sentito il dottore” gli prese una mano “Non raccontiamoci frottole, Terry: ci siamo mentiti per anni, ma adesso diciamoci la verità!”.
    “Amore..” l’uomo contraccambiò la sua stretta.
    E si rese conto che quella era la prima volta che la chiamava Amore.

    **********

    Maggio 1924.
    Era incredibile, ma era vero.
    L’invincibile zia Elroy se ne era andata.
    Colei che sembrava tanto forte, da resistere a tutte le tempeste della vita, colei che aveva retto le sorti della famiglia per anni, colei che si era esposta in mille battaglie, non sempre giuste, se ne era andata per un semplice arresto cardiaco.
    I familiari erano tutti sbigottiti.
    L’inaffondabile matriarca, alla fine, aveva dovuto cedere il campo.
    Non mancava un po’ di tristezza per quella sorta di “madre di ferro” di tutti loro, la cui mancanza da ora in avanti si sarebbe sentita, eccome.
    Questi erano i mesti pensieri di Albert, Archie, Annie, Candy e Michael in chiesa durante i funerali, in piedi davanti alla bara, mentre, vestiti a lutto, salutavano un altro Andrew che se ne andava per sempre.
    Il funerale fu officiato in una delle maggiori chiese di Chicago, ed in forma solenne, secondo le sue ultime volontà; la chiesa era gremita di persone più o meno legate alla famiglia, amici superstiti dell’anziana signora e qualche curioso.
    Il tempo è una marea
    ci trascina via
    sommerge i desideri
    spazza via gli amori
    e una volta ancora
    è tempo di nasconderci
    di lasciarci andare
    di voltare pagina
    di dirci appena ricordati di me(1)
    In fondo alla chiesa, una figura avvolta fino alla testa in un mantello scuro, che piangeva in silenzio.
    Iriza.
    Adesso che anche la zia Elroy se ne era andata, non aveva più nessun affetto che la legava alla famiglia Andrew: la zia che l’aveva sempre prediletta a Candy e agli altri nipoti, l’aveva additata come un esempio da seguire, l’aveva a suo modo amata, non c’era più.
    Se ne era andata. Come Neil. Come il padre.
    E la madre era ridotta ad un’alienata, che presto li avrebbe seguiti.
    Per la prima volta, si rendeva conto di essere sola al mondo.
    Jeremy? Solo un capriccio di comodo, destinato a finire.
    Al? Un socio in affari, niente di più.
    Quello che rimaneva della sua famiglia era fuori causa, con quell’Albert che da sempre le era ostile.
    Pianse, Iriza: pianse la sua solitudine, i suoi sbagli, la sua superbia che le avevano alienato gli affetti dei familiari e le simpatie di chiunque non fosse legato a lei da motivi di interesse o di denaro.
    E la sua rabbia crebbe come una fiamma. Desiderava, ora più di prima, riversare su di un capro espiatorio tutto il suo dolore.
    Ed aveva trovato quel capro espiatorio.

    Stretta al braccio di Michael, Candy osservava la bara scura coperta di fiori, mentre l’alto prelato ecclesiastico impartiva l’estrema benedizione: sebbene non l’avesse mai amata, e tollerata a stento, tuttavia la zia Elroy era una persona dal grande carisma e dalla grande forza d’animo, che aveva avuto la disgrazia di votarsi agli ideali sbagliati.
    Lei non era in grado di odiare nessuno veramente.
    Fece scorrere lo sguardo triste tra le file di sedili dietro di loro, e notò in un angolo una figura nota, che raggiunse all’uscita dalla chiesa.
    “Suor Maria! Anche lei qui?”,
    “Non potevo non venire, Candy”,
    “Grazie di essere venuta! Ha fatto buon viaggio?”.
    Candy ricordava bene il giorno dei funerali di Miss Pony, un triste giorno di fine estate, in cui la sua dolce mamma adottiva era stata seppellita nel giardino di quella che era stata la loro casa, il luogo prediletto dei loro momenti più dolci, dopo essere stata portata via dall’Influenza Spagnola.
    Un altro funerale, un altro luogo, ma sempre una separazione.
    “Veramente non ho dovuto viaggiare, Candy!” disse la suora in un sospiro,
    “Cosa? Perché, Suor Maria?”.
    Candy osservò la suora: il suo viso era sempre dolce, ma segnato dai colpi del tempo e della vita, e aveva perduto l’espressione di soave allegria, sostituita da una pacata e rassegnata saggezza.
    “Ecco, vedi Candy.. la Casa di Pony è stata chiusa!”,
    “Che cosa?”,
    “E’ così, purtroppo: l’anno scorso c’è stata un’ispezione da parte di un commissario statale, che ha trovato l’edificio troppo vecchio e fatiscente, e privo dei servizi basilari: ha detto così, e ci ha fatto chiudere. I bambini sono stati tutti trasferiti in orfanatrofi di stato, ed io ho chiesto il trasferimento in un convento qui a Chicago. Adesso non c’è più nessuno laggiù”.
    Un altro colpo per Candy. Un altro dolore.
    Un altro pezzo del suo passato che moriva.
    Il tempo è una marea
    ci trascina via
    sommerge i desideri..

    ..E una volta ancora
    è tempo di nasconderci
    di lasciarci andare
    di voltare pagina
    di dirci appena ricordati di me(1)
    Niente dura per sempre, nel bene o nel male: adesso, ne aveva la prova.



    (1)Pooh, Goodbye.
     
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30 replies since 24/2/2014, 17:57   2375 views
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